
Saranno presentati oggi, venerdì 10 novembre, alle ore 17:30, al laboratorio politico Granma di Roma (via dei Lucani, 11), due volumi di recente uscita: Le nuove recinzioni. Città, finanza e impoverimento degli abitanti, di Stefano Portelli, Luca Rossomando e Lucia Tozzi, e Dopo la gentrificazione. Un quartiere laboratorio dalla crisi economica all’abitare temporaneo, di Alessandro Barile, Barbara Brollo, Sarah Gainsforth e Rossella Marchini.
Pubblichiamo a seguire alcune riflessioni di Stefano Portelli a partire dal testo di Barile, Brollo, Gainsforth e Marchini.
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Ci sentiamo tutti in un “dopo” indefinito, in cui i paradigmi del passato non funzionano più, ma quelli del futuro sono un mistero. Negli ultimi tre anni, la casa editrice Nottetempo ha pubblicato Dopo il turismo di Lucia Tozzi; Castelvecchi, Dopo il capitalismo di Paul Mason; Il Mulino, Post-crescita di Tim Jackson; Einaudi ha appena pubblicato un libro con sottotitolo Vademecum dopo l’apocalisse, e quello di
Dopo la gentrificazione si concentra su una “comunità concreta” (è il nome della collana), il quartiere di San Lorenzo a Roma; un quartiere di cui ci siamo già occupati sia su Monitor che sulla rivista Lo stato delle città (qui un estratto di un mio articolo del 2019, e qui un articolo più recente di un autore del libro). San Lorenzo è la prima periferia della capitale, il primo quartiere oltre le mura aureliane (“San Lorenzo fuori le mura” si chiama la sua chiesa), e il primo creato espressamente per gli operai, accanto al cimitero del Verano. Per questo è anche uno dei più importanti “margini d’Italia”, come li ha definiti David Forgacs in un libro che porta questo titolo e che inizia proprio
Il libro ripercorre alcune tappe del progressivo “imborghesimento” (è la traduzione più adatta del termine gentrification), che non è avvenuto solo nella forma dello spostamento di famiglie ricche nelle case abitate da famiglie povere: si sono moltiplicati prima gli appartamenti per gli studenti, poi gli alberghi e le residenze per turisti, i negozi si sono specializzati su questa clientela transitoria e i proprietari immobiliari hanno imparato a estrarre il massimo profitto. Ovviamente, gran parte dei residenti sono andati via. Nonostante la mancanza cronica di dati che affligge chi cerca di fare ricerca su Roma, Sarah Gainsforth nel suo capitolo mostra che San Lorenzo ha continuato a perdere popolazione anche dopo la crisi del 2007, quando in tutta Roma i residenti sono leggermente aumentati; ad andare via sono state soprattutto le famiglie (pp.132-133). Di nuovo Elsa Morante, ne La storia: “La borghesia segue la tattica della terra bruciata. Prima di cedere il potere avrà impestato tutta la terra, corrotto la coscienza fino al midollo”. Nella lettura corrente della gentrificazione, però, il cosiddetto “degrado” che si osserva diffondersi nei quartieri non si associa a questa sistematica estrazione di valore da alcune parti della città, bensì alla sua mancanza; la gentrificazione è
Il primo capitolo, scritto dall’architetta Rossella Marchini, parte dalla nascita di San Lorenzo e arriva alle nuove spinte dell’università Sapienza e della speculazione finanziaria sul quartiere negli anni Duemila, forse sorvolando troppo sull’epoca chiave degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, ma concludendo con un’interessante descrizione di alcuni tentativi di “pianificazione del basso” traditi dalle amministrazioni locali, tra cui, naturalmente, l’episodio dello sgombero del Cinema Palazzo nel 2020. Il capitolo di Alessandro Barile, storico e sociologo, descrive la “studentificazione” contemporanea attraverso stralci di interviste ai residenti, per lo più delusi dalle promesse di miglioramento che la retorica municipale associava agli investimenti della gentrificazione. Nel terzo capitolo, Sarah Gainsforth osserva l’aumento dell’offerta degli appartamenti mediati da agenzie immobiliari e degli alloggi temporanei affittati tramite piattaforme digitali, un tema su cui aveva già scritto il libro Airbnb città merce (Derive Approdi, 2019). La diffusione di queste modalità di abitare di breve periodo, analizzata anche nel capitolo finale della geografa Barbara Brollo, rende la permanenza difficile non solo per le famiglie, ma anche per gli studenti, che erano stati invece gli agenti della fase precedente della gentrificazione. Questo è uno dei punti chiave: la gentrificazione ha bisogno di mutare sempre forma, e anche gli equilibri economici che crea sono mutevoli.
Le mappe alla fine del libro danno l’idea della quantità di investimenti immobiliari a San Lorenzo dopo la crisi del 2007-2008: su un territorio di mezzo chilometro quadrato e ottomila abitanti ufficiali, si contano ventitré tra
Per questo ho grossi dubbi quando gli autori descrivono la crisi del 2008-2009 come un evento che avrebbe “inceppato” il processo di gentrificazione a San Lorenzo, arrestandola, portandola su un binario morto, infine facendola fallire (p.7, p.84, p.89); oppure
L’imborghesimento di un quartiere viene sempre presentato come un’iniziativa spontanea di alcuni cittadini, dovuta al loro gusto verso i quartieri popolari; e dei gusti non si disputa. Tuttavia, è ormai chiaro che essa parte sempre dall’iniziativa pubblica (state-led gentrification) che disgrega le strutture urbane
La gentrificazione è la riappropriazione della città, ma da parte dei capitali, non delle persone: “a back to the city movement by capital, not people”, come scrisse Neil Smith; e la si ritrova più nella produzione del valore immobiliare che porta nuovi investimenti, che nei comportamenti specifici delle persone che ne vengono attratte. Il valore si può creare in tanti modi: ristrutturando un vecchio appartamento della nonna per venderlo a una famiglia più ricca; oppure affittandolo a stanze per gli studenti; oppure dividendolo in due monolocali da mettere in Airbnb; oppure reinvestendo i proventi nell’acquisto degli appartamenti vicini, fino ad avere un intero palazzo per gli affitti brevi; oppure sfrattando un laboratorio artigianale in affitto per rivendere l’immobile a un investitore; oppure presentando un terreno abbandonato come un’occasione di affari, per ottenere credito da una banca; oppure organizzandosi con altri investitori per avere licenze edilizie, magari sfruttando il panico del “degrado”; oppure mediando per la privatizzazione di un blocco di case popolari; oppure usando fondi pubblici come quelli di Cassa Depositi e Prestiti per attirare investimenti stranieri guadagnando sulla mediazione e sull’aumento di valore dei terreni circostanti. Ognuna di queste opzioni è un mondo a sé, e crea forme diverse di “degrado” sul corpo della città, primo tra tutti, naturalmente, l’espulsione dei residenti, che è la ragione principale per cui dobbiamo sempre essere contrari alla gentrificazione, qualunque forma essa prenda.
Spesso, accademici e ricercatori si specializzano ognuno su un pezzo di questo corpo, convinti che sia il centro del problema (per questo non sono d’accordo quando, a p. 105, si sostiene che Airbnb e le piattaforme siano la trasformazione urbana principale degli ultimi dieci anni), o che sia così diverso dagli altri pezzi da non essere più gentrificazione, o da dover prendere un altro nome: di recente, per esempio, Javier Gil ha scritto che per gli affitti brevi bisognerebbe parlare di short term rental assetization, e non di gentrificazione: tecnicamente è vero, ma è un peccato abbandonare il termine, proprio ora che attivisti e abitanti di mezzo mondo lo usano per identificare le trasformazioni dei loro quartieri. L’immagine dell’abitante più ricco che si sposta nel quartiere popolare, oggi, è soprattutto un simbolo, una metonimia, dei continui movimenti dei capitali che mirano a riprodursi a spese della città, e della devastazione sociale e urbana che provocano questi movimenti: gentrificazione è un modo per rendere visibile, concreto, un fenomeno astratto e difficile da afferrare.
Al di là dei nomi, comunque, quello che conta, e questo libro aiuta a farlo, è mantenere una visione complessa del fenomeno, che ha tante facce e che dev’essere studiato da esperti di tante discipline. La gentrificazione non è nell’arrivo del nuovo inquilino nell’appartamento della nonna, né negli studenti, turisti o abitanti temporanei; ma nella continua estrazione di valore dalla città, sopra le teste e sopra i corpi delle persone che, di volta in volta, ne sono gli strumenti o le vittime – e, a volte, entrambe le cose. Ad alcuni tocca prima, ad altri “dopo”. (stefano portelli)
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