A sud del Messico, c’è un piccolo paese (della stessa grandezza di Cuba), il Guatemala, con un tasso di povertà di circa il sessanta per cento; rotta di migranti che tentano ogni giorno di varcare la frontiera messicana per entrare negli Stati Uniti, ma anche territorio lacerato da una crisi profonda che coinvolge tutti e tre i poteri dello stato.
La crisi, cominciata con le elezioni nazionali a doppio turno (25 giugno e 20 agosto), coincide con il tentativo di alcuni magistrati del Ministerio Público (MP, il nostro ministero della giustizia, con una procura interna che si occupa di indagare sui reati) di ostacolare la nomina di Bernardo Arévalo, leader del partito di centrosinistra Semilla, attraverso un golpe giudiziario che blocchi l’insediamento ufficiale da presidente che avverrà il 14 gennaio.
Una strategia culminata, nei giorni scorsi, con la sospensione legale del partito Semilla da parte della Corte Costituzionale che, accogliendo la richiesta dei pubblici ministeri, ha ratificato il fermo del partito per presunta frode al momento della sua costituzione. Un’offensiva giudiziaria a cui i cittadini guatemaltechi hanno risposto scendendo in piazza fin dal 2 ottobre, paralizzando il paese attraverso blocchi stradali e autostradali. Manifestazioni che ricordano le proteste del 2015 contro il governo guidato da Otto Pérez Molina, dimesso e poi arrestato a causa delle indagini della Commissione internazionale contro l’impunità, sostenuta dalle Nazioni Unite, che rivelarono una rete di corruzione del governo accusato di avere rubato milioni di dollari di tasse.
Ma come arriviamo al golpe giudiziario? Principalmente attraverso due meccanismi: una feroce campagna di disinformazione e un utilizzo corruttivo degli organi giudiziari e democratici con tentativi simili a quelli usati dai conservatori statunitensi dopo l’elezione di Joe Biden nel 2020.
L’assalto mediatico consiste nella diffusione di notizie false per spianare la strada alla squalifica giudiziaria del candidato. Il leader di Semilla viene accusato di essere una persona nata in un paese straniero e quindi impossibilitato a ricoprire l’incarico. Bernardo Arévalo, figlio di un ex presidente progressista guatemalteco, Juan Jòse Arévalo (in carica dal 1945 al 1951), è nato in Uruguay durante gli anni dell’esilio del padre ma la Costituzione firmata nel 1986 riconosce agli esiliati di essere riconosciuti come guatemaltechi naturali.
In secondo luogo, le accuse, cavalcando gli slogan dell’estrema destra, sostengono che Arévalo sia una minaccia per l’istituzione della famiglia tradizionale. L’attacco si fa sentire con prepotenza prima del secondo turno elettorale, quando si comprende che il vero ago della bilancia sarà rappresentato dagli elettori anti-sistema e dall’aumento dei giovani tra i sostenitori del partito di Arévalo. Grazie al contributo offerto da questi elettori, infatti, il leader di Semilla riesce a ribaltare i sondaggi, che lo collocavano all’ottavo posto, e attraverso una campagna veicolata soprattutto sui social network arriva al secondo turno e sconfigge al ballottaggio una delle favorite, Sandra Torres, ex moglie del presidente Colom. Il 20 agosto, con una affluenza alle urne del 45%, Arévalo raggiunge il 58% dei consensi. La sera stessa una folla festante invade la piazza principale della capitale.
IL PATTO DEI CORROTTI
La nascita del “pacto de los corruptos” incrocia la storia degli ultimi governi guatemaltechi: Oscar Berger (2004-2008), Otto Pérez Molina (2011-2015), Jimmy Morales (2016-2020), Alejandro Giammattei (2020-2023). La strategia del golpe giudiziario non può prescindere infatti dal funzionamento corruttivo della giustizia che coinvolge tutti e tre i poteri, il governo, il Congresso e la magistratura. La rete comprende militari attivi e in pensione, politici e funzionari, uomini d’affari e gruppi criminali che espandono la loro influenza sulle istituzioni statali per beneficiare di vantaggi economici e garantirsi l’impunità. Secondo l’Ong Trasparency International, che misura la percezione della corruzione nel paese, il Guatemala, nel 2022, si colloca al centocinquantesimo posto su centottanta paesi.
Per questo motivo, nel 2006, il Guatemala redige un accordo con le Nazioni Unite per combattere la corruzione ma, nel 2019, con il presidente Morales, l’organismo cessa di esistere a causa delle forti pressioni di politici e imprenditori che non vedono di buon occhio le inchieste portate avanti da alcuni procuratori (come Sandoval, ex procuratore del MP ora in esilio negli Usa) che indagavano sul pagamento di tangenti a decine di deputati.
Ma è nel 2018 che arriva il vero cambiamento d’indirizzo del ministero: il governo Morales decide di ostacolare le indagini riguardanti esponenti politici e imprenditori, e il MP con Porras si trasforma in istituzione deputata a proteggere i governanti di turno. La Porras centralizza su di sé le autorizzazioni dei mandati di cattura e rappresenta il vero garante di questo patto. Un patto che si serve anche del “silenzio mediatico”, imposto tramite l’arresto di tutti i giornalisti non compiacenti con i funzionari governativi, tra questi José Ruben Zamora, direttore di un famoso settimanale guatemalteco, chiuso dal governo Giammattei dopo avere accusato il presidente di ricevere una tangente di un milione di dollari da una compagnia russa per il rilascio delle autorizzazioni ad avviare gli scavi in una miniera di nichel. Il governo aveva risposto ordinando la chiusura del giornale, mentre l’MP aveva avviato le indagini e poi arrestato Zamora con l’accusa di riciclaggio, strumento utilizzato sempre più di frequente per condannare gli attivisti politici. Il dato più preoccupante riguarda la doppia sanzione che si applica a chi ricicla il denaro: la persona per scontare interamente la pena deve pagare una multa pari al valore totale riciclato; nella maggior parte dei casi si traduce in una pena più lunga perché non tutti hanno la disponibilità economica per saldare il debito. L’apparato giudiziario si muove su questa linea per proteggere i corrotti e salvaguardare il gruppo di potere; per questo troviamo l’MP che dovrebbe avviare indagini sulla corruzione e che invece tenta di compromettere la validità delle elezioni accusando Semilla di avere falsificato cinquemila firme durante la nascita del partito, perquisendo con gli organi di polizia gli uffici del Tribunale supremo elettorale (l’organo che certifica e controlla la validità delle elezioni), alla ricerca di presunti reati di frode elettorale commessi dal partito di Arévalo.
Anche la Corte Costituzionale, che dovrebbe essere al di sopra delle parti, appare piegata al patto dei corrotti: annullando le candidature, un mese prima delle elezioni, di politici favoriti per la vittoria finale come Pineda, candidato di destra e simpatizzante di Bukele (presidente del Salvador, noto per le torture inflitte a persone sospettate di appartenere alle bande criminali); e poi ufficializzando la sospensione di Semilla per presunta frode nella registrazione del partito.
Le imprese giocano il medesimo ruolo nel golpe giudiziario sempre in difesa dell’apparato conservatore. Seppure mostrano apparenti segnali di apertura nei confronti del nuovo presidente eletto, appaiono restie a interventi strutturali sulle diseguaglianze. Il Cacif, la Confindustria guatemalteca, osteggia da anni l’approvazione di una riforma fiscale progressiva e le imprese più ricche continuano a concentrare il 65% dei profitti del paese pur rappresentando solo il 3% delle realtà economiche. Anche gli Stati Uniti giocano la loro partita, appoggiando le aziende agricole che pagano pochi centesimi i lavoratori che coltivano caffè, cotone, zucchero, banane, alloggiandoli all’interno di fatiscenti baracche; inoltre, sostenendo la religione protestante che esalta i valori neoliberisti come il denaro e la ricchezza, e che in chiave anticomunista e anticattolica contrasta la diffusione della teologia della liberazione in America centrale. Dal canto suo, la chiesa cattolica ha appoggiato le rivendicazioni dei manifestanti con un documento dei vescovi in cui si prendono le difese di Arévalo chiedendo le dimissioni della Porras e partecipando alle manifestazioni.
LE MINORANZE INDIGENE
Ma la storia del Guatemala incrocia il proprio destino anche con altre minoranze meno potenti ma in grado di lottare strenuamente contro il razzismo, le diseguaglianze e la concentrazione delle proprietà nelle mani di poche persone: parliamo della componente indigena, una delle più grosse in America centrale, che capeggia le proteste di questi giorni, tra cui troviamo i Maya, gli Xinca, la comunità Garifuna e tante altre che rappresentano circa il quaranta per cento della popolazione. Minoranze che spesso vengono ignorate dai governi nelle scelte che si ripercuotono sui territori: come accaduto nel municipio di El Stor, vicino alla costa dei Caraibi, quando la compagnia russa, accusata di aver pagato una tangente a Giammattei per l’avvio dei lavori della miniera di nichel, si è rifiutata di parlare con la comunità del Q’ecqhi, nonostante la Corte Costituzionale stabilisse la necessità di consultare il gruppo indigeno a causa dei danni ambientali che avrebbe prodotto. Per protesta contro la mancata consultazione, gli abitanti decisero di bloccare il funzionamento della miniera ma il governo reagì inviando migliaia di poliziotti, dichiarando lo stato d’assedio ed eseguendo decine di arresti.
Gli accordi di pace del 1996, che hanno sancito la fine della guerra civile durata trent’anni con duecentomila morti e cinquantamila desaparecidos, non riconoscono il carattere multietnico della popolazione guatemalteca. Nel paese la condizione della comunità indigena appare ancora marginalizzata nelle amministrazioni locali e le risorse naturali restano in mano alle grandi multinazionali. Una situazione differente rispetto alla Bolivia dove la rappresentanza indigena è presente con una Costituzione plurinazionale a tutti i livelli dello Stato.
Tuttavia, emerge una grande capacità delle comunità indigene di intessere reti con gli altri movimenti sociali (studenti universitari, femministe, organizzazioni sociali che combattono la corruzione) e una grande qualità nel saper gestire le proteste pacifiche che reclamano un intervento della comunità internazionale per bloccare il golpe promosso dal patto dei corrotti.
Insomma, in attesa di capire cosa succederà nel paese nei prossimi mesi, le istanze di protesta dei manifestanti sono chiare: la rimozione di Consuelo Porras (garante del patto dei corrotti); l’insediamento del nuovo presidente Arévalo; la revoca della sospensione del partito Semilla e il compimento dei primi passi politici per la formazione di una costituzione plurinazionale che assegni una maggiore centralità alle comunità indigene. (giuseppe mammana)
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