Sarà presentato questo pomeriggio (ore 18,00) al teatro Gli Istrioni di Acerra, Il fuoco a mare. Ascesa e declino di una città-cantiere del sud Italia. Con l’autore Andrea Bottalico, discuteranno del libro Giovanni Mininni (ex Montefibre e segretario nazionale Flai Cigl) e Peppe De Maria (ex Montefibre). Modera Giuseppe Orlandini. Lettture di Enzo Morgillo.
da: Il Corriere del Mezzogiorno del 4 marzo 2016
È stato pensato in tempi non sospetti, sul finire del 2015, ma Il fuoco a mare non è certo un titolo originale, essendo stato utilizzato, seppure scritto tutto attaccato, anche per il docufilm di Gianfranco Rosi su Lampedusa, recentemente premiato con l’Orso d’oro al Festival di Berlino. Detto questo, e nonostante il titolo, Andrea Bottalico, trentunenne ricercatore dell’Università di Milano, ha confezionato per la casa editrice Monitor, che lo sta distribuendo in questi giorni, un eccellente “doculibro”. Sì, proprio così: un doculibro, perché ciò che Bottalico dedica a Castellammare di Stabia e ai suoi cantieri navali è un lungo reportage scritto come un romanzo, e cioè con una gran voglia di raccontare una storia, ma è anche un vero e proprio romanzo, ricco di personaggi e di intrecci, costruito con le tecniche della ricerca sociale, vale a dire passando molto tempo, interi giorni, a cercare e raccogliere testimonianze. C’è molto di Saviano, e della sua tecnica narrativa, in questo libro. Ma buon per l’autore, c’è anche molto altro.
Non solo il poeta Caproni, “che negli anni Cinquanta entrò in visita insieme a un pittore nei cantieri navali dell’Ansaldo di Sestri Ponente mentre era in stato di avanzato allestimento la turbonave Andrea Doria”; e il sociologo Ferrarotti, autore negli stessi anni, di una inchiesta a Castellammare finanziata dall’Iri; entrambi esplicitamente citati. In Fuoco a mare c’è anche, in una certa misura, l’Ottieri di Donnarumma all’assalto, che costruì il suo romanzo sulla base degli appunti di lavoro raccolti mentre selezionava il personale da assumere all’Olivetti di Pozzuoli. E c’è, moltissimo, il Rea de La dismissione, dedicato alla classe operaia di Bagnoli, all’epica civile di quegli anni, e al successivo straziante sbullonamento dell’Italsider. Ma Ottieri aggiunse molto della sua immaginazione ai personaggi reali, e Rea non seppe resistere al peso di una nostalgia carica di ideologismo. Invece, Bottalico non fa ne l’una ne l’altra cosa. Per scelta e per età, si tiene a distanza sia dalla pura letteratura, sia dal rimpianto per militanze andate a sbattere. E tranne quando polemizza con la visione turistica che i Gava avevano di Castellammare (davvero è stato un bene non tenere in debito conto anche quella prospettiva?) non commette l’errore di assolutizzare il punto di vista, come talvolta fa invece Saviano a proposito della camorra.
Semplicemente, Bottalico descrive ciò che vede: la Castellammare ex polo industriale ora “chiusa a chiave nel suo torpore”, l’arcaico scalo per il varo delle navi, le gru semoventi e i carroponti del Cantiere in cui sono rimasti a lavorare non più di seicento operai; e riporta ciò che gli raccontano Alfredo l’elettricista e Alfonso il saldatore, l’anziano sindacalista e l’esperto motorista congegnatore, nonché, e più di tutti, la sua guida personale, Totore, convinto che “il progresso è regresso”, perché un tempo a Castellammare “la costruzione delle navi procedeva di pari passo con la costruzione delle coscienze” mentre con gli anni si è assistito prima alla sostituzione degli operai con le macchine e poi a quella del lavoro con la cassa integrazione e la disoccupazione. Nel racconto, sullo sfondo, c’è anche il “mariomerolismo” di certi operai, più guappi che produttori, ma c’è anche il ricordo di uomini come Saul Cosenza, mitico leader locale e membro del Comitato centrale del Pci. Il compagno Saul era stato un calafato, uno scalpellatore, uno di quelli che solcavano le lamiere con un pistola ad aria compressa di sei chili e mezzo su cui veniva montata una punta d’acciaio. E che quando tornavano la sera a casa non avevano più la forza neanche di usare il cucchiaio per la cena.
Andato a Castellammare “per raccontare il lavoro” — cosi è scritto nell’epilogo — Bottalico si è dunque ritrovato a parlare “di un mondo che è in procinto di sparire”. Ma così facendo, una volta tanto, e meno male, ha anche allungato il nostro sguardo oltre i confini di Napoli. E oltre i suoi guai, che non sono poi cosi esclusivi come spesso si tende a credere. (marco demarco)
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