Foto di Alessandra Mincone
Bisognerebbe dire cosa per noi sia stato questo 28 ottobre, e come ci si sia arrivati, tra ex ambasciatori israeliani che hanno invocato il genocidio palestinese e una stampa italiana pesantemente schierata; tra strette al cuore e corse su Al Jazeera per le ultime tragiche notizie, le gradite defezioni del Lucca Comics patrocinato dall’ambasciata israeliana (ZeroCalcare, Amnesty “per le immani perdite di vite umane che le bombe israeliane stanno causando”); tra speranze, possibilità, dubbi, rabbia. Occorrerebbe anche dire che il mio, il nostro 28 ottobre, è cominciato con un corteo per le strade del centro storico di Napoli la sera prima, venerdì 27; un corteo spontaneo e pieno d’apprensione per le notizie confuse che arrivavano in diretta sui bombardamenti indiscriminati dell’esercito israeliano, bombe che hanno reso Gaza totalmente isolata dal resto del mondo.
Insomma c’è voglia di gridare insieme, di aggregarsi, di riconoscersi, di stancarsi e di sfinirsi. Da Napoli si sono riempiti sette autobus: alle 9 l’appuntamento nei pressi della stazione centrale, verso le 10.30 si parte, il concentramento è previsto per le 15 a Porta San Paolo. L’atmosfera non è pesante. Sto nell’autobus del Movimento migranti e rifugiati di Napoli, abbiamo organizzato la proiezione di un film per fare cassa e consentire la partecipazione a chiunque. Si ride, si mangia, si discute: poche informazioni sulla situazione reale, purtroppo. Sembrerebbe cioè cominciata per Israele la “fase 2” dell’aggressione a Gaza, tutta sulla pelle dei civili.
Il viaggio verso Roma è il solito viaggio, con le solite incertezze sui numeri della piazza, sull’accoglienza delle forze dell’ordine, sui controlli. Già, i controlli: ci fermano a dieci chilometri dalla capitale, dopo il casello autostradale, ci fanno deviare in un Punto blu e cominciano le perquisizioni. I cartelloni preparati non vanno bene. Qualcuno scende. Comincia la dialettica con Digos e agenti. Ci dicono che “hanno ricevuto disposizioni per controllare e perquisire, ed eventualmente requisire, non soltanto caschi e oggetti contundenti, ma anche qualsivoglia oggetto o simbolo che possa essere offensivo per il popolo israeliano” – testuali parole. Passano i minuti, poi le ore. I cartelloni incriminati sono due: uno di questi recava semplicemente le parole: “FAKE NEWS DEHUMANISES, FAKE NEWS KILLS” e veramente non si comprende dove siano le offese al popolo israeliano. Un altro, “NETANYAHU CRIMINALE”, è semmai un giudizio politico su di un capo di Stato che attraverso gli ordini militari sta massacrando migliaia di civili. Le ore passano e comincia a calare un’ombra di sospetto e paura: il pensiero è che ci siamo fatti fregare e che non raggiungeremo Roma. Alla fine, però, troviamo la quadra, da Roma ci dicono che “aspettano i compagni di Napoli”, ripartiamo e arriviamo alle 16.
Al concentramento non ho l’impressione che ci sia troppa partecipazione, ma l’angolo di visuale è pessimo. Che piazza è? Queste cose, come sempre, le capisco attraversando il corteo.
Prima, una considerazione logistica: il giro per il Colosseo, obbligato, rende più innocua la manifestazione, purtroppo: occorrerebbe ragionare nuovamente su come attraversare il cuore vivo delle città, e non zone morte o monumentali o esclusivamente/prevalentemente turistiche. La composizione del corteo è diversificata, vivace, gioiosa: le impressioni sono di un’ottima presenza studentesca e di una comunanza solida tra sinistra di movimento, pacifismo radicale e comunità arabo-palestinesi. Si grida contro Netanyahu. Si rifiuta l’aut aut: Hamas o Israele. È la domanda, probabilmente, che è sbagliata, perché anche le domande non sono “neutre”, come insegnava Althusser. Si rifiuta il penoso tentativo di rendere “nemico” l’arabo, si rifiuta l’islamofobia.
Riusciamo a evocare e rivivere, in piccole frasi ripetute da centinaia di persone a voce piena, tutta una storia di soprusi e massacri palestinesi. Penso a una frase letta di recente: “Non può esserci resistenza senza memoria o universalismo”, e mi convinco che sia vera.
Si arriva all’imbrunire a piazza San Giovanni: saremo in quarantamila senza esagerare. Dal palco, coordinati da Maya Issa, interventi eccellenti, tutti tesi a sottolineare la distanza della piazza dall’antisemitismo, la differenza sostanziale tra questo e l’antisionismo, il diritto dei popoli ad autodeterminarsi e a cacciar via l’invasore – e da qui, belle suggestioni e analogie tra la resistenza palestinese e quella italiana. (salvatore iervolino)
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