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9 Gennaio 2023

La Plaine perduta e ritrovata. Un quartiere marsigliese al tempo della gentrificazione

Bruno Le Dantec
(archivio disegni napolimonitor)

Nel 2018 c’è stata la battaglia della Plaine, come l’hanno chiamata gli abitanti di questo storico quartiere di Marsiglia quando hanno reagito a un brutto progetto di riqualificazione urbana. Di questa battaglia si è parlato oltre i confini della città. Monitor ne ha parlato come prova della sua eco mondiale. Cinque anni dopo, cosa rimane? Tre anni di lavoro, il Municipio è passato alla sinistra, qual è il risultato oggi?

È stato detto che la Plaine era il quartiere in cui si riunivano tutti i quartieri. Il suo mercato tri-settimanale, dove si poteva trovare di tutto a basso prezzo, attirava una clientela eterogenea, spesso proveniente da lontano. La sua vita notturna, i caffè, i ristoranti e il carnevale indipendente attiravano una folla che proveniva anche da fuori città. Ma questa vitalità non è piaciuta al sindaco di destra. “Non vogliamo più vedere in città le persone attirate dalla vostra presenza”, aveva detto con parole spicce ai venditori ambulanti una consigliera responsabile dei mercati. L’obiettivo, come dichiarato da un altro consigliere responsabile dei “grandi progetti” – che è anche il presidente della società pubblica di sviluppo che ha condotto la ristrutturazione di place Jean Jaurès, il cuore pulsante del quartiere –, era quello di rendere il centro di Marsiglia attrattivo per il turismo e per gli investitori.

Una volta conosciuto il progetto, come era prevedibile in un quartiere dall’anima ribelle, si è scatenata la battaglia. L’opposizione è stata molteplice: negozianti preoccupati, mercatari arrabbiati, supporter dell’Olympique Marsiglia, residenti e habitué riuniti in un comitato “per un quartiere vivace e popolare”. La resistenza è stata tanto festosa quanto costruttiva: sono stati installati tavoli, panchine, un teatro di burattini, un’agorà mobile… Nell’ottobre 2018, il popolo del mercato ha bloccato la strada principale, poi gli ingressi dell’autostrada e la Fiera di Marsiglia. È stata una perdita di tempo. Il mercato è stato abolito e cento alberi sono stati abbattuti in applicazione della “strategia d’urto”, causando scontri con la polizia. Al termine di una grande manifestazione, una capanna è stata eretta sulla spianata del mercato dai compagni di Notre-Dame-des-Landes (che hanno portato avanti una lotta vittoriosa contro il progetto di un aeroporto vicino a Nantes), risvegliando la fantasia di una Zone à défendre, una Zad urbana. Il consigliere in carica ha dichiarato in una conferenza stampa, accanto al prefetto in uniforme, che “la legge deve rimanere in vigore”. E un muro di cemento, degno della Berlino della Guerra Fredda, è stato alzato in tutta fretta senza badare a spese (mezzo milione di euro) intorno alla piazza più grande della città per imporre un cantiere maledettamente impopolare.

Dieci giorni dopo, il 5 novembre 2018, due edifici sono crollati nel vicino quartiere di Noailles, uccidendo otto inquilini sotto le macerie. “Venti milioni per distruggere la Plaine, non un centesimo per salvare Noailles”, diceva un grande striscione nero durante una Marcia della rabbia. Era l’inizio del movimento quasi insurrezionale dei Gilet Gialli e Marsiglia ha vissuto memorabili episodi di rivolta. La repressione è stata feroce: il 2 dicembre Zineb Redouane, un’ottuagenaria residente nel quartiere di Noailles, è morta dopo essere stata colpita alla finestra da una granata lacrimogena; l’8 dicembre Maria, una commessa di diciannove anni, è stata assalita da un’orda di poliziotti furiosi riportando gravi fratture al cranio.

Cosa rimane di quel conflitto cinque anni dopo? I più pessimisti avevano dichiarato che il quartiere della Plaine era perduto per sempre, e che solo atti vendicativi avrebbero potuto spaventare gli investitori. I vecchi attivisti hanno preferito lasciare la zona, la città. Il cantiere si è trascinato per oltre due anni e mezzo, soffocando la vita sociale. Poi, nella primavera del 2020, in piena crisi sanitaria, è stata consegnata la nuova spianata. Schivando la recinzione, la folla si è riappropriata dello spazio liberato: una piazza in gran parte “mineralizzata”, privata della metà dei suoi grandi alberi (una vera padella in cui friggere nella calura estiva) per facilitare la scansione continua delle telecamere di sorveglianza – anche se il taglio degli alberi è stato giustificato dal desiderio di mettere in risalto le facciate degli immobili. I bambini finalmente scorrazzano lontano dalla minaccia delle auto (anche se una corsia di traffico rompe stupidamente in due il volume della piazza); gli skateborder adolescenti hanno preso possesso di una geografia liscia e pulita… I bar hanno allestito vaste terrazze (talvolta incorporando panchine pubbliche) e i loro banconi sono diventati semplici rampe di lancio per squadre di camerieri ultraveloci.

Il nuovo Municipio e la Città metropolitana si sono passati e ripassati a vicenda la palla per un altro anno sulle condizioni tecniche per la reinstallazione del mercato, ritardandone il ritorno. La destra non lo voleva più, dicevano. Per quanto riguarda la sinistra, sembrava essere sensibile ai gusti della sua clientela, una classe media progressista che avrebbe visto di buon occhio la natura di alto livello di un mercato meno “economico”, meno made in China, più biologico e più equo – ma con prezzi che avrebbero inevitabilmente spaventato i clienti dei quartieri popolari. È stato necessario che i venditori ambulanti e i mercatari alzassero la voce e minacciassero di bloccare nuovamente la città – con l’appoggio di alcuni abitanti, consapevoli che era in gioco il futuro dell’ultima città in Francia il cui centro non è ancora troppo ostile alla presenza dei poveri – perché la situazione si sbloccasse.

Dopo avere tergiversato alcuni mesi, gli amministratori hanno infine permesso il ritorno del mercato (più o meno uguale a prima, ma diviso in tre blocchi a causa delle corsie di traffico che ne alterano la qualità di agorà circolare). Questa è stata vista come una vittoria dai mercatari e dalla loro clientela, che per tre anni hanno continuato a chiamare le bancarelle esiliate alla Joliette e al Prado “il mercato della Plaine”. La riapertura ha permesso inoltre di riequilibrare l’uso dello spazio pubblico, con le terrazze dei bar che hanno dovuto cedere il passo per tre mattine alla settimana. Così, anche la cultura del bancone del bar (e talvolta della kemia, la tapa africana) è rifiorita nei caffè della piazza. In filigrana si gioca infatti il diritto di presenza e gli usi gratuiti della piazza, che i promotori immobiliari cercano di demonizzare parlando di “conflitti d’utilizzo”.

D’altra parte, l’atmosfera generale del quartiere è cambiata, e non necessariamente in meglio. Gli affitti sono alle stelle, così come la vendita di immobili, spesso a vantaggio dell’attività di AirBnb. I proprietari che non comprano per vivere nel quartiere preferiscono affittare ai turisti su base settimanale o nel fine settimana, piuttosto che per tutto l’anno ai locali. Questo rischia di svuotare il quartiere dei suoi abitanti più modesti e di riempire le strade e i bar di una clientela estranea, alla ricerca di un’autenticità che il suo transito effimero e inodore contribuisce a far scomparire.

Ci si chiede, inoltre, anche con una comunicazione ufficiale meno brusca, se l’ufficio del sindaco di sinistra non stia agendo come seconda lama del rasoio della gentrificazione in corso. Alla fine del 2022 è stato distribuito un questionario comunale nei luoghi pubblici. Il titolo era: “Progetto di animazione della Plaine – Consultazione degli utenti”. Sotto forma di questionario a scelta multipla, è stato chiesto alle persone di definirsi (maschio, femmina, non-binario, altro); di definire lo spirito della Plaine (popolare, sovversivo, orientato alla famiglia, disobbediente, festivo, altro); di definire le attività desiderate (cultura, sport, cittadinanza, solidarietà, altro). Questo suggerisce che le attività spontanee (carnevale, sardinata del Primo Maggio, pranzo di quartiere, concerto pirata-punk, ecc.) potrebbero d’ora in poi essere soggette a consenso prima dell’autorizzazione ufficiale.

In queste condizioni, il futuro del carnevale indipendente è in discussione. Questo charivari punk e occitano, familiare e anarchico, autogestito e sardonico, non ha mai chiesto il permesso di esistere. A metà del 2013, quando Marsiglia era stata bombardata come capitale europea della cultura, le autorità hanno cercato invano di vietarlo. Ironia della sorte, nello stesso periodo il MuCEM (Musée des civilisations européenne et méditerranéennes) lo celebrava con una mostra intitolata “Carnevali, il mondo alla rovescia” – dimenticando di specificare che con questa doppia inversione si compie una rivoluzione a 360° che finisce per ristabilire l’ordine iniziale di cui il Carnevale si fa beffe.

Dopo il tentativo di proibirlo, e poi nella foga della fronda anti-ristrutturazione, questo carnevale di quartiere è cresciuto, attirando sempre più persone da tutto il paese e non solo. La sua follia colorata è apparsa sulla stampa locale, mettendo in ombra il triste carnevale ufficiale. A lungo andare questo successo, che inizialmente era la condizione della sua sopravvivenza di fronte all’ostilità delle autorità pubbliche, potrebbe ritorcersi contro di esso. Due pericoli, due trappole come Cariddi e Scilla minacciano il Carnevale: può diventare una manifestazione mascherata che può anche portare a scontri rituali con la polizia; oppure può diventare un festival preconfezionato, dove la sua tradizione sovversiva verrebbe convertita in attrazione turistica.

Un mutamento è in corso, con l’ombra della metropolizzazione-mercificazione che incombe, ma la storia e la sua memoria sono lì, piene di energia che aspettano solo di sbocciare e rinnovarsi, nel calore dei legami e delle frizioni fertili che costituiscono la città – e nel calore dei futuri sconvolgimenti che le ingiustizie sociali dilaganti inevitabilmente provocheranno. Spetta agli abitanti e alle abitanti tenersi per mano. (bruno le dantec – traduzione di andrea bottalico)

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