Dobbiamo alla scuola canadese l’applicazione di un pensiero ecologico al suono. Siamo sul finire degli anni Sessanta quando Robert Murray Shafer introduce un nuovo modello di comprensione del suono a partire dai suoi valori simbolici, aneddotici e semantici. Nasce così il World Soundscape Project presso la Simon Fraser University di Vancouver: al centro della ricerca viene posto l’ambiente grazie alla tematizzazione del paesaggio sonoro. Ne nasce un testo, Il paesaggio sonoro. Un libro di storia, di musica, di ecologia che ancora oggi rappresenta una pietra miliare della letteratura musicale.
Tra gli obiettivi del World Soundscape Project c’è quello di creare una rete di compositori sparsi nel mondo e in grado di raccogliere e curare queste informazioni facilmente deperibili. Non manca Napoli: i suoi paesaggisti sonori si chiamano Dario Casillo e Cristian Sommaiuolo. Da più di un lustro portano avanti questa ricerca nata tra le mura dell’aula di Musica elettronica del conservatorio San Pietro a Majella. Ma il soundscape non si limita alla registrazione delle tracce audio raccolte qua e là con un registratore – parleremmo in questo caso di field recording, di registrazione audio su campo. Il WSP insiste invece sull’aspetto compositivo, sull’impiego di questi suoni nel contesto di una loro organizzazione, manipolazione, risemantizzazione.
Se l’esperienza dell’inquinamento acustico è ampiamente inscritta nel solco della modernità, il rumore che si agita al fondo della vita quotidiana diventa esso stesso sede di ulteriori approfondimenti. Dice Dario: «Dopo poche registrazioni ci siamo accorti della presenza di molti più suoni di quanti effettivamente pensavamo di ascoltare: abbiamo voluto ridare dignità al rumore di fondo della città». Cristian insiste molto sulla pratica dell’ascolto: «Ascoltare vuol dire prendere posizione nei confronti dell’ambiente che ti circonda». Al di là delle differenze di nozione tra ascoltare e sentire, la pratica dell’ascolto viene ridotta quotidianamente alla subordinazione. Semmai usiamo il suono come a chiuderci in una bolla, quando ci inserriamo nel privato dell’ascolto auricolare.
Insomma, la relazione tra suono e ambiente si gioca su molti, diversi piani. “Realizzeremo, sistematicamente, delle registrazioni audio dei luoghi acusticamente significativi – strade, piazze, metropolitane, treni, autobus, mercati e di tutti quei suoni in via di estinzione”, scrivono sul loro sito; accanto ai testi troviamo diverse fonografie della città di Napoli – e non solo – messe a disposizione per gli utenti della rete. Il progetto resta altamente inclusivo, pronto a raccogliere i contributi degli interessati di turno.
Il tema del paesaggio sonoro acquista rilievo nel momento in cui ci accostiamo alla storia dei suoni nella loro quotidianità: al pari che le immagini di città, offrono un punto di vista prospettico sui cambiamenti della società. Non è il caso delle metropolitane di Napoli, ma la crescente operazione di riduzione del rumore applicata ai mezzi di trasporto racconta bene il rapporto dell’uomo col suono prima che con l’ambiente. Lo stress auditivo cui siamo continuamente sottoposti lavora silenziosamente l’inconscio acustico e viene implicitamente somatizzato. Solo quando parliamo di inquinamento acustico, tutto risulterà ancora più chiaro: solo quando scatta l’allarme, ci si anima per respingere il pericolo.
Rilevare il suono che ci circonda perché preziosa palestra di educazione all’ascolto: si tratta di un metodo alla portata di tutti, che ci porta direttamente tra le onde del fenomeno acustico senza vederlo ridotto necessariamente alle altezze musicali. Lo si considera nel suo statuto di informazione complessa.
In una città come Napoli, il suono racconta al pari che le campagne di scavo la stratificazione urbana della città, soprattutto al cospetto dei tempi moderni. Stretto è il rapporto tra il suono e la sua memoria. Ci preme ricordare come i suoni rischino continuamente l’estinzione: il punto è che non basta raccoglierli per salvarli. (antonio mastrogiacomo)
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