Martedì 5 dicembre a Roma sono stati occupati contemporaneamente nove licei pubblici: Tasso, Mamiani, Morgagni, Righi, Virgilio, Manara, Archimede, Aristofane e Colonna; nel mese precedente avevano occupato anche il Rossellini (cine-tv), il Ripetta (artistico) e l’Albertelli (classico). “Sentiamo l’esigenza di creare una nuova idea di scuola e solo bloccando il vostro tempo, è possibile prenderci il nostro”, scrivono le studentesse e gli studenti del Coordinamento Autonomo Romano, che hanno dato vita alle occupazioni di dicembre.
Le occupazioni degli studenti e delle studentesse romane in questi mesi hanno messo in luce le mille forme di definanziamento e depotenziamento della scuola pubblica; alcuni hanno collegato la mancanza di fondi all’aumento delle spese militari – “Per una scuola pubblica con la Palestina nel cuore” era uno degli slogan della giornata di mobilitazione studentesca del 17 novembre –, altri si sono opposti alla digitalizzazione forzata della didattica promossa dal PNRR, che sottrae fondi a ogni altro aspetto della vita scolastica. Pubblichiamo un contributo che fa il punto su questo aspetto della mobilitazione nelle scuole, in particolare da parte della componente docenti e genitori.
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L’11 novembre nello storico liceo Tasso di Roma si è tenuto un convegno dal titolo “Scuola 4.0: escludere i corpi per controllare il pensiero”, organizzato da un’aggregazione nazionale di docenti e genitori. Hanno partecipato un centinaio di persone, più cinquanta da remoto attraverso una piattaforma non proprietaria. Il convegno ha analizzato la profonda trasformazione della scuola pubblica determinata dai fondi PNRR per la scuola, come fase suprema e finale del processo di smantellamento dell’istruzione pubblica di massa iniziato oltre venticinque anni fa con la cosiddetta “autonomia scolastica”.
Lo strumento impiegato oggi per indebolire ulteriormente le strutture scolastiche è la digitalizzazione forzata, un’azione trasversale che interseca tutte le attività previste dalla Missione 4 del PNRR, e che rappresenta la quadratura del cerchio dell’aziendalizzazione dell’istruzione pubblica. Il ricatto esercitato attraverso una quantità di finanziamenti mai visti prima impone alla scuola italiana una profonda innovazione che si autolegittima per definizione – pur senza alcun fondamento e riferimento scientifico –, ma violando le procedure legislative che ne regolano le riforme, calpestando diritti costituzionalmente garantiti: la libertà d’insegnamento per gli insegnanti, e il diritto degli studenti e delle studentesse a ricevere una libera e ragionata formazione culturale finalizzata al loro sviluppo integrale.
Il percorso che ha portato a questo convegno è iniziato quando una scuola di Roma per la prima volta rifiutò i fondi PNRR per la digitalizzazione. Il 4 maggio 2023, infatti, il consiglio d’istituto del liceo Albertelli si trovò a discutere due progetti per il piano “Scuola 4.0”, presentati appena pochi giorni prima, ed elaborati personalmente dal dirigente scolastico che non li aveva neanche presentati al collegio docenti. Dopo una lunga discussione, i due progetti furono respinti con sette voti contrari (quattro docenti, uno studente e due genitori), due favorevoli (il dirigente scolastico e un genitore) e quattro astenuti (tre studenti e un rappresentante del personale Ata). Giornali e televisioni si affrettarono a stigmatizzare il “gran rifiuto” dell’Albertelli, con titoli come “Albertelli, crociata contro il PNRR, ‘Ai ragazzi non serve la tecnologia’” (Valentina Lupia su Repubblica, 15/5/2023).
Nessun giornale è entrato nel merito dei progetti rifiutati: le tecnologie vengono presentate invariabilmente come “strumenti di inclusione”, e chi li critica come luddisti nemici del progresso. Ma c’è ben poco di progressista nei progetti rifiutati. Il primo, “Next generation labs”, prevedeva una spesa di 124 mila euro per promuovere le “professioni digitali del futuro”, offrendo a studenti e studentesse la possibilità di diventare “esperti in Video Making, Produttori di Musica Digitale, Curation Manager (cura le nuove uscite nelle playlist, sic!), Digital Curator, Social Media Manager, Social Media Editor, Digital Media Curator”. Le “competenze digitali” da sviluppare erano: “saper girare video con uno smartphone, saper realizzare filmati e pillole per i social con attenzione crescente ai contenuti per le Instagram stories, saper analizzare i dati e i trend di ascolto streaming dei brani musicali”.
Il secondo progetto, “Next generation classroom”, prevedeva un debito di 150 mila euro per acquistare digital board, tablet e stampanti finalizzati a trasformare le aule in “ambienti ibridi” di apprendimento immersivo, che avrebbero portato “innovazioni organizzative, didattiche, curricolari, metodologiche” a cascata. Nonostante le molte parole dedicate al “benessere emotivo”, lo “stimolo relazionale”, lo “sviluppo dell’empatia” e il “rendere protagonista l’alunno che si avvicina sempre di più alla scelta consapevole del proprio ruolo nella società”, il progetto non contiene alcuna spiegazione o evidenza di come i dispositivi digitali possano concorrere a questi obiettivi. “La nostra scuola è già dotata di 41 smart tv, 7 proiettori, 49 PC Notebook, 41 PC Desktop”, dice un comunicato dei genitori, che due settimane dopo la bocciatura hanno convocato un’assemblea scolastica a cui hanno partecipato più di un centinaio di persone.
Dopo aver minacciato il commissariamento della scuola se il consiglio d’istituto non avesse accettato i progetti, dopo ben quattro ulteriori bocciature da parte del collegio docenti (ripetutamente e illegittimamente convocato sullo stesso ordine del giorno), il preside del liceo Albertelli durante l’estate è riuscito a farli approvare ugualmente forzando le norme che regolano gli organi collegiali, con un colpo di mano coadiuvato dal ministero e dall’Ufficio scolastico regionale. Ma l’esempio dell’Albertelli è stato seguito da altre scuole, non solo romane, che hanno iniziato a mettere in dubbio il senso di questa pioggia di milioni per le nuove tecnologie. In tutte le assemblee svolte a partire da quel periodo è stato ribadito che la rottura del silenzio determinata dalla decisione dello storico liceo romano ha messo in crisi la rassegnazione dilagante e ha fornito energia e coraggio a centinaia di insegnanti, genitori e studenti per rimettersi in moto. Le prese di posizione e le mozioni nei collegi docenti si sono così allargate anche ad altre misure del PNRR Scuola, quali per esempio l’introduzione di orientatori e tutor, nuovi compiti e figure per il personale docente di cui non si sentiva assolutamente il bisogno. Queste “innovazioni” minano l’unità del collegio docenti incentivando la logica della competitività, delegittimano il ruolo dei consigli di classe e mutano il ruolo degli insegnanti, attentando quindi alla collegialità e alla pari dignità nel corpo docente.
Se analizzati dal punto di vista economico, i finanziamenti PNRR sono una vera iattura: sono soldi che i contribuenti italiani già hanno versato nelle casse dell’Unione europea e che ci vengono concessi in prestito a condizione di attuare riforme lontanissime dalle esigenze delle scuole, subordinando integralmente il mondo della formazione alle logiche neoliberiste e garantendo profitti enormi per le corporation del big tech. La restituzione – con gli interessi – dei debiti contratti si tradurrà in futuri ulteriori tagli alla spesa sociale e per l’istruzione, moltiplicando così i danni delle scelte politiche attuali.
Malgrado libri, studi e ricerche sempre più numerosi ne mettano in evidenza gli aspetti critici, nessuna perturbazione scalfisce la religione digitale (molti esperti parlano ormai di digital evangelist). Un documento votato all’unanimità nel 2021 dalla VII Commissione del Senato sull’impatto del digitale sugli studenti, per esempio, sostiene che “dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite, non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento. Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri”. A questo si aggiungono i gravi danni fisici (“miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscolo-scheletrici, diabete”) e psicologici (“dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia”), nonché “la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali, le facoltà che per millenni hanno rappresentato quella che sommariamente chiamiamo intelligenza: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica”. Un documento ufficiale Unesco dell’ottobre 2023, infatti, definisce gli impatti dell’educazione digitale durante i lockdown pandemici come una “tragedia ed-tech mondiale”: eppure il PNRR fa ripetutamente riferimento alla Didattica a distanza e alla Didattica digitale integrata (Dad e Ddi) come orizzonte applicativo delle tecnologie.
Una serie di altri interventi governativi dettati dal PNRR sono diventati finalmente oggetto di dibattito: la riforma degli istituti tecnici e professionali, l’accorpamento e il cosiddetto “dimensionamento” delle scuole, che prevedono di eliminare centinaia di plessi in tutta Italia, mentre finalizzano al lavoro precario i professionali e depotenziano il ruolo formativo dei licei; la burocratizzazione delle difficoltà degli studentiattraverso le certificazioni Bes, che mettono da parte la questione centrale – le risorse economiche necessarie – pretendendo di considerare le difficoltà come patologie. Inoltre, su alcuni istituti storici della capitale si addensano le nubi della chiusura, forse anche legati a un loro potenziale futuro riutilizzo immobiliare, viste la loro posizioni strategiche per un possibile uso turistico e ricettivo; tra questi, il liceo Leonardo da Vinci e lo stesso Albertelli, che hanno subito pesanti ridimensionamenti.
Ma ciò che preoccupa maggiormente è la subordinazione del sapere alle esigenze del modello produttivo e consumistico 4.0, cioè il liberismo economico: per ottenerla si sostituisce la formazione culturale profonda di giovani persone in crescita con l’addestramento del capitale umano alle nuove forme del lavoro; si marginalizzano le conoscenze per puntare esclusivamente alle competenze, in particolare quelle digitali. Al libero arbitrio dei soggetti, costruito su un sapere critico e plurale, si sostituisce il conformismo agli imperativi di un “mercato” non meglio definito, e l’obbedienza a chi lo domina; si riduce la relazione corporea per imporre la subordinazione umana alla macchina.
Dal convegno di novembre è uscita la volontà di creare una rete di collegamento a livello nazionale, che nei prossimi mesi promuoverà nuovi appuntamenti, come convegni, seminari e assemblee nelle diverse regioni italiane. Se questa idea di scuola ci vuole far tornare indietro di decenni o secoli, espropriando la cultura dalle classi sociali subordinate per restringerla nelle mani di pochi privilegiati, a questa marea che sembra inarrestabile si può invece contrapporre un’idea di scuola democratica, plurale, finalizzata alla crescita di persone consapevoli e libere. (mauro giordani)
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