I fazzoletti che si muovono al vento, annodati alle finestre del padiglione di Poggioreale che affaccia su piazzale Cenni, salutano le circa cento persone partecipanti al presidio di solidarietà ai detenuti svoltosi sabato mattina a Napoli. Alle spalle delle sbarre non si vedono facce né corpi, probabilmente qualcuno ha “consigliato” loro di rimanere nelle stanze senza affacciarsi. Si affacciano, invece, dalle torri del carcere, una mezza dozzina di agenti della Digos e della polizia penitenziaria, che riprendono dall’alto, con accuratezza, i partecipanti alla manifestazione.
In contrasto con la giornata di sole, l’atmosfera è malinconica, triste. I parenti dei detenuti leggono al microfono lettere ricevute o pronte per essente inviate. I militanti della rete che ha convocato il presidio e gli attivisti delle associazioni per la tutela dei diritti dei detenuti, leggono invece quelle ricevute ai loro sportelli, che hanno passato in qualche modo la censura del carcere e che denunciano le condizioni in cui si trovano i prigionieri e le prigioniere degli istituti penitenziari di Poggioreale, Secondigliano e Pozzuoli.
A partecipare al presidio ci sono attivisti da tutta Italia: Taranto, Bologna, Milano. La denuncia delle condizioni di detenzione, quella dell’istituto del “41 bis”, della violenza, dei suicidi (cinque dall’inizio dell’anno), sono comuni a tutto il paese. È noto, tuttavia, che il carcere di Poggioreale rappresenta la punta di un iceberg che la riforma penitenziaria – le cui bozze sono in discussione alla Camera – sembra non essere in grado di affrontare, se non da un punto di vista di una ulteriore razionalizzazione economica (taglio di spese e quindi di risorse). Con i suoi oltre 2200 detenuti – si legge nel lungo appello diffuso dagli organizzatori prima della manifestazione –, a fronte di una capienza massima di 1637, il carcere di Poggioreale presenta il tasso di sovraffollamento (+135%) più alto di tutte le prigioni d’Italia (la cui media è +115%). Gli esposti per le condizioni detentive sono tantissimi, senza considerare il processo che inizierà il prossimo marzo contro i dodici secondini protagonisti delle vicende legate alla famosa “cella zero”, al piano terra del penitenziario, ai quali si contestano reati come sequestro di persona, abuso di potere e violenza ai danni dei detenuti.
Al termine del presidio, lunghi applausi e una batteria di fuochi d’artificio, mentre le casse gracchiano le canzoni che i loro parenti dedicano ai detenuti accompagnadole con qualche breve messaggio di conforto.
Pubblichiamo a seguire alcuni estratti da testimonianze e lettere che sono state rese pubbliche nel corso della mattinata e per le quali ringraziamo gli attivisti della Mensa Occupata e l’associazione Ex Detenuti Organizzati Napoletani. (riccardo rosa)
* * *
Sono una detenuta di Pozzuoli ma scrivo anche da parte di tutte le altre, anche se nessuna di noi può firmare se no subito ci puniscono e ci mettono in isolamento, che è una stanzetta che puoi fare solo i bisogni personali e non stare a contatto con nessuno. Le lettere che vi mandiamo gli assistenti non ve le fanno arrivare per paura che vi scriviamo come siamo trattate e anche quando venite qua fuori non ci fanno parlare con voi liberamente sennò fanno abuso di potere incominciando a metterci i rapporti. Ci mettono i rapporti anche per una sigaretta, che è l’ultima cosa che ci è rimasta qua dentro.
Viviamo in una stanza in cui siamo degradate e costrette a vivere piene di umidità. La mattina dobbiamo alzare i materassi perché sono bagnati e quando viene qualcuno da fuori gli fanno vedere solo la terza sezione che è un po’ meglio. In ogni stanza viviamo in dieci e devi fare la fila per andare in bagno, svegliarti presto se vuoi farti una doccia prima che l’acqua finisce. Lo shampoo lo possiamo fare solo una volta alla settimana. Di inverno, tante volte, talmente che fa freddo, ci alziamo solo per mangiare.
Il vitto è uno schifo. È meglio mangiare alla Caritas che qua dentro. Chi ha soldi per comprarsi qualcosa da mangiare e cucinarlo stesso noi detenuti mangiamo, ma chi non fa colloqui o non ha soldi può fare solo la fame. Pure i prezzi sono un abuso di potere. Paghiamo tutto il doppio, anche la carta igienica, perché manco quella ci danno. Quando lavoriamo però il carcere si prende cinquanta euro ogni mese, noi prendiamo quasi l’elemosina e quindi questo è un altro abuso di sfruttamento vero e proprio.
Se qualcuno di notte sta male, l’assistente fa finta di non sentire, perché l’infermiera la notte non vuole essere disturbata. Quindi devi aspettare la mattina che passa il carrello, sempre pieno di psicofarmaci che vogliono darci per farci addormentare. A Pasqua l’anno scorso dormiva tutto il carcere e abbiamo avuto il dubbio che ci hanno messo qualcosa nel cibo perché non è possibile che dormivano tutte le detenute. (lettera inviata dal carcere femminile di Pozzuoli)
* * *
Dolcissima mamma, come prima cosa ho ricevuto la tua freccia rossa e da come ho letto stai in attesa che parlerai con la direttrice nuova. Quello che posso dirti è che mi sono stancato di farmi sempre flebo e siringhe. Fino a oggi ho ancora le coliche ma fortunatamente sono sopportabili. Digli alla direttrice: andate a vederlo mio figlio, prendete la sua cartella clinica e vedete quante volte ha fatto siringhe o flebo. Spero che la mia sofferenza si vada a togliere, ho trentatré anni non posso andare avanti sempre così. Qui mi tamponano soltanto, mi fanno antidolorifici e basta ma il problema ce l’ho sempre, è una settimana che non scendo neanche al passeggio per i dolori. La mia vita è nelle mani del dirigente sanitario, spero che si decide a mandarmi in ospedale. Mi hanno detto che mi hanno fatto il 438 per l’ospedale ma è dal 22 dicembre, stiamo al 2 gennaio ma quando è che mi portano? Mamma aspetto tue notizie, ti voglio bene, parla con tutti, digli: mio figlio si è stancato di soffrire. (lettera inviata dal carcere di Poggioreale)
* * *
In una cella piccola abbiamo sei brande e due finestre, una delle quali è occultata da tre brande. Abbiamo tavoli rotti, sgabelli rotti, abbiamo cinque bilancette (armadi, ndr) per sei detenuti, alcune addirittura senza ante e usiamo le coperte e gli asciugamani per non far entrare polvere. Abbiamo un bagno piccolissimo dove entra una sola persona e dove le mura sono piene di muffa. L’acqua è sempre fredda e sicuramente non potabile anche se non sappiamo come dimostrarlo. L’amministrazione ci consente solo tre docce a settimana, ma nel nostro braccio su quattro docce solo una funziona e la sera delle docce esce un odore nauseante che arriva nelle stanze. I prezzi della merce sono elevati rispetto ai prezzi esterni anche se i prodotti sono di scarsa qualità.
A parte il dottore generico, avere visite accurate e dai dottori specialisti è utopia. Per accertarsi di una patologia dove c’è bisogno di visite esterne per risonanze o tac devono passare lunghissime attese e a volte non vengono più effettuate. Nel reparto non c’è un defibrillatore e dopo le due del pomeriggio funziona solo l’infermeria centrale, dove per accedere ci vogliono almeno venti minuti.
La cucina centrale è piena di topi, non è igienica, ai detenuti che ci lavorano non gli danno abiti adatti per lavorare. Il cibo arriva in cella sempre freddo perché il carrello non è riscaldabile. (lettera firmata, inviata dal padiglione Salerno del carcere di Poggioreale)
* * *
Ho ricominciato ad avere forti dolori per la mia malattia, leucemia mieloblastica acuta. Dopo questi dolori alla schiena sono andato dal medico e ho incominciato una terapia farmacologica, gli ho spiegato che ero affetto da una patologia grave, lui ha segnato nel registro del padiglione (Milano) e mi ha chiesto una visita ematologica esterna dal carcere, ma non è mai avvenuta. Dopo è entrata un’altra dottoressa nel padiglione e allora mi sono segnato di nuovo in infermeria, ho spiegato il mio calvario, lei mi ha fatto tirare il sangue e mi ha trovato i valori un po’ alterati. Mi fece un sollecito per una visita fuori dal carcere ma non mi hanno portato mai, finché lei non andò di persona dal dirigente sanitario per vedere a che stava la mia richiesta ma la richiesta non era mai partita. Oggi ancora non ci sono notizie, io sono toccato da una patologia grave, è giusto che pago il mio debito con la legge ma non voglio pagarlo con la morte. Sono entrato nel carcere che pesavo 103 chili, oggi ne peso 86. Metto il mio nome e cognome qui sotto con la mia data di nascita, per tutelarmi. (lettera firmata, inviata dal padiglione Milano del carcere di Poggioreale)
Leave a Reply