“Strinse le palpebre, vide le scogliere ardere in un mare rosso e giallo di lingue di fuoco, i pesci galleggiare, con occhi cotti, bianchi, che pendevano sulle branchie arrostite, le squame carbonizzate, le spiagge di brace sfavillante ridurre le barche tirate a secco in tizzoni, mentre dalla distesa liquida in ebollizione, alghe, lattughe, si ergevano contorcendosi, anime del purgatorio in pena”.
Napoli brucia nelle pagine di Giuseppe Patroni Griffi¹ come nell’ultima notte dell’anno, diventa inferno, “nient’altro che un eufemismo per indicare l’interno della madre”². È il fuoco fuori, quello che basta solo guardarlo, un artificio, a metà tra un lamento e un crimine, il sogno di farsi stella e bruciare, all’infinito. È un’esperienza, e in quanto tale, “non si può avere, ma soltanto fare”³.
[fine primo tempo]
«La nostra forza nucleare è stata completata e sulla mia scrivania ho il pulsante» è l’incipit del discorso di inizio anno di Kim Jong-un. Il leader nordcoreano è persona assai vivace, “ca quann’era criatura hanne jettate o vellicolo dint’ò fuoco”, avrebbero scritto Cortese, Basile e Trinchera. Se nella sua infanzia infelice avesse tenuto in mano una candela magica o un palloncino che si illumina, oggi sulla scrivania avrebbe una lettera d’amore e si terrebbe cara la cenere del suo cuore.
È il fuoco dentro, che fa scintille nella pancia e accende lampi nella gola, quello che lascia addosso l’odore di zolfo e di silenzio, che solo i pompieri possono spegnere. Perché “cchiù fuoco e nuje nun ce po’ sta’”. (giusy palumbo)
¹ la morte della bellezza (g. patroni griffi, 1987)
² il presepio (g. manganelli, 1992)
³ infanzia e storia. distruzione dell’esperienza e origine della storia (g. agamben, 1979)
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