Dal 25 ottobre è in libreria nelle principali città d’Italia (qui indice e distribuzione) il numero uno de Lo stato delle città. Dalla rivista pubblichiamo integralmente l’articolo Sulle lotte dei fattorini di Andrea Bottalico.
Tra mobilitazioni in Italia e in Europa, incidenti e infortuni sul lavoro più o meno gravi, alcune evoluzioni importanti avvenute di recente meritano di essere aggiunte al testo che segue.
Il 7 novembre scorso a Roma, al ministero del lavoro e dello sviluppo economico, c’è stato l’ultimo incontro del tavolo negoziale con governo, associazioni datoriali, imprese di food delivery e rappresentanze sindacali autonome e confederali. In quell’occasione le aziende non sono state neanche in grado di trovare un accordo tra loro e solo all’ultimo momento hanno avanzato delle proposte, impedendo in tal modo la possibilità di una discussione tra le parti. L’associazione datoriale Assodelivery (che riunisce le multinazionali Glovo, Foodora, Deliveroo, Just Eat e Uber Eats) addirittura non è entrata nel merito dei punti sollevati nel corso del tavolo e ha chiesto, a partire dai contratti di lavoro autonomi, incentivi fiscali ed estensione delle tutele a spese dei contribuenti. In definitiva, l’ennesimo nulla di fatto ha ribadito una situazione di stallo priva di alcuna proposta concreta e la mancata volontà di avviare una trattativa. Mentre il governo, per nascondere la sua chiara passività, si limita a proporre una sintesi da presentare al prossimo incontro del tavolo, è in atto la riconfigurazione – e la concentrazione oligopolistica – nel settore del food delivery: oltre duemila rider di Foodora hanno dovuto interrompere il loro rapporto di lavoro con la piattaforma di consegna cibo, in seguito all’acquisizione di Foodora da parte di Glovo, piattaforma tecnologica di intermediazione per le consegne multi-prodotto a domicilio. Non sono ancora note le cifre di questa acquisizione. È noto solo che i rider di Foodora dovranno restituire il cubo rosa e potranno ricandidarsi per Glovo se vorranno, ma alle condizioni contrattuali di quest’ultimo, che non è obbligato ad assumerli.
Il 12 novembre l’Inps ha organizzato un incontro dedicato ai rider nelle sedi di Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma, Napoli e Palermo. Scopo dell’incontro è stato quello di “spiegare ai lavoratori le tutele previste dalla legge e di illustrare loro le modalità per verificare l’accredito dei versamenti contributivi previsti dal loro contratto”. Alla sede Inps di Milano l’incontro è stato disertato, nelle altre città la partecipazione è stata molto scarsa.
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Gli ultimi mesi trascorsi sono stati di grande importanza per i lavoratori delle piattaforme digitali di consegna a domicilio, e il fatto che la partita sia tuttora aperta induce a pensare che i prossimi mesi saranno altrettanto cruciali.
Per fornire uno stato dell’arte dei negoziati in corso al tavolo nazionale bisogna partire dalla scorsa primavera, quando è uscita la motivazione della sentenza del tribunale di Torino in merito al ricorso di alcuni rider di Foodora che chiedevano il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato con la multinazionale. Il giudice ha stabilito che i fattorini non sono dipendenti ma lavoratori autonomi. Di lì a qualche settimana poi sono accadute tre cose in particolare: l’assemblea nazionale dei rider a Bologna, l’apertura del corteo del primo maggio a Milano e in altre città da parte dei fattorini, infine il grave incidente che ha coinvolto un lavoratore di consegna di cibo a domicilio, sempre a Milano. A quel punto la stampa ha acceso i riflettori e i politici hanno cavalcato l’onda mediatica interessandosi a questo microcosmo lavorativo con le sue mobilitazioni che, in verità, sono in corso già da tempo. Almeno da due anni, infatti, tra i fattorini c’è chi parla di “caporalato digitale”, lottando contro le multinazionali delle piattaforme a Torino, Milano, Bologna, Firenze, Roma. Attraverso assemblee, scioperi, vertenze legali, si rivendica un contratto collettivo e condizioni di lavoro migliori, laddove il dispositivo tecnologico esercita controllo e disciplinamento sulla forza lavoro spacciandolo per autonomia.
Dopo l’assemblea nazionale a Bologna di metà aprile e l’elaborazione di una Carta dei Diritti, le istanze dei fattorini sono entrate in una dimensione istituzionale – sebbene il lavoro sindacale di base non si sia mai interrotto. I sindacati confederali si sono accorti in ritardo dell’esistenza di questa forza lavoro condizionata dalle tecniche digitali. Si è iniziato a discutere di contrattazione collettiva. Il governatore del Lazio Zingaretti ha proposto a metà maggio una legge regionale per i rider. Ma l’incostituzionalità di una legge di questo tipo ha rivelato piuttosto la necessità da parte del Pd di una testa d’ariete per entrare nel merito della questione, che intanto ha raggiunto l’apice della sua visibilità mediatica.
Anche a Milano, dopo il grave incidente in cui è stato coinvolto un fattorino e il conseguente presidio dei rider fuori al palazzo del Comune, l’assessorato al lavoro ha organizzato un tavolo di contrattazione con le rappresentanze autonome dei fattorini, le imprese, i sindacati confederali e le associazioni datoriali, allo scopo di elaborare una prima regolamentazione nell’area metropolitana in materia di lavoro, sicurezza e mobilità. È nato così uno sportello per i rider.
In seguito alla formazione del governo, il neo ministro del lavoro Luigi Di Maio ha dichiarato di voler normare il settore del food delivery e aiutare i fattorini per intervenire sullo stato di irregolarità che li penalizza. Tra le prime mosse quindi ha chiamato i rider bolognesi. Nel confronto – avvenuto attraverso una web call – si è ribadita la necessità di un tavolo nazionale. In seguito il ministro ha presentato la “clausola rider” contenuta all’interno di un pacchetto di decreti legge dal nome Decreto Dignità. I sindacati autonomi hanno chiesto di poter leggere la bozza del testo e hanno aperto un dibattito coinvolgendo i lavoratori. A Milano è stata organizzata una riunione per analizzare punto per punto la proposta di legge insieme ai fattorini. I rider torinesi invece si sono sfilati dal tavolo fin dall’inizio.
Foodora intanto, attraverso le dichiarazioni del suo country manager, ha minacciato di andare via dall’Italia se la clausola rider non fosse stata ritirata dal provvedimento legislativo. Quella bozza di testo conteneva alcuni elementi positivi – sebbene non sufficienti –, come il riconoscimento del rapporto di subordinazione per tutti i lavoratori delle piattaforme, l’abolizione del cottimo e il diritto alla disconnessione. I vertici di Foodora, insieme a una cordata di altre imprese italiane, in risposta hanno presentato un documento che proponeva un contratto di collaborazione a tutele minime con il mantenimento del cottimo.
In pieno agosto la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato il testo del Decreto Dignità, che non contempla alcuna modifica delle condizioni contrattuali dei rider. Scartata dal decreto la clausola rider, quindi, non restava che portare avanti i negoziati al tavolo nazionale al fine di trovare un accordo tra le parti. Al primo incontro di inizio luglio erano presenti il ministro con il suo staff, le rappresentanze autonome dei lavoratori, gli amministratori delle piattaforme digitali, i sindacati confederali e le associazioni datoriali. Dopo un giro di opinioni sono emerse richieste come l’applicazione di un contratto collettivo nazionale e il riconoscimento del rapporto di subordinazione, dei diritti sindacali e delle tutele previdenziali, l’accesso alla copertura assicurativa sociale, l’abolizione del cottimo e dei meccanismi reputazionali. A tali richieste si contrapponeva il rifiuto delle imprese di modificare il proprio modello di business. Il ministro del lavoro alla fine lanciava la proposta di un contratto collettivo nazionale di categoria, ma le rappresentanze autonome rifiutavano questa opzione, ribadendo la necessità di piene tutele e la richiesta di applicare anche ai fattorini il contratto collettivo esistente per il settore della logistica.
Nel frattempo i sindacati confederali, firmatari dell’ultimo accordo collettivo nazionale della logistica, inserivano nel contratto la figura del rider sottoposto all’intermediazione digitale, come facchino di sesto livello. Un accordo definito “storico” dagli stessi sindacati. Ma si tratta di un riferimento giuridico che non incide realmente sulla condizione dei lavoratori. Prima di tutto, l’inquadramento dei fattorini che svolgono consegne con biciclette, scooter e motocicli nel contratto nazionale non definisce i dettagli e rinvia gli approfondimenti a una trattativa separata. Quanto alla retribuzione, i rider hanno parametri propri, con orari di lavoro flessibili. Nel contratto nazionale non è possibile il pagamento a cottimo, quindi a consegna, ma è prevista nella contrattazione di secondo livello l’introduzione di premi. L’accordo nazionale proibisce anche il ranking reputazionale di ciascun lavoratore, i rider sono soggetti ai contributi previdenziali Inps e all’assicurazione Inail e i loro veicoli, compresi quelli non targati, devono avere un’assicurazione civile per danni a terzi. Ma resta aperta anche la questione dell’applicazione del contratto, i cui firmatari sono i sindacati confederali e le associazioni datoriali che rappresentano appunto il trasporto e la logistica. Sono escluse dalla sottoscrizione del contratto le associazioni datoriali che rappresentano le multinazionali del food delivery. In ultima istanza questo contratto, non essendo una legge, non le vincola.
Con il passare del tempo si è capito che il governo ha intenzione di chiudere al più presto i conti di questa faccenda. Se i negoziati hanno fatto sedere allo stesso tavolo imprese multinazionali che fino a quel momento rifiutavano ogni tipo di confronto con le rappresentanze sindacali – autonome e confederali –, d’altro canto finora tutto ciò non ha generato un avanzamento per i fattorini in termini di tutele e garanzie, e nemmeno il riconoscimento del rapporto di subordinazione – i veri obiettivi politici da perseguire. Ci si ritrova quindi in una fase di stallo in attesa dei prossimi incontri del tavolo nazionale.
A Pisa intanto, nei primi giorni di settembre, un pony express di ventinove anni è morto in un incidente mentre consegnava a domicilio due panini e una frittura per conto di un pub convenzionato con il gigante del delivery Just Eat.
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