Come ogni città d’Italia, anche Torino ha la sua piazza della Repubblica. Qui è conosciuta come Porta Palazzo, dal nome del mercato che sorge al suo interno, il più grande d’Europa – dicono. Su Porta Palazzo, in effetti, se ne sentono tante. Questa piazza torinese, così come i luoghi che conquistano la controversa etichetta di “multietnici”, è spesso al centro di narrazioni stigmatizzanti. Una veloce ricerca su Google News ci informa: “Racket a Porta Palazzo. Arrestati tre marocchini a Torino”, “Porta Palazzo, la droga è ovunque. Viaggio nell’ultima frontiera dello spaccio”. Tra le allarmate cronache cittadine, da qualche tempo si nota una variazione sul tema: “Porta Palazzo cambia volto, presentato al Centro Commerciale Palatinum il quartiere del futuro”. Il fulcro di antiche preoccupazioni e nuove attenzioni è proprio il Palatinum, detto anche PalaFuksas, dal nome dell’archistar che lo progettò vent’anni fa. Erano gli anni in cui Torino, accantonati i panni industriali, aveva deciso di indossare l’etichetta di “città creativa”; oggi rimane un’enorme struttura dall’aria dimessa in acciaio e vetro verde opaco. Quello che un tempo fu un disegno dal sapore futuristico presto avrà un nuovo nome, Mercato Centrale di Torino, che più che un nome è un marchio già presente in altre città italiane.
11 ottobre 2018. Anche questa mattina, sotto una grigia pioggia autunnale, il PalaFuksas si staglia in mezzo al via vai del mercato: la lunga fila di carretti di calzature alla sua destra, lo sferragliare dei tram di fronte all’ingresso, i tassisti alla sinistra. Solo i pochi habitué dello spiazzo sembrano tollerare la presenza di questa grande architettura che crea un sipario, una sorta di “dietro le quinte” in cui lo sguardo e il traffico della folla si interrompono.
Un nutrito gruppo di uomini in completo elegante entra con aria incerta nel Palatinum. Tra i cartelli di “fuori tutto” che annunciano le offerte speciali dei pochi negozi presenti al primo piano, delle voci rompono il silenzio. Affacciandosi a una balaustra posta al centro dell’ambiente spoglio e buio si scopre che provengono dal ventre sotterraneo dell’edificio e che parlano di futuro. Nella grande sala, su un palco montato appositamente tra le antiche ghiacciaie settecentesche, i riflettori sono puntati su un gruppo di persone che promettono di restituire alla città una Porta Palazzo illuminata di luce nuova. «Non è il solito freddo spazio per conferenze stampa!», esclamano – il che fa sorridere detto da laggiù. In questo scenario surreale, vengono presentati tre nuovi progetti.
Un architetto norvegese inizia a spiegare al pubblico torinese la storia centenaria del quartiere. «Qualcuno in sala conosce il norvegese?». Forse meglio usare l’inglese. Poi l’architetto racconta gli sviluppi del Progetto Combo promosso dalla società Gastameco, attualmente in cantiere. Nei locali che un tempo ospitavano la caserma dei vigili del fuoco sorgerà un ostello, «rifugio per studenti e giovani viaggiatori, per attori culturali dalle menti aperte», replica di un format già presente a Bologna e Venezia. Toni entusiastici si levano dal palco, finalmente Porta Palazzo avrà l’occasione di liberarsi dello stigma e uscire dall’ombra.
È il turno del secondo progetto, si parla ora del vicino mercato ittico. Due oratori, un architetto e un esponente del neonato consorzio di gestione, descrivono la nuova “boutique del pesce”: street food e bar di qualità accoglieranno i frequentatori del mercato durante il giorno, e un ristorante definito «non povero» sarà aperto anche di sera.
Infine, è il PalaFuksas a tornare al centro della scena: si vestirà di nuovo grazie alla Società Mercato Centrale, che da Firenze e Roma porta a Torino il suo marchio di successo. Cibo di qualità, con banchi di «artigiani del gusto», sarà accompagnato da eventi culturali e istallazioni di arte contemporanea. Nel nuovo polo, tra il vernissage per l’ultima opera di Pistoletto e una degustazione stellata, il torinese potrà finalmente sperimentare il connubio tra food e arte. È la «naturale evoluzione delle aree mercatali – dicono –, fenomeno irreversibile» da portare avanti con sei milioni di euro e l’aiuto del Comune, la prova che «la collaborazione tra pubblico e privato esiste e porta al successo».
Soddisfatti, i predicatori posano i microfoni e passano la parola al pubblico per qualche domanda veloce. Mentre qualcuno ringrazia con entusiasmo, dal fondo una voce prova a informarsi sul destino di attori finora mai nominati: che fine farà lo spazio circostante dove si riuniscono i taxi abusivi? E per il mercato delle calzature, che ogni giorno apre i suoi banchi davanti all’ingresso, è prevista una riorganizzazione? Risposta: «In coerenza con la funzione del Mercato Centrale, ci si occuperà della riqualificazione di tutte le aree circostanti e della pulizia dei luoghi intorno». Ma cosa significa pulizia? Da quali batteri e virus vogliono liberarci, quali le polveri che intendono eliminare? Una voce si leva a instillare un dubbio: la proprietaria di un bar, sito nello stabile acquistato dall’impresa dell’ostello, afferma di essere stata invitata – con una generosa buonuscita, si intuisce – a cedere il locale dopo trent’anni di attività. Sembra che le grandi pulizie spazzeranno via anche lei, effetto collaterale di un processo più ampio. «Sono stata praticamente sfrattata», afferma.
È giunto il momento di uscire dal sotterraneo. Inerpicarsi lungo scalette illuminate da piccoli fari, si rivela un’impresa tutt’altro che banale: perfino le persone che, a inizio conferenza, erano incaricate di mostrare la via sono sparite. Arrivare fuori è un’esperienza straniante. Ad abituarsi al nuovo ambiente ci si mette un po’, storditi dai colori, dalle voci, dai rumori che non si arrendono alla pioggia. Imperturbabile, la Porta Palazzo di cui tanto si è discusso finora, si mostra nella sua quotidiana routine, ancora ignara dei riflettori che presto la illumineranno.
Ogni luce, tuttavia, ha un cono d’ombra. Nel nostro caso sembra che sia fatto di persone e luoghi indesiderati o non in linea con la nuova atmosfera: famiglie e commercianti attualmente in affitto nell’edificio dell’ostello sono sotto sfratto. Qualche mese fa, diverse impalcature hanno oscurato la facciata del palazzo, materializzando improvvisamente l’intento degli investitori. Come nella vecchia metafora della polvere sotto il tappeto, si nasconde agli occhi del passante ciò che non si vuole far vedere.
Sistemato su due file di carretti, appena fuori dal PalaFuksas, si trova il settore degli ambulanti delle calzature che, all’11 ottobre, non erano ancora stati informati sul loro destino. Mimmo, il loro portavoce, aspetta risposte per la settimana successiva, quando è previsto un incontro con i rappresentanti del Comune, ai quali spetta la riorganizzazione del suolo pubblico davanti al nuovo mercato. Il colloquio sarà rimandato, d’altronde Mimmo ci è abituato; gli ultimi vent’anni di riqualificazione dell’area mercatale dal suo punto di vista sono stati un susseguirsi di promesse annunciate e poi disattese: una tettoia che riparasse dalla pioggia, uno spostamento al chiuso quando fu costruito il PalaFuksas, un parcheggio fisso per i camion. Mimmo è un fiume in piena mentre racconta la sua, la loro storia: «Ci volevano portare a una gestione non nostra della contabilizzazione dell’energia, ci volevano costringere a riunirci sotto un consorzio gestito da terzi, alla fine siamo rimasti senza luce», afferma riguardo al rifacimento del sistema di illuminazione della piazza nel 2005. La perdita di controllo sulla propria attività è una costante della vita del settore calzature, che ha subito uno dopo l’altro ripetuti spostamenti. Qualunque trasferimento, anche di pochi metri, può essere cruciale per il destino degli ambulanti: la clientela abituale, disorientata, potrebbe decidere di servirsi altrove. Quando finalmente avviene l’incontro col Comune, gli ambulanti delle calzature hanno un ennesimo déjà-vu: i banchi che si trovano proprio di fronte all’entrata del Mercato Centrale saranno ricollocati sul lato a sud dell’edificio. Il pubblico spiana la strada all’intervento privato, confermando il successo di una rodata sinergia.
Poco distante, una strada, via Priocca, incontra una piazzetta con alcune panchine in cemento disposte a mo’ di salotto urbano. Alle sue spalle, un edificio fresco di restauro con una grande vetrata puntellata da stencil colorati spicca in un contesto dal design decisamente meno sofisticato. Si tratta del social housing “Luoghi Comuni”, una residenza temporanea che affitta alcuni appartamenti a prezzi calmierati e altri a prezzi di mercato. «Con tanta luce, tutta una serie di equilibri si sposterà – afferma il gestore commentando i nuovi progetti –, chi deve fare cose più nascoste non viene certo a mettersi dove c’è una luce pazzesca, no?». Le attività illegali che ruotano intorno alla piazza probabilmente non si vedranno. Ma questo vuol dire che spariranno? O semplicemente si sposteranno un po’, in angoli più bui?
Il mercato di Porta Palazzo permette da sempre l’accesso di ogni bene e servizio alle più variegate tipologie di persone. Qui neanche i turisti mancano, il sabato all’ora di pranzo si mescolano agli altri avventori nelle file chilometriche fuori dalla “Pescheria Gallina” – dalle uova d’oro, è il caso di dirlo. Il format che combina la vendita di pesce alla possibilità di consumarlo in loco, viene eletto modello da esportare e replicare nella piazza. Portare l’eccellenza del food nel Mercato Centrale è un nobile intento, ma l’eccellenza ha un costo e non tutti possono sostenerlo. La politica dei tre progetti sembra inesorabilmente riferirsi a un pubblico che può permettersi triglie d’oro e toast gourmet.
Una manovra come quella in cantiere – combinazione di operazioni commerciali nella quale i manager indossano maschere filantropiche – potrebbe minare l’eterogeneità del pubblico. Il volto di Porta Palazzo che oggi non piace non riguarda soltanto lo spaccio o l’abusivismo, ma piuttosto l’evidenza della povertà. È un problema di ordine estetico, la miseria esibita intacca il decoro, arreca fastidio, non può essere sotto gli occhi dei buoni cittadini e non deve essere assolutamente mostrata ai turisti.
4 novembre 2018. Sulla facciata dell’edificio del mercato dell’Orologio, di fronte al PalaFuksas, le “luci d’artista” al neon ideate da Michelangelo Pistoletto recitano in varie lingue, probabilmente anche in norvegese, “Ama le differenze”. Ma questa domenica sera piazza della Repubblica non appare come al solito: dagli angoli della piazza e dai tram rumorosi emergono nuovi frequentatori. Il Club to Club, uno dei festival di musica elettronica più in voga negli ultimi anni, ha organizzato una serata proprio qui, sotto la tettoia del mercato, dove ogni mattina i contadini vendono i propri prodotti ortofrutticoli. Come sottolineato dal direttore artistico della manifestazione, l’obiettivo dell’iniziativa è «portare uno show in un posto che, fino a qualche ora prima, era vuoto». Quest’anno il tema del festival è, neanche a dirlo, “La luce al buio”, ennesimo e definitivo rimando al valore civilizzatore della luce. (collettivo opus incertum)
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