
“Immaginate una macchina con tutti i pezzi nuovi, che funzionano bene ma che non si riescono a mettere insieme… alla fine la macchina non parte”. Un esempio poco colorito ma quanto mai efficace che sintetizza lo stato attuale delle politiche europee e nazionali per (sui) rom. Il convegno dal titolo “Il prezzo dell’integrazione dei Rom” che si è tenuto al Dipartimento di Scienze Sociali Università Federico II dal 10 al 12 aprile, organizzato dal sociologo e attivista rom romeno Nicolae Gheorghe e da Alexander Valentino del Forum Campania Rom, è stata la dimostrazione concreta del divario profondo tra le linee guida “europee” e le applicazioni nelle politiche nazionali, in particolare campane, nel migliore dei casi assenti, nel peggiore dannose per almeno due generazioni.
Il convegno ha portato a Napoli un gruppo di studenti rom romeni dottorandi e post-doc di Sociologia e Ricerca sociale e della Scuola Nazionale di Scienze politiche e Pubblica Amministrazione dell’Università di Bucarest, all’interno di un programma di formazione finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE). Tre giornate intense, tra interventi di istituzioni europee, nazionali, locali, e di rappresentanti di enti e fondazioni rom e non rom provenienti da varie città, pranzi, tavole rotonde, presentazione di libri e tesi dei dottorandi.
Assenti, purtroppo prevedibilmente, i rom che abitano a Napoli (tranne, significativamente, un gruppo di giovani), anche quelli annunciati in cartellone. I motivi sono svariati: decine di anni di assistenzialismo e di vita nei campi hanno addormentato la “capacità” e forse anche la volontà di farsi sentire; per le istituzioni è più facile avere interlocutori non rom o al massimo individuare un solo rom con cui parlare; i processi di cittadinanza attiva costruiti in questi anni, per esempio quello che ha generato la Scola Jungla di “Chi rom e…chi no”, baracca costruita e tenuta in vita finora con gli abitanti del campo di Scampia, spesso si reggono con l’entusiasmo del lavoro di comunità, ma trovano debolissimi riscontri istituzionali e questo porta a una irrimediabile sfiducia o ad azioni distruttive; infine, la situazione è paralizzata se non degenerata su molti fronti e assistere a un convegno sembra forse una perdita di tempo.
Tuttavia, nelle aule di sociologia, si è respirata un’aria diversa, ascoltando un linguaggio inusuale, discorsi appassionanti e non le solite cantilene. L’Europa, qualunque cosa significhi, è sembrata un’entità meno astratta, più comprensibile, vicina, un riferimento a cui potersi rivolgere senza rischiare di sembrare ridicoli. In particolare, le parole del rappresentante della commissione europea, Alexandros Tsolakis, ci hanno portato a un piano ampio di discussione, in cui i fondi strutturali FESR – FES del 2014-15 / 2020-22 potrebbero essere messi a disposizione di politiche di lungo termine, abolendo i concetti di emergenza e di straordinarietà, considerando i rom non solo come destinatari ma come protagonisti, smettendola di usare superficialmente il concetto di partecipazione e favorendo la creazione di movimenti rom, che nel resto d’Europa sono decisamente più forti e consolidati dell’Italia. Tsolakis non è solo un’ottimista di larghe vedute e non può non esprimere preoccupazione per l’utilizzo dei fondi: già prefigura un fioccare di papers che basta contengano la parola “rom” e “integrazione” o “intercultura” per considerarsi buone pratiche; i rom da un lato continuano a essere vittime di razzismo e discriminazione a tutti i livelli, dall’altro però sono indubbiamente di moda e pian piano stiamo regredendo alla scoperta della danza, della pittura, del tratto indiano che li accomuna e che li rende inconfondibilmente rom…Per evitare il dilagare di troppo folklore e di troppi cialtroni, sono previsti tavoli regionali, meccanismi di controllo e Tsolakis accarezza l’idea di un “ombrello” europeo che ripari/supervisioni le politiche nazionali.
Ma immediatamente ritorniamo con i piedi per terra. La Regione Campania è al momento assente ingiustificata. Il referente dell’atteso tavolo territoriale non partecipa ai numerosi tavoli interistituzionali, occasioni di dibattito, campagne di promozione nazionale che si stanno susseguendo in questi mesi. Sappiamo che prima o poi arriveranno i fondi, che l’amministrazione sarà chiamata in causa con più forza e da più in alto e che per forza dovrà rispondere, e allora vedremo come si potrà assumere qualche responsabilità e quali competenze riuscirà a mettere in campo che non siano completamente dissociate dalle linee europee e dal linguaggio comune.
Ma ciò che definitivamente rompe l’equilibrio dei ragionamenti e trasforma questa boccata di ossigeno plurilingue in una cappa asfissiante, è l’incespicante discorso del dirigente dell’Ufficio rom e patti di cittadinanza del comune di Napoli, completamente fuori contesto. La sera a cena, uno dei dottorandi, di certo più scafato, ha precisato che spesso l’incompetenza è solo una scusa e una costruzione per mascherare precise volontà politiche.
Il comune, che dovrebbe essere il maggior interlocutore e applicatore delle linee guida europee tradotte nelle politiche locali, che assegna fondi pubblici (sempre meno in verità) per le politiche che riguardano i rom, non poteva fare una presentazione migliore, dimostrando di essere fermo all’età della pietra e di non aver nemmeno letto i titoli del programma del convegno. Dopo aver parlato di superamento dei campi, di progetti integrati, specifici ma non esclusivi, partecipazione attiva, diritti di cittadinanza, siamo piombati nella cruda realtà: ed ecco che i nostri interlocutori stranieri hanno appreso che la ex scuola Deledda di Soccavo è ancora adibita a centro di accoglienza (forse a vita) e portata come esempio di buona prassi istituzionale, ancora si è parlato di manutenzione dei campi, ancora riproponendo i campi stessi, ancora l’accompagnamento dei bambini a scuola con i pulmini, addirittura; ancora le emergenze, oggi Gianturco che si espande sempre più, domani chissà, poi un accenno per l’infausto commissariamento prefettizio dal 2008 al 2012, di cui si rimpiangono i fondi straordinari, e ovviamente delle difficoltà che si incontrano nei progetti per l’inclusione lavorativa in quanto i rom viaggiano spesso… Intervenire al termine del discorso sarebbe stato come sparare sulla Croce Rossa. Ma accartocciati sulle sedie, e con l’Europa di nuovo lontanissima, ci siamo chiesti per quanto tempo ancora siamo condannati ad avere queste amministrazioni pubbliche.
Il convegno, per coniugare la teoria alla prassi, ha previsto tavoli tecnici di lavoro e di discussione tra i partecipanti e un tour ai campi di Napoli e provincia, circa sessanta persone in giro con gli autobus a verificare l’effettiva disumanità della vita nei campi, in particolare a Giugliano e nell’area nord di Napoli, a Secondigliano, campo comunale, e Scampia, campo non autorizzato. La maggior parte degli studenti rom si sono però rifiutati di scendere e non si può che ritenere una forma di rispetto verso chi abita in questi campi.
Ma è stato certamente importante rendere partecipe il gruppetto internazionale del fatto che, per esempio, a Giugliano, dove la comunità rom è presente da almeno trenta anni, nel silenzio generale e con l’approvazione di amministrazioni pubbliche, servizi sociali e alcuni esponenti del terzo settore forse nostalgici di vecchie politiche, appena tre settimane fa è stata approvata la costruzione di un’area di sosta attrezzata nuova di zecca, con tanto di regolamento di gestione, in cui infilare 340 persone che attualmente vagano nelle campagne del giuglianese, mentre altre 120 vivono già in un campo comunale recintato da un muro e un centinaio invece è rimasto fuori sia dal campo che dall’area attrezzata (e forse si possono ritenere i più fortunati); così come constatare che il campo comunale sulla circumvallazione esterna a Secondigliano, sul quale pure vengono spesi dei soldi pubblici, sembra piuttosto un cumulo di macerie in cui le famiglie e i bambini sopravvivono tra la vigilanza sociale e un pulmino arrangiato che li porta a scuola; o che nel campo non autorizzato di Scampia, dove le signore della Kumpania hanno preparato una copiosa e deliziosa cena per la sera, da offrire ai partecipanti al convegno, manca l’acqua da giorni e quindi bisogna lavare e cucinare con le bottiglie comprate al supermercato. Secondo un proverbio ungherese, i rom possono vivere sulla cima di un ghiacciaio.
Il giorno dopo non riesco a partecipare all’ultima giornata di convegno, ho un appuntamento con una famiglia di rom romeni di origine ungherese che vive abusivamente, assieme ad altre duecento persone circa di varia provenienza, nell’ex campo profughi di Capua. La zona non è distante dal centro, un edificio diroccato in mezzo a una vasta distesa di terra, l’amministrazione comunale è apertamente ostile e minaccia continuamente lo sgombero, la rete di sostegno associativa è praticamente assente. Gli abitanti, che chiedono semplicemente una vita dignitosa per sé e per i propri figli, trovano prevalentemente lavoro stagionale (e a nero) in agricoltura nella provincia di Caserta.
È una bella giornata, chiacchieriamo nel cortile circondati da bambini, gli adulti raccontano storie di viaggio e di vita, cerchiamo di capire insieme come risolvere il problema del certificato di residenza, loro cercano di capire se dopo questa visita spariremo dalla circolazione. A un certo punto, a sirene spiegate e con molte sgommate arrivano carabinieri trafelati che minacciano perquisizioni nelle abitazioni di tutti loro perché è arrivata la segnalazione che un motorino rubato è stato portato “dove stanno gli zingari”. Non c’è evidentemente nulla da temere dal gruppetto di famiglie che sono lì riunite, ma il carabiniere che urla sembra molto spaventato. Nel frattempo, fanno salire in macchina due giovani presi a caso, che non provano nemmeno a difendersi, muti e rassegnati così come tutti gli altri. Mi intrometto per cercare di frenare l’abuso, sottolineo che sono italiana e faccio parte di un’associazione italiana, quasi non rispondono alle mie domande, ma sembra che i toni si abbassino un po’. Alla fine non trovano niente e prima di andarsene chiedono pure scusa ai ragazzi, facendosi sentire.
I blitz sono continui, raccontano dopo, la sorella di uno dei ragazzi non mi guarda nemmeno e si augura che gli italiani siano trattati male come lo sono loro. Ma comunque, in tanti sono sempre più convinti che presto se ne andranno dall’Italia, sempre più povera, razzista, ignorante, confusa. Ripenso al convegno e spero che nonostante tutto qualcosa si possa ancora fare. (emma ferulano)
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