Abbiamo intervistato Nataly Rengifo, artista, colombiana di Cali, che in questi giorni partecipa, insieme a migliaia di altre persone in tutto il paese, alle proteste iniziate tre settimane fa contro il disegno di legge del governo colombiano sulla riforma tributaria. La risposta delle autorità governative è stata di estrema violenza e Cali una delle città più colpite dalle scorribande degli squadroni antisommossa e dei gruppi paramilitari che agiscono con il beneplacito della polizia. Le fotografie sono di Ana Maria Ramirez.
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Perché e come sono cominciate le manifestazioni del 28 aprile?
«Il malessere verso il governo di Iván Duque stava crescendo da tempo. A questo si è aggiunta la pessima gestione della pandemia e la decisione di avviare una nuova riforma tributaria chiamandola Legge della solidarietà sostenibile, un eufemismo che cerca di nascondere e minimizzare il grave colpo che verrebbe dato alla già dissestata economia colombiana. Prima di questo progetto, il governo ha emesso almeno sette norme che hanno avuto un impatto significativo nel sistema tributario nazionale. Ma è stata senza dubbio una breve intervista al ministro delle finanze, Alberto Carrasquilla, una delle menti di questa riforma, a far traboccare definitivamente il vaso. Alla domanda su quale sia il valore di una decina di uova, nella sua crassa ignoranza e con una risata beffarda ha risposto 2.800 pesos colombiani, che equivalgono a 0,75 dollari, quando in realtà il loro valore minimo è di 10 mila pesos colombiani, equivalenti a 2,70 dollari. È stato in quel momento che molte persone comuni hanno deciso di unirsi allo sciopero nazionale, affiancando il Comitato nazionale dello sciopero composto da sindacati e da un piccolo gruppo di cittadini insoddisfatti. Questo progetto di legge mette le mani direttamente nel portafoglio dei colombiani, nel salvadanaio di tutte le famiglie. In un paese dove più di due milioni di persone possono mangiare solo due volte al giorno è inaudito che questa riforma possa essere solo pensata. È così che la pandemia è passata in secondo piano».
Tu hai partecipato alle manifestazioni. Chi è sceso in strada questi giorni?
«Partecipo alle manifestazioni, vivo nel municipio di Yumbo e nella città di Cali. Siamo persone di tutte le classi sociali, per le strade si vedono persone di tutte le età, famiglie intere, bambini, adulti, anziani e in maggioranza giovani, molti giovani».
Ci sono formazioni politiche o sociali che hanno un ruolo di organizzatori?
«Sì, ci sono. Sono il Comitato nazionale dello sciopero, i sindacati dei lavoratori e quelli dei pensionati, i sindacati degli insegnanti, le associazioni degli agricoltori, dei trasportatori, l’Organizzazione nazionale indigena, il Consiglio regionale indigeno del Cauca, l’Autorità indigena del sud-ovest colombiano, organizzazioni sociali come il Congresso dei Popoli e tanti altri movimenti e partiti politici. Tutti provengono da diverse città, però nelle manifestazioni si sono aggregati senza bandiere».
In che città si concentra la repressione della polizia?
«Cali, Medellín, Bogotá, Yumbo, Armenia, Buga, Tuluá, Ibagué, Pereira, Soacha e Floridablanca. La più colpita è stata Cali, che da diversi giorni è stata militarizzata per ordine del presidente. La città è sorvolata costantemente, giorno e notte, da elicotteri a bassa quota per intimorire la popolazione, mentre per strada si sparano gas lacrimogeni e colpi d’arma da fuoco. Diversi picchetti dei manifestanti sono stati attaccati, tanto di giorno come di notte, provocando morti e feriti. L’abuso delle autorità non è un mistero per nessuno, io stessa l’ho vissuto personalmente, ciò mi ha fatto perdere fiducia nella polizia e mantenere una distanza prudente, non voglio diventare un numero in più tra i morti fatti dalla polizia in questo paese. Partecipo alle manifestazioni pacifiche, ma so che quando arriva il buio la repressione è più forte. Per fortuna, grazie alla immediatezza dei social network, possiamo conoscere in diretta quello che sta succedendo in tutto il paese. Circolano una quantità di video nei quali si vedono chiaramente gli abusi e il massacro che il governo sta realizzando. Noi condividiamo in tutti i social network quel che vediamo e quello che ci inviano, ovviamente verifichiamo la provenienza e la veridicità prima di pubblicare. Inoltre scarichiamo i file e li inviamo ai nostri amici che stanno archiviando questo materiale per mandarlo in altri paesi. Abbiamo abilitato diversi numeri dove possiamo condividere i materiali. Per fortuna, oggi quasi tutti abbiamo un telefono in mano per tutto il tempo, così possiamo registrare prove e creare una rete di comunicazione più affidabile».
Chi governa in Colombia in questo momento?
«In Colombia governa la corruzione, governano i narcotrafficanti che con il loro denaro finanziano le campagne politiche per collocare i loro burattini in tutte le posizioni di vertice e che promuovono i gruppi armati illegali. Governa la violenza, la legge si piega al miglior offerente e al benessere di pochi, ovvero le banche, le multinazionali, i narcotrafficanti, lasciando un popolo intero affamato, senza educazione e senza servizi sanitari adeguati. La Colombia è stato un paese in guerra per molto tempo, con l’accordo di pace e la scomparsa dell’esercito guerrigliero delle Farc, al governo non restavano più molte opzioni per addossare la colpa della instabilità economica e sociale. Così è venuto fuori quello che tutti abbiamo sempre saputo: la corruzione è il male più grande che affligge la nostra nazione. Questo governo aveva promesso di non concedere denaro pubblico agli stessi di sempre, invece li ha avvantaggiati anche in questo periodo di recessione dovuto alla pandemia. Inoltre, cercando di aumentare la popolarità del presidente Duque sono state effettuate spese inutili in propaganda, sono state fornite nuove armi da guerra sia all’esercito che all’Esmad (Squadrone mobile antisommossa), mentre ancora non è stato realizzato un piano efficiente per vaccinare la popolazione».
Come stanno informando i mezzi di comunicazione colombiani su questi avvenimenti?
«Come lo hanno sempre fatto: con falsità e inganni, raccontando i fatti a metà, manipolando le persone che ancora si sintonizzano sui loro notiziari, o leggono i loro giornali e riviste. In questo modo creano un clima di odio verso le manifestazioni. Molti di noi per informarci ormai utilizziamo piccoli canali indipendenti o ci affidiamo a pochi giornalisti integri che si sono separati dai mezzi tradizionali e pubblicano contenuti in rete, inoltre condividiamo informazioni con i nostri amici e conoscenti per capire quello che sta realmente accadendo».
L’emergenza pandemica è stata utilizzata dal governo per fermare le manifestazioni?
«Certo, fin dall’inizio diversi politici si sono pronunciati contro “lo sciopero nazionale” affermando che in questo modo i contagi sarebbero aumentati, che non era prudente in questo momento e incolpando le manifestazioni dei contagi quando le strutture sanitarie sono sempre state inadeguate per fronteggiare l’emergenza a causa dello spreco di risorse pubbliche. Siamo coscienti del rischio che ci prendiamo, ma quel che sta accadendo è così grave che nemmeno la pandemia potrà fermare l’esplosione sociale in corso. Il popolo colombiano è stanco di tanta corruzione, dei furti di chi dice di lavorare per il popolo sprecando i soldi delle nostre tasse, effettuando abusi di potere, maneggiando male le risorse naturali. Molti colombiani pensavano che la guerriglia fosse l’unico male di questo paese. Invece oggi vedono altri mali come la corruzione, il furto e lo spreco nel bel mezzo di una crisi mondiale. Grazie alla pandemia il nostro paese ha avuto una reazione, siamo stanchi di tanti abusi, di tante bugie. Con la pandemia abbiamo perso tanto, compresa la paura di alzare la nostra voce che è l’unica cosa che ci rimane».
Si parla di molte persone scomparse. C’è il timore di tornare al periodo dei “falsi positivi”. Puoi spiegare il significato di questa espressione?
«Più di cinquecento persone sono scomparse dall’inizio delle proteste. È una cifra allarmante. Adesso i “falsi positivi” si trovano nelle città… Questa strategia è nata durante i mandati dell’ex presidente Uribe, che facendo “vittime nella guerriglia” cercava di mostrare i risultati della sua lotta contro i movimenti sovversivi e vendere al popolo la sua “Sicurezza Democratica”. A oggi la JEP [Giurisdizione Speciale per la Pace, che giudica i crimini commessi da entrambe le parti nel periodo della guerriglia] riconosce che furono 6.402 i civili assassinati e fatti passare come guerriglieri quando non lo erano. Eppure, molte madre di scomparsi gridano che sono stati più di 15 mila i giovani morti in esecuzioni extragiudiziarie, ai quali veniva offerto un lavoro, un’opportunità di uscire dal loro stato di povertà per poi essere caricati su camionette e assassinati a sangue freddo, in luoghi solitari. I loro vestiti venivano bruciati e loro venivano rivestiti come guerriglieri, addirittura con gli stivali, per farli passare come combattenti. Questa è stata la falsa “sicurezza democratica”, ordinare l’esecuzione di migliaia di persone solo per la loro condizione sociale ed economica».
Ci sono molti infiltrati nelle manifestazioni?
«Sì, sono stati pubblicati video dove si vedono persone lontane dalle manifestazioni pacifiche che incitano alla violenza e cominciano a effettuare atti vandalici che generano paura e panico nei quartieri, però in realtà ci sono la polizia e il governo dietro questi eccessi. Anche la Guardia Indigena ha catturato poliziotti coinvolti in questi gesti. Inoltre, tutte le manifestazioni pacifiche sono diventate violente con l’arrivo degli squadroni dell’Esmad, seguiti dalla polizia che attacca con armi da fuoco direttamente la popolazione civile. Questi attacchi ai manifestanti sono diventati una cosa consueta, come se fosse normale… Inoltre, durante le ultime notti i picchetti sono stati attaccati da camionette bianche, che sembrano essere composte da civili e che sparano indiscriminatamente contro questi picchetti. C’è una linea molto sottile tra polizia e paramilitari. Occultano il loro numero di identificazione, escono per le strade armati e vestiti da civili, il loro comportamento non è quello che ci si aspetta da una forza creata per proteggere i cittadini».
Ci sono state morti tra le popolazioni indigene durante le proteste?
«Al momento si parla solo di feriti. Nella zona sud di Cali il popolo indigeno che accompagnava pacificamente la manifestazione è stato attaccato da cittadini vestiti di bianco che si autodefiniscono “gente de bien”, però erano armati e hanno cominciato a sparare alla Minga Indigena con armi di alto calibro, appoggiati dalla polizia».
Chi sono i responsabili politici di quello che sta accadendo?
«Il principale responsabile è il presidente Iván Duque, con la pessima gestione del paese e il fatto che ha concesso uno spazio di dialogo solo a persone o enti che non hanno nessuna relazione con gli scioperi e che sono totalmente disconnessi dalla realtà del paese. Altro responsabile è l’ex presidente Alvaro Uribe. Duque è lì perché è stato scelto da lui e si sa che molte decisioni prese dall’attuale presidente sono avvenute per scelta o approvazione di Uribe. Altri grandi responsabili sono i politici corrotti legati al narcotraffico presente in Colombia da molto tempo, le loro droghe e il loro sporco denaro sono colpevoli della crisi che vive il nostro paese. Alla fine tutti siamo colpevoli per essere permissivi davanti a tante ingiustizie e disuguaglianze. Persino voi che non vivete in Colombia se consumate la droga che si produce qui siete colpevoli di quello che sta accadendo. Pensateci bene prima di assumere cocaina, questa droga è sporcata dal sangue di un paese intero».
Vi aspettate un aiuto dall’Onu o dalla comunità internazionale? E di che tipo?
«L’Onu è presente nel paese come osservatore insieme al resto della comunità internazionale, ma in realtà non crediamo che serva a molto. Molti paesi si trovano nella stessa situazione o in una situazione peggiore della Colombia e non è stato fatto niente di concreto. In Colombia non abbiamo bisogno dei vostri soldi, non abbiamo bisogno di più armi, è necessario che smettete di comprare le droghe che vendono i narcotrafficanti colombiani, così potranno perdere il loro potere politico ed economico che invade tutte le strutture sociali in questo paese».
Quali sono i prossimi appuntamenti della protesta?
«Il 10 maggio scorso il presidente si è incontrato a Bogotà con il Comitato dello sciopero nazionale, ma come ci aspettavamo non si è arrivati a nessun accordo. Il giorno dopo è arrivato a Cali, dove da giorni si chiedeva la sua presenza. Senza dubbio, la lotta continuerà fino a quando non saremo realmente ascoltati e fino a quando questo paese sarà quello che veramente sogniamo». (a cura di marco maria donnarumma)
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