I primi di aprile, nel corso di una delle passeggiate clandestine attorno al mio palazzo, ho incrociato un’amica, in realtà è la sorella di un conoscente, una mamma che vedevo a volte sulla via di scuola e salutavo appena, ma in queste settimane ogni incontro è un pretesto per fare due chiacchiere, sfogarsi e recuperare i confronti mancati. Dopo un brevissimo scambio di circostanza la signora mi ha subito resa partecipe delle sue enormi preoccupazioni: quando si è laureata ha scritto una tesi sul lavoro femminile e le crisi economiche nella storia contemporanea; le donne, soprattutto se madri, come tutti i segmenti fragili della società, hanno sempre risentito pesantemente delle crisi, mi spiegava, peggiorando la loro posizione lavorativa o perdendola del tutto. Ora, a distanza di una ventina di anni dalla sua tesi, non avrebbe mai immaginato che il tema tornasse così brutalmente d’attualità e soprattutto non avrebbe mai pensato di dovere combattere con il marito per fargli capire che si sarebbe dovuto prendere lui un congedo parentale in queste settimane di quarantena, visto che lei aveva delle consegne urgenti da portare a termine. Non solo, oggi che il marito è finalmente in congedo, gestire il lavoro da casa, la cura dei bambini e le faccende domestiche per lei sta diventando una tragedia.
La questione è nota: nonostante i dati sull’occupazione femminile negli ultimi quaranta anni siano andati crescendo, l’Italia è ancora tra gli ultimi paesi d’Europa, molte donne svolgono lavori al di sotto delle loro competenze e del loro livello di istruzione, la percentuale delle precarie aumenta in modo esponenziale dopo la nascita del primo figlio e le retribuzioni ancora soffrono di una disparità di genere. In questi due mesi, con le scuole chiuse, il telelavoro, l’arresto delle attività e la forzata vita tra le mura domestiche, si sono ovviamente saturati i colori di questa già deprimente fotografia. L’ho ascoltata con attenzione, per poi congedarmi con la coda tra le gambe.
La mia situazione lavorativa è diversa da quella della signora, faccio parte di quei fortunati che possono svolgere il loro lavoro da casa ma tra questi sono nella categoria di quelli con meno garanzie, in quanto autonoma e precaria, per molti versi perciò sono molto più esposta di lei a un imminente tracollo economico, ma godo del vantaggio di avere preservato un certo equilibrio all’interno della famiglia. Sia io che il mio compagno abbiamo un lavoro autonomo e precario, sappiamo cosa significhi organizzarsi autonomamente, scrivere per giorni progetti che probabilmente non vedranno mai la luce, trovare un angolo dove lavorare quando un ufficio non esiste, darsi degli orari quando non c’è nessun cartellino da timbrare. Da quando è iniziato il lockdown abbiamo perso molte committenze, ma continuiamo a dividerci equamente tempo libero e tempo da dedicare al lavoro o alla sua ricerca; nessuno di noi due ha diritto a un congedo parentale né a un’eventuale cassa integrazione, abbiamo però ottenuto i famosi seicento euro (già spesi tra bollette e assicurazioni) e fatto domanda per il bonus baby-sitter, nella speranza che un giorno torneremo a lavorare fuori e che qualcuno potrà entrare nella nostra casa per badare alle bambine.
Nel nostro caso le dinamiche familiari erano già costruite su una condizione lavorativa comune e la quarantena non ha modificato di molto le cose, ma in molte famiglie gli incastri quotidiani sono saltati ed è venuto fuori con forza un disequilibrio che mi sembra un forte campanello di allarme; ne ho parlato con molti amici, la maggior parte delle precarie e dei precari con cui mi sono confrontata ha smesso totalmente di lavorare, assorbita dalle faccende familiari e domestiche; c’è chi si ricava delle ore di notte, sottraendole al sonno, e c’è chi ha chiesto un aiuto esterno contravvenendo alle misure di distanziamento sociale. Mentre il lavoro dipendente sta gradualmente trovando nuove forme di organizzazione, i precari brancolano nel buio, schiacciati tra la famiglia e il blocco delle attività, soprattutto quando ci sono i figli. Molte delle persone oppresse in questa morsa sono donne e mamme, che già dopo la nascita del primo figlio hanno dovuto rivedere i propri piani di lavoro e le proprie aspettative, rimodulandole in modo da conciliare la loro professione con il loro ruolo di madri. Alcune hanno scelto di lasciare il proprio lavoro a tempo pieno e hanno optato per un orario ridotto, molte altre hanno perso il proprio posto e si sono riorganizzate, spesso inventandosi una nuova professione che svolgono in maniera informale e che oggi è messa a dura prova dalla convivenza h24 con il resto della famiglia.
Quello che ne è emerso dalla mia breve indagine è che ha sempre priorità, nella coppia, il lavoro più stabile e remunerativo, così se anche si lavora entrambi da casa, la videoconferenza del dipendente viene prima della riunione del precario e se il bimbo piange mentre entrambi i genitori sono al computer è sempre il precario a doversene fare carico. Tra la cerchia delle famiglie dei miei amici, tutti sicuramente con una certa mentalità progressista, non sembra trattarsi di una questione di genere, ma statistica vuole che a essere precarie sono più spesso le donne, soprattutto se madri, e quando sono dipendenti il più delle volte guadagnano meno dei compagni, per cui a parità di condizioni lavorative sono ancora una volta loro ad anteporre la famiglia ai propri impegni professionali. Certo, ci sono anche mamme che hanno fatto “della crisi un’opportunità”, coinvolgendo i figli nel loro lavoro, trovando nuove forme di conciliazione e nuovi equilibri, ma la quarantena romantica, lo sappiamo tutti, è un privilegio di classe, e non è difficile immaginare cosa potrà succedere in molte famiglie quando un lavoro faticosamente ottenuto da una giovane madre sarà concepito come lavoro da casa. Le aziende da anni si stanno sforzando di raccontarla diversamente e già nel 2017, Francesco Migliaccio, intervistando alcuni studenti della scuola di scrittura Holden, scopriva che la comunicazione esterna preferita dai vertici aziendali puntava sullo smart working e sulle sue comodità. Vuoi mettere la libertà di potere lavorare da dove ti pare, anche da sotto l’ombrellone?
Tralascio ogni considerazione economica e tecnologica – l’analisi dei costi del lavoro che verrebbero scaricati sui lavoratori o la pericolosità di veicolare dati sensibili sulle piattaforme online per esempio – e mi soffermo solo sugli aspetti affrontati finora. È inizio maggio ormai e siamo tutti certi che il ciclo scolastico di quest’anno è saltato, la verità è che non sappiamo neanche se e come riapriranno le scuole a settembre. In un dibattito su questa questione, il sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, ha detto che così si rischia «di produrre il più grande arretramento in termini di lavoro femminile della storia della Repubblica», confermando ancora una volta che la cura e l’organizzazione dei figli pende più spesso dalle parti delle madri.
Di recente ho intervistato un economista, nel corso della conversazione il professore ha sottolineato come il telelavoro, lì dove la professione svolta lo permetta, possa essere già nell’immediato futuro uno strumento utile per facilitare le donne nella conciliazione famiglia-lavoro. Ammesso e non concesso che siano principalmente le donne ad avere la necessità di conciliare, mi chiedo se questo sia vero; un telelavoro organizzato con intelligenza, che preveda momenti di scambio e incontro reali alternati alla possibilità di lavorare da casa, presenta molti aspetti positivi che abbiamo potuto toccare con mano in queste settimane: il tempo per gli spostamenti guadagnato, la facilità logistica di organizzare riunioni e incontri, la possibilità, a volte, di concentrarsi senza le distrazioni dei colleghi. Di certo tutto questo discorso non ha senso per le famiglie con bambini fino a che non riapriranno le scuole, ma anche quando questo accadrà, siamo certi che il sistema lavoro in Italia sia pronto per questo tipo di organizzazione? Io stessa, da sempre abituata a gestire un lavoro autonomo, se sono a casa non riesco a tralasciare i molti inciampi che separano il mio letto dalla mia scrivania e prima di accendere il computer sistemo la cucina, rassetto la cameretta delle figlie e metto i panni in lavatrice. Credo che se non si prevedano radicali incentivi alla paternità, se non si valorizzi il lavoro autonomo, se non si sostenga realmente la piccola imprenditoria, se non si estenderanno anche ai precari forme di sostegno economico efficaci, il telelavoro, per chi un lavoro ancora lo avrà, si rivelerà un boomerang per molte di noi. (marzia coronati)
Leave a Reply