Sono le 9:15 del mattino e nel patio dell’ufficio dell’Ong UDAPT (Union de Afectados por Texaco) si è presentato un gruppo di circa dieci persone. Vengono dalla foresta e dicono che alla comunità c’è stata una perdita di petrolio da una delle tubature di Petroecuador, l’impresa petrolifera statale. Raccontano che è la terza volta che succede negli ultimi quattro anni e che non ne possono più. L’aria è irrespirabile e la contaminazione ha invaso il fiume e ha raggiunto vari terreni e fattorie. In poche decine di minuti prepariamo il materiale per monitorare e documentare la perdita, prepariamo le carte legali per presentare la denuncia e ci dirigiamo verso la comunità Siche Urku. Lungo la strada, come lungo la maggior parte delle strade dell’Ecuador del nord, scorrono senza interruzione le tubature che trasportano il petrolio dall’Amazzonia alla costa, circa seicento km a ovest, dove viene raffinato; attraversano villaggi, comunità, città, costeggiano fiumi e strade, salgono e scendono dalle montagne, stanno sotto terra così come a cielo aperto, e spesso, troppo spesso, sono causa di tragici disastri ambientali.
Teatro di tale scenario oggi è la comunità Kichwa Siche Urku. Nel mezzo della selva amazzonica sulle sponde del Rio Aguarico, una macchia nera si espande attraverso le piante lungo un piccolo corso d’acqua, seminando morte tutt’intorno. Una delle tubature che trasportano petrolio ha ceduto, provocando la perdita di una quantità incalcolabile di crudo. L’aria è irrespirabile, brucia la gola e causa giramenti di testa. I bambini tuttavia continuano a giocare vicino al petrolio fuoriuscito e i polli ad abbeverarsi nell’acqua contaminata. Il presidente della comunità comincia a raccontare, pienamente cosciente della beffa, che Petroecuador è già venuta a riparare il danno.
L’evidenza però, racconta altrimenti. Per ottocento metri il petrolio colorava di nero la foresta. Questa fuoriuscita, infatti, come tutte le perdite che settimanalmente vengono riportate a UDAPT, è quasi impossibile da rimediare. Nessun intervento per quanto incisivo potrà mai ristabilire lo status quo antes. Se poi le imprese colpevoli della negligenza si limitano a riparazioni superficiali e mal condotte, alle comunità colpite non restano che due scelte: una, rimboccarsi le maniche e lottare con il supporto di UDAPT, l’unica Ong locale che opera direttamente sul campo, o piegare la testa e continuare a vedere i propri familiari ammalarsi di cancro e la propria terra contaminarsi accontentandosi di una ventina di polli e di una bacinella di acqua sporca donati dall’impresa.
La scelta potrebbe sembrare ovvia, ma per chi è vittima di queste ingiustizie non lo è. Motivo? La povertà. In Ecuador le compagnie petrolifere sono l’unica fonte di guadagno economico per molte comunità indigene, che vivono di caccia, pesca, agricoltura e pastorizia. Quando le compagnie offrono posti di lavoro ai locali, è difficile che l’offerta venga rifiutata. E quando i disastri, causati dalle tubature difettose o dai sistemi di combustione dei gas naturali derivanti dall’estrazione di petrolio, accadono, la paura di perdere il posto di lavoro per aver protestato è spesso superiore alla sete di giustizia. Inoltre le compagnie sfruttano la mancanza di conoscenze in materia di diritti umani delle comunità, e spesso minacciano, con l’aiuto dell’esercito, di arrestare chiunque provi a denunciare le cattive condotte delle imprese.
FUOCHI PERPETUI
Tuttavia quando a un uomo o a una donna non rimane più nulla, non ha nemmeno più nulla da perdere, e la voglia di lottare per la giustizia riesce a farsi strada. Tra questi c’è Don Alvarado, portavoce della comunità indigena Kichwa Siche Urku, padre di famiglia, contadino, e vittima dell’ industria petrolifera.
Don Alvarado è un uomo piccolo, con gli occhi vitrei, le mani grosse dal lavoro e la pelle rugosa. Quando l’ho intervistato se ne stava seduto su una panca di legno traballante, sotto il tetto di lamiera e con un pulcino che gli beccava gli stivali di gomma. Dopo qualche secondo in silenzio si è fatto coraggio e ha cominciato a parlare. «Prima ci sentivo bene, ora il rumore dei generatori ha reso sordo me e tutta la mia famiglia, nipotini inclusi. Prima ci vedevo bene, ora la luce del mechero mi ha portato via anche la vista. L’acqua non è più potabile, i pesci muoiono e i prodotti della terra che prima mi davano da mangiare ora non crescono più. Le galline e i maiali muoiono, e persino i cani si stanno ammalando. Ah, dimenticavo… la mia vicina è malata di cancro per aver bevuto acqua contaminata, ora la malattia le ha tolto l’uso delle gambe».
Le lacrime gli scivolavano sul viso mentre alle sue spalle, a qualche metro dalla sua hacienda, la fiamma di un mechero bruciava. Nella mia testa non riuscivo a smettere di chiedermi come potesse sopportare tale abuso da così tanti anni, guardarsi deperire e ammalarsi per colpa di un impresa che non solo ruba ciò che sta nella sua terra, ma che minaccia anche gravemente la sua salute, quella della sua famiglia e della sua comunità.
Nell’Amazzonia nord orientale ecuadoriana ci sono migliaia di Don Alvarado, cosi come esiste un numero in costante crescita di mecheros, che a oggi risultano essere 447 solo nelle provincie di Orellana e Sucumbios. Qui mecheros è il nome che si dà ai sistemi di combustione dei gas derivanti dall’estrazione di petrolio e che emanano fino a più di duecentocinquanta sostanze tossiche, tra cui idrocarburi aromatici e benzopirene, noti per essere altamente cancerogeni. Bruciano giorno e notte e nella maggior parte dei casi si trovano a poche centinaia di metri da scuole, centri abitati o campi sportivi. A causa di questa “tecnologia”, l’incidenza di cancro nella zona è spaventosamente alta: solo nelle provincie di Orellana e Sucumbios sono stati rilevati da parte di UDAPT più di cinquecento casi di cancro, il settanta per cento dei quali sono donne. A usare i mecheros sono tanto compagnie private come Petrobell s.a., Grantmining s.a., Pluspetrol Ecuador b.v., Andes Petroleum Ecuador ltd., Petrooriental s.a., Enap Sipetrol s.a., quanto l’impresa statale Petroecuador.
Ma oltre al danno la beffa: i malati di cancro non hanno dove curarsi. Lo stato ecuadoriano garantisce solo un giorno di chemioterapia a sue spese nella capitale Quito, situata a circa dieci ore di bus dalle regioni in questione. Ogni giorno extra sarà a carico del paziente. Inutile dire che quasi nessun abitante delle regioni amazzoniche ha la disponibilità economica per coprire i costi ulteriori delle cure. Questo si riflette in un tasso di mortalità elevatissimo tra i pazienti oncologici della regione.
RESISTERE
Tuttavia, ad accendere una speranza nella vita di queste persone c’è l’estenuante lavoro dell’avvocato Pablo Fajardo, fondatore di UDAPT e avvocato delle comunità indigene nello storico caso “Texaco vs the people”. Pablo è un rivoluzionario, un leader carismatico che si fa carico dei problemi della sua gente senza pretendere nulla in cambio. Dorme poco e lavora tanto, e non si tira mai indietro dal fare causa a imprese petrolifere che abusano della natura e delle comunità.
Nel 2021 ha vinto una sentenza storica contro lo stato ecuadoriano a nome di nove bambine tra i 9 e i 13 anni vittime degli impatti dei mecheros. Ciò che veniva richiesto era di eliminare definitivamente tutti i mecheros attivi nella zona. Il caso è stato vinto in seconda istanza, con l’ordine giudiziale di eliminare i mecheros attivi, nell’arco di diciotto mesi se questi sono vicini a centri popolati e nell’arco di nove anni se non lo sono. Sebbene questa vittoria legale sia stata una conquista importantissima, oggi, a tre anni dalla decisione del tribunale, nessun mechero è stato spento e il governo continua a ignorare le rivendicazioni di migliaia tra indigeni e contadini, lasciando che la gente muoia di cancro. Inoltre, nuove concessioni continuano a venir date alle imprese petrolifere e nuovi mecheros vengono attivati, come quelli recentemente installati dalla società canadese Gran Tierra Energy.
Il prossimo 31 marzo, come ogni 31 marzo, il ministero dell’ambiente dell’Ecuador sarà chiamato a rinnovare le licenze delle compagnie petrolifere per poter bruciare i gas derivati del petrolio. Questa è una grande opportunità sia per il nuovo governo Noboa di cambiare posizione di fronte alle ingiustizie, che per tutte le vittime dei mecheros per ottenere giustizia. Perciò le comunità amazzoniche stanno sviluppando delle strategie per esercitare pressione sul ministero e fermare il gas flaring una volta per tutte. Hanno pochi alleati nella lotta contro lo strapotere delle multinazionali ma continuano a lottare, senza paura, con la tenacia delle creature che costellano la loro cosmologia e la forza di quella foresta che da migliaia di anni è la loro casa e il loro tempio. (francesco torri)
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