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6 Novembre 2018

Urbanicidio napoletano. L’inarrestabile avvento della “città turistica”

-ma
(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

da: Corriere del Mezzogiorno

Da 18 al 20 ottobre si è svolto a Napoli il primo incontro italiano della SET (Sud Europa di fronte alla Turistificazione) una rete transnazionale che riunisce attivisti e amministratori di alcune città sudeuropee impegnati a contenere la turistificazione dei propri territori. Marco D’Eramo nel suo recente Il Selfie del Mondo. Indagine sull’età del turismo ha definito l’urbanicidio quel complesso di trasformazioni che investe un territorio diventato meta certificata del turismo di massa trasformandolo in città turistica. Per D’Eramo un urbanicidio è il risultato di un’azione coordinata di investitori privati e amministratori pubblici, orientata all’estrazione di profitto dalle porzioni di città a più alto capitale turistico (presenza di monumenti, musei, scorci tipici, ecc.). L’affermazione della città turistica implica l’accettazione acritica di ogni conseguenza deleteria per i residenti a vantaggio delle ricadute economiche (presunte o reali). Gli urbanicidi hanno cambiato il volto a città come Barcellona, Marsiglia, Venezia, provocando una standardizzazione della loro trama economica, sociale e culturale ma anche, in alcuni casi, dei movimenti di resistenza da parte dei residenti.

La sede napoletana per l’incontro della rete SET è dovuta all’evidente mutazione turistica che ha investito la città negli ultimi anni. Quartieri assai diversi tra loro sono, impercettibilmente, diventati parchi tematici per turisti puntellati da una miriade di “antiche trattorie tradizionali”, locali di street food, spritzerie, rivendite di souvenir neo-pittoreschi. A Napoli assistiamo a una declinazione originale del fenomeno: la città turistica diventa un’opportunità irrinunciabile per tutti gli strati della popolazione. Tanto nei quartieri popolari che nella Napoli bene è un fiorire di bed & breakfast, che oltre a offrire un posto letto propongono – con differenti sfumature – un certo “turismo dell’esperienza”. Il turista può scegliere di pernottare in bassi del ventre napoletano osservandone le pratiche di vita (il più delle volte riproposte artificialmente), oppure può sollazzarsi nelle belle case che fanno da sfondo a soporiferi sceneggiati televisivi. Insomma, sembra che la città alta e quella bassa procedano a braccetto. Il tema che tiene insieme tutto è la napoletanità, una risorsa simbolica (inventata) che vorrebbe lo spirito cittadino unico e inimitabile. Napoletanità che talvolta si sposa con la rivendicazione politica e identitaria di un autonomismo in grado di disinnescare ogni critica. Si manifesta un apparato simbolico che mette tutti d’accordo e fa del Vesuvio, di Pulcinella, della pizza, di San Gennaro, della miseria e della nobiltà le icone di una neo-pittoresca modernità partenopea. Sembra di rivivere nella “città pittoresca” di inizio XIX secolo dove povertà e bellezza erano le attrazioni principali per i viaggiatori che attraversavano una città malata. 

Nel XXI secolo, tuttavia, Napoli rischia di diventare la parodia di sé stessa. Perché? Perché gli attori del quotidiano, in nome di un immotivato primato dell’industria turistica, svendono la città enfatizzando un esotismo fatto di disservizi, disuguaglianze, abbandono. La bellezza rischia di scomparire in un’estetica standardizzata che si manifesta attraverso interventi urbani puntiformi e deregolamentati. Tutti vogliono approfittare di una congiuntura complessa ma governata in modo scadente, e quindi destinata a creare disastri nei prossimi anni. Il lassismo dell’amministrazione ha legittimato quel genius loci che fa dell’ammuina il proprio propulsore. Ci ritroviamo in una città poco accogliente in termini di servizi e organizzazione, mossa da micro-investimenti orientati alla creazione di micro-rendite fondiarie, da investimenti opachi che hanno drogato il settore dell’offerta enogastronomia, e da una movida che ha sbaragliato ogni politica culturale degna di questo nome.

Fare di Napoli un marchio significa favorire un’economia effimera incapace di ridistribuire ricchezza e di avere una ricaduta occupazionale che non sia precaria se non del tutto sommersa. La svendita deregolamentata dello spazio urbano alle magnifiche e progressive sorti della città turistica mortifica, al contempo, anche quei risvolti economico-culturali potenzialmente capaci di dialogare in modo virtuoso con l’industria turistica. Sembra che la gran parte dei napoletani (e chi amministra la città) stiano portando a termine, con malcelato orgoglio, l’urbanicidio perfetto: quello del neoliberismo più irresponsabile. (marcello anselmo)

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