Il progetto racconta la comunità cinese nella città di Prato, una presenza affermata da anni, in particolare come effetto della crisi che ha comportato il passaggio del controllo del settore tessile dagli italiani ai cinesi. Un passaggio che ha trasformato anche lo scenario culturale della città. Prato è oggi il centro di numerose e partecipate manifestazioni volte alla celebrazione e all’avvicinamento delle identità culturali dei due gruppi. Ciò nonostante, le due comunità soffrono ancora la mancanza di una reale integrazione.
La comunità orientale, proveniente per lo più dalla ragione dello Zhejiang, abita infatti, e non solo per propri limiti, ancora la città come uno spazio personale, i cui nuclei sono la chinatown a due passi dal centro e le numerose unità abitative intorno ai laboratori o agli stabilimenti tessili della zona industriale. Oltre all’aspetto territoriale, però, alla base delle difficoltà di interazione, un ruolo di primo piano è giocato anche dalla barriera linguistica, per oltrepassare la quale istituzioni e locali sembrano non fare abbastanza.
Questo lavoro fotografico vuole essere una testimonianza, ma allo stesso tempo stimolare una riflessione su come costruire una società nuova – partendo proprio dalle spinte economiche globali che muovono immense masse di persone – mettendo al centro il valore umano e non quello produttivo. Se dobbiamo per forza vivere in un mondo globalizzato, insomma, perché questo deve essere a misura economica e non pensato sui rapporti umani?
Il “modello cinese” nella città di Prato rischia di essere, in vista dei futuri sviluppi dei rapporti tra Italia e Cina, un modello “esportabile” in altre situazione di multiculturalità, viziate, per forza di cose, da valori e scelte economiche. È quindi giusto partire da lì, da quello che funziona e dai suoi limiti, per cercare di raggiungere un equilibrio che è prima di tutto un parametro di civiltà.
Testo e foto di Emanuele Gaudioso
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