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migrazioni
11 Giugno 2020

Da Dakar a Siviglia, l’odissea clandestina di Mahmoud e i suoi compagni

Gloria Pessina
(disegno di escif)

Sarà presentato questo pomeriggio nell’ambito di SalvamentiLive, rassegna che si occupa di narrazioni e migrazioni, il libro “Partire. Un’odissea clandestina” (Baldini&Castoldi). L’incontro verrà trasmesso a partire dalle 18,00 sulla pagina Facebook di Sos Mediterranee Italia. Saranno presenti i due autori, Mahmoud Traorè e Bruno Le Dantec, il traduttore Federico Brivio, e i redattori di Napoli Monitor, Andrea Bottalico e Gloria Pessina. Pubblichiamo a seguire una recensione del volume.

*     *     *    

“Tu racconti, io scrivo e firmiamo entrambi. Questo è stato il patto con Mahmoud. Era fuori discussione l’idea di rubargli la storia. Dal primo ricatto sul treno Dakar-Bamako fino alla sistemazione nei centri di permanenza temporanea, la sua avventura è segnata da una serie di appropriazioni indebite contro le quali ha lottato con ostinazione: non era certo il caso di concluderla con un’ulteriore estorsione”. Inizia così la prefazione dello scrittore marsigliese Bruno Le Dantec al libro Partire. Un’odissea clandestina (Baldini&Castoldi, 2018; traduzione di Federico Brivio), di cui è autore insieme a Mahmoud Traoré, voce narrante del testo che racconta il proprio viaggio iniziato nel 2002 a Dakar, quando aveva diciannove anni, e concluso nel 2006 a Siviglia.

Mentre il titolo dell’edizione italiana pone l’accento sulle peripezie affrontate dal protagonista, che assumono un carattere universale e a tratti richiamano quelle di un Ulisse contemporaneo, il testo originale in francese, intitolato «Dem Ak Xabaar». Partir et raconter. Récit d’un clandestin africain en route vers l’Europe (Nouvelles Éditions Lignes, 2012), rende esplicita la relazione tra le vicende vissute da Mahmoud e l’atto del narrare attraverso un linguaggio fedele alla realtà, ai sentimenti dell’avventuriero e alla sua memoria. La ricerca del linguaggio adeguato ha richiesto tempo e numerosi incontri tra i due autori, che hanno portato Mahmoud a riflettere sul percorso fatto e Bruno a interrogarsi sulla propria identità, chiedendosi nella pelle di chi si stesse calando per raccontare questa storia: “Non in quella di un romanziere, né di un universitario. Nemmeno in quella di un giornalista”.

Mahmoud non indugia sulle spiegazioni della propria partenza da Dakar, la città in cui vive con lo zio dopo aver lasciato il villaggio di origine, Temanto, nella Casamance, una regione al confine tra Senegal e Guinea-Conakry. In risposta alle preoccupazioni del cognato, tra i pochi a essere informati della sua scelta di partire, Mahmoud pensa: “A cosa serve il pessimismo di chi è troppo stanco per fare l’avventura: non sarò certo il primo ragazzo che decide di partire in maniera impulsiva”. E così, dopo aver attraversato la prima frontiera, una pozza d’acqua versata dalla sorella sul selciato davanti a casa allo scopo di proteggerlo nel suo viaggio, Mahmoud parte al seguito di un amico, certo che faranno fortuna in Costa d’Avorio, passando per il Mali.

All’arrivo a Bamako i due avventurieri, oggetto della prima estorsione di una lunga serie da parte dei doganieri, scoprono con sorpresa che la Costa d’Avorio è dilaniata da una guerra civile e decidono di cambiare rotta per dirigersi verso Nord. Hanno sentito racconti spaventosi sulla traversata del Sahara e sul razzismo in Africa settentrionale, ma il desiderio di fare l’avventura e migliorare la propria condizione economica ha la meglio sulla paura.

Da qui in poi, si entra nel cuore del racconto, che si divide in due parti: la prima corrisponde al viaggio di Mahmoud dal Mali all’Algeria, la seconda consiste nei tentativi ripetuti di varcare la frontiera tra Marocco e Spagna, che richiedono lo stesso tempo – due anni – che gli è stato necessario per spostarsi da Bamako ad Algeri. Nella prima metà del libro Mahmoud narra i viaggi da una tappa all’altra, ma soprattutto racconta le città dove trascorre poche ore o vari mesi, a seconda dei legami che stringe, delle opportunità e dei vincoli che incontra. Bamako (Mali), Niamey (Niger), Agadez (Niger), Sebha e Tripoli (Libia), Ouargla, Algeri, Maghnia (Algeria): da una città all’altra Mahmoud crea relazioni con nuovi compagni di viaggio, fondati sulla condivisione dell’esperienza, il mutuo appoggio e talvolta il conflitto. Impara nuovi mestieri, guadagna il necessario per proseguire nell’avventura o per aiutare i compagni, diventa più scaltro e riconosce con più facilità le intenzioni di chi lo circonda, in particolare di chi detiene il potere, che siano soldati, trafficanti o responsabili dei foyer in cui dormono gli avventurieri diretti verso nord, distinti in base al loro paese di provenienza.  

Con frequenza crescente nel corso dei vari capitoli, la narrazione è sospesa da alcune incursioni nei luoghi della memoria di Mahmoud attraverso alcune righe in corsivo che staccano dal racconto principale. Emergono così i ricordi del villaggio di origine, Temanto, di cui Mahmoud richiama via via la storia, le regole che governano la comunità, il ruolo degli anziani, la forte solidarietà tra gli abitanti e altri valori che lo guidano nel corso della sua Odissea attraverso l’Africa e verso l’Europa.

Nella seconda parte del libro Mahmoud abbandona il racconto delle città, per concentrarsi sui lunghi e faticosi percorsi a piedi, sui respingimenti e sulle tattiche che lui e i suoi compagni apprendono di volta in volta tra boschi, montagne, accampamenti e ghetti, mentre tentano ripetutamente di superare il confine tra Marocco e Spagna. Proveranno a Melilla, ma verranno respinti, e poi ancora, più di una volta, a Tetuan. Alla fine di settembre 2005, Mahmoud e altri compagni tentano un ultimo assalto alla frontiera di Ceuta, ormai esausti ma fiduciosi di essere abbastanza numerosi e uniti per riuscire nell’impresa. “Il bosco ribolle di sussurri e sembra essere arrivato a saturazione all’improvviso […]. Elettrizzata, la nostra armata di morti di fame scende verso la frontiera […]. Alle mie spalle, il clamore dei compagni che incalzano in massa fa pensare al fragore del mare che si rompe sugli scogli”.  

Mahmoud è tra quelli – uomini e donne travestite da maschi – che riescono a saltare oltre la frontiera, riportando ferite gravi. Troveranno posto nel Centro di accoglienza per immigrati (CETI) dove Mahmoud si riprende dalle ferite, in attesa di ottenere l’asilo in Spagna, e stringe nuovi legami con migranti provenienti anche da luoghi lontani, come l’India o il Bangladesh, e con attivisti europei accorsi a Ceuta per manifestare contro le violenze sui migranti. Grazie alla mediazione di alcuni attivisti, Mahmoud riuscirà finalmente a raggiungere Siviglia, dove scoprirà che “la vita degli africani in Europa è raramente invidiabile. Avere la pelle nera è quasi un delitto, veniamo visti come indigenti, incapaci o delinquenti”. Ancora una volta, a Siviglia, dove vive tuttora, Mahmoud si affiderà all’istinto, alle proprie capacità e alle relazioni con nuovi compagni ai quali inizierà a raccontare la propria storia, che riuscirà a condividere solo dopo molti anni con gli amici e i familiari rimasti a Temanto.

Come scrive Bruno Le Dantec, “il migrante, il rifugiato, il clandestino, il sans-papier, è una figura onnipresente nel mondo attuale. Leitmotiv dei notiziari, immagine lacrimogena, capro espiatorio prediletto dai politici, dato statistico allarmante, oggetto di tesi o protagonista di romanzi, troppo di rado ha la possibilità di raccontare, in prima persona, la propria storia e i propri sentimenti. Con Partire abbiamo voluto colmare questa lacuna”. (gloria pessina)

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