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21 Ottobre 2017

Autonomia senza fiducia. La Lombardia alla voting machine

Giusy Palumbo catalogna, fratelli d'italia, giorgia meloni, lega nord, lombardia, maroni, milano, salvini, scozia, veneto, venezia, zaia
(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

“La ricchezza del Nord è effimera al di fuori della coesione nazionale”. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, lo dice chiaramente: i referendum sull’autonomia di Lombardia e Veneto non la appassionano. Eccetto i leghisti, che i due referendum li hanno promossi e portati avanti, sono pochi i cittadini, tassisti e influencer inclusi, a cui interessano, almeno a Milano. Eppure il New York Times ha dato ampio spazio alla notizia, mettendo in fila Scozia, Catalogna, Milano e Venezia per insinuare il sintomo di un cambiamento politico in Europa. Anche The Economist preannuncia “divisioni e sconvolgimenti” in generale per la politica italiana e in particolare per Matteo Salvini che potrebbe mettere a rischio le sue ambizioni nazionali con un referendum “così anti-meridionale”. Proprio ora che la nebbia è arrivata anche a Napoli.

A leggerla all’inglese, Northern League, questa Lega Nord evoca cronache di ghiaccio, un mare di brividi e l’inverno in arrivo, invece dovremmo pensare solo al Carroccio, il carro trainato dai buoi che il leggendario Alberto da Giussano difese dall’esercito di Federico Barbarossa nella battaglia di Legnano, perché è da quello spirito di rivalsa medievale che viene il fuocherello separatista di oggi. Tecnicamente il referendum del 22 ottobre sarà una consultazione popolare, prevista dallo Statuto della Regione, per chiedere ai cittadini se sono d’accordo che la Regione stessa intraprenda le iniziative previste dalla Costituzione italiana per ottenere maggiore autonomia, con le relative risorse.

In Veneto il quesito è analogo ma ancora più breve, serve il quorum e si vota con la matita copiativa, quella cancellabile solo per abrasione. In Lombardia invece si sperimenterà, per la prima volta in Italia, il voto elettronico con le voting machine, simili a un tablet, dotate di touch screen, lettore di impronte digitali e documenti di identità, e stampante termica. Sì, no, scheda bianca e possibilità di cambiare idea, con il tasto back, ma solo una volta. Assieme alla scheda nulla scompare il rito del voto e qualsiasi possibilità di eludere ciò che Ernesto De Martino chiamava la “crisi della presenza”, ovvero la capacità di conservare nella memoria l’esperienza necessaria per rispondere in modo adeguato a una determinata situazione storica. Si dissolve la magia, l’arte del disegno, l’origami con la scheda elettorale, il gesto della mano che la infila nella scatola buia, il rumore della carta quando atterra. Il dominio della tecnica, oltre che inevitabile, è costoso: circa cinquanta milioni di euro l’investimento regionale, di cui ventitré spesi per l’acquisto dei simil-tablet che, il presidente Roberto Maroni assicura, saranno dati in dotazione alle scuole lombarde, dopo opportune procedure di cleaning. I pulitori, anche detti digital assistant, sono stati selezionati ad agosto dall’agenzia interinale Manpower, con la richiesta di soft sillks come proattività, problem solving e buona capacità di lavorare sotto stress. Neanche un briciolo di ottimismo, spontaneità e senso dell’humour, come sta chiedendo il Mossad alle nuove reclute.

A gestire i dati non sarà il ministero dell’interno ma Lombardia Informatica, una società della Regione, mentre la sperimentazione è affidata alla Smartmatic, ovvero, per gli amanti del gossip complottista, la società venezuelana dietro cui si nascondono le destre golpiste.

La verità è che, implicazioni filosofiche di derivazione kantiana sull’autonomia e la fiducia a parte, è veramente difficile appassionarsi a questo referendum. Sia che vinca il sì, sia che vinca il no non cambierà nulla, non ci libereremo della cultura del sospetto né troveremo forme intelligenti di responsabilizzazione, al massimo cambierà il volume della voce di Maroni e Zaia al tavolo delle trattative con il governo centrale. Lo stesso tavolo a cui pochi giorni fa il presidente dell’Emilia Romagna Bonaccini e il premier Gentiloni hanno firmato una dichiarazione di intenti sull’autonomia, come previsto dall’articolo 116 comma III della Costituzione, che consente l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. E per arrivare lì Bonaccini ha solo scritto una lettera al governo, perché quella bastava. Assieme a sensatez y equilibrio. (giusy palumbo)

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