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7 Maggio 2018

La città contro il suq. Governo dei marginali e interessi della riqualificazione a Torino

Francesco Migliaccio appendino, borgo dora, riqualificazione urbana, sgombero, suq, torino
(disegno di simone perazzone)
(disegno di simone perazzone)

In città, ogni settimana, uomini e donne recuperano oggetti in cantine e solai, rovistano nell’immondizia, esplorano gli angoli delle strade dove si ammassano alla deriva i resti del consumo. Gli oggetti – scarpe, bicchieri, un frigorifero da bar, libri, cartoline, cornici di ottone, ferramenta – si spargono sulle stuoie dei mercati del sabato e della domenica. Gli amministratori nominano questi luoghi “mercato del libero scambio” o “barattolo”, i detrattori dicono “suk” e su alcuni balconi lungo la Dora hanno appeso striscioni contro il “degrado” e gli “abusivi”.

Una minaccia di sgombero

Il mercato della domenica è stato spostato tre volte negli ultimi cinque anni, e sempre più a nord: da piazza della Repubblica all’ex Scalo Vanchiglia, poi in via Monteverdi e ora in via Carcano alla foce della Dora. Ogni spostamento, imposto dalle amministrazioni del Pd come dalla giunta Appendino, è un’opportunità per interpretare i progetti urbanistici e i conflitti sociali al di qua e al di là del fiume. Il sabato, invece, il mercato s’allestisce in Borgo Dora: lungo il Canale Molassi e nel piazzale di San Pietro in Vincoli. Gli straccivendoli – rom, italiani, migranti d’oltre deserto e magrebini – stendono le stuoie a ridosso di antichi edifici militari che accolgono la scuola Holden e il Sermig, un’istituzione di solidarietà sociale d’ispirazione cattolica. Ora l’esistenza del suq è precaria perché da mesi l’assessore alle pari opportunità annuncia come imminente lo sgombero da Borgo Dora.

Diciassette anni fa l’amministrazione comunale regolamentò il mercato degli oggetti ritrovati con una legislazione specifica ed emanò un bando per la gestione. Da allora il governo del suq – salvo rare eccezioni, e di breve durata – è stato assegnato all’associazione Vivi Balon, responsabile del controllo, dell’organizzazione e della pulizia delle aree di mercato. L’associazione prende il nome dal Balon, lo storico mercato delle pulci di Borgo Dora che oggi accoglie negozi di antiquariato, bancarelle con vestiti di seconda mano, libri, bigiotteria, oggetti d’epoca e dischi. La minaccia di sgombero, tuttavia, riguarda solo gli straccivendoli – circa quattrocento, il sabato – gestiti da Vivi Balon.

Il mercato delle pulci di via Borgo Dora occupa la sezione orientale del quartiere – la scuola Holden e il Sermig segnano la frontiera con il suq – ed è gestito da un ente differente: l’Associazione Commercianti del Balon. Da anni l’associazione invoca lo sgombero dei venditori più scalcagnati. Il presidente, Simone Gelato, rappresenta circa trecento espositori e settanta esercizi commerciali – soprattutto bar e ristoranti – operanti nel quartiere. Secondo Gelato il suq va spostato perché genera una concorrenza sleale: «Il problema è aver collocato il mercato del libero scambio accanto al nostro mercato. Questo ha creato una grave diseguaglianza fra i nostri operatori. I nostri seguono un regolamento, ma dall’altra parte della strada ne vige uno molto diverso. Anni fa molti espositori si sono trasferiti nel mercato del libero scambio, perché era molto più conveniente a livello economico. Infatti dalla nostra parte, a quel tempo, era necessario avere la partita Iva. Ultimamente abbiamo avuto un contro-esodo, perché il mercato del libero scambio è cambiato e la qualità dell’offerta è scesa. Molti sono dunque tornati dal nostro lato perché di là l’appiattimento della merce ha causato un crollo generale dei prezzi».

Nonostante le differenze normative, alcuni commercianti hanno preferito tornare nell’area più ricca del Balon per vendere le merci a prezzi migliori. Ho chiesto allora se vi sono ragioni ulteriori per opporsi al suq: «C’è un gravissimo danno per il nostro mercato, sia da un punto di vista commerciale che di immagine», continua Gelato. «Non a tutti piace attraversare il mercato del libero scambio a causa dello sporco, dell’immondizia. Questo condiziona tutta l’area e nell’immaginario collettivo il libero scambio è tutt’uno con il nostro mercato. Il nostro mercato è danneggiato, i prezzi si abbassano, perché la merce perde di valore a causa del contesto attorno. Se tu hai cinque o sei commercianti e in mezzo a loro uno che ha roba tutta buttata e arruffata a terra, il cliente scappa, perché purtroppo il mondo è fatto di apparenza». Chiedo se le ambizioni qualitative dell’Associazione Commercianti siano coerenti con i progetti di riqualificazione del quartiere. «I cambiamenti del quartiere – come l’ostello per turisti in piazza della Repubblica e altre forme di riqualificazione – aiutano il commercio. E non è vero che saranno penalizzati i poveri. Chi ha investito e ha creduto nel Balon quando si trovava in momenti difficili, non era ricco e certo ne trarrà un vantaggio. Se l’area viene riqualificata in ottica turistica, se i torinesi vengono qui a passeggiare più piacevolmente, è meglio per il commercio».

Due sistemi comunicanti

Simone Gelato distingue due realtà essenzialmente diverse: un mercato vero e proprio e un’area di scambio, ovvero il suq, creata per aiutare i poveri. Questa lettura ha il suo fondamento nella legislazione cittadina che da anni governa i due mercati come enti distinti. «Meglio concedere un’area specifica per fare il libero scambio, separata e lontana dal quartiere», propone Gelato.

Io frequento tutti i venditori, al di qua e al di là della frontiera disegnata dalle regole, e una mattina ho parlato con un’amica che vende articoli di pelletteria nel mercato di via Borgo Dora: «Al suq compro tantissime cose, fra cui vecchie borse sgualcite. Le ricucio, le metto a posto, le lucido e poi le vendo qui al mio banco. Io non vedo questa divisione: gli oggetti ci superano. Il suq è utile anche per noi ed è normale che ci sia del marasma». Un altro commerciante, sempre dell’area più ricca, mi confida: «Iniziai da abusivo, anni fa, e non vedo perché ora si debba cacciarli. Io stesso lascio che qualche ragazzo senza permesso esponga i suoi oggetti nella mia area». Un venditore di libri usati davanti alla mongolfiera di Borgo Dora riflette: «Alcuni vogliono separare i sistemi, tenere i sistemi chiusi. Ma i sistemi comunicano sempre».

L’associazione degli antiquari, dei commercianti e dei ristoratori ha dimostrato in questi anni un’acuta abilità egemonica. In una lettera di inizio aprile rivolta alle istituzioni metropolitane si danno per “consolidate le ottime ragioni che motivano la necessità e l’urgenza dello spostamento” di un “fenomeno esplosivo incontrollato e incontrollabile che da sempre funziona da catalizzatore di criticità devastanti”. La lettera è firmata dall’Associazione Commercianti del Balon, dai commercianti del cortile del Maglio e dei mercati alimentari di Porta Palazzo, dai rappresentanti di svariati condominî e anche dal Sermig. In un colloquio con Daniele del Sermig, tuttavia, il tono delle rimostranze mi è parso diverso: «Noi del Sermig non siamo contro il mercato, a patto che abbia caratteristiche che permettano a tutti di fruirne in sicurezza. Non può esserci un mercato di serie A e uno di serie B. Ci deve essere un mercato che sia rispettoso del quartiere in cui siamo. Non si può mettere un banco – qualsiasi esso sia – di fronte a un ingresso in modo da impedire l’accesso di ambulanze e vigili del fuoco. La nostra contrarierà riguarda solo le cattive abitudini del mercato. A patto di rispettare condizioni di sicurezza e legalità, che non sono in contraddizione con l’accoglienza, siamo a favore del mercato».

Fra il Sermig e la scuola Holden si apre il cortile del Maglio, antica fabbrica delle polveri oggi trasformata in area commerciale. Franco Trad rappresenta i commercianti del Maglio e gestisce un ristorante libanese. Franco è di Beirut e mi accoglie con calore: «Noi cristiani non diciamo “As-salāmu ʿalaykum”, “la pace sia su di voi”, perché la pace che viene dall’alto lascia un senso di oppressione. Piuttosto diciamo “la pace sia con voi”».  Sicuro mi espone il suo punto di vista: «Il mercato del libero scambio è un mercato a tutti gli effetti: si scambiano i prodotti con i soldi. Io lo chiamo l’ipermercato del degrado. Se non si sgombera il mercato del libero scambio, la riqualificazione è parziale». Ragiona sul destino del quartiere: «Questo è un borgo storico e unico nel suo genere, con immobili di pregio. Eppure degrado, scempio, abusivismo continuano ad annidarsi, ostacolando la riqualificazione. I valori immobiliari intorno sono andati giù, ci sono difficoltà ad affittare e a vendere gli immobili, si perdono le opportunità di attirare i soggetti interessati a investire. Gli investitori sono scoraggiati. Al momento esiste la possibilità di una vera riqualificazione dell’intera area: l’ex caserma dei vigili del fuoco diventerà un ostello. Poi il Pala Fuksas sarà rinnovato e così anche il mercato del pesce. Piazza della Repubblica sta cambiando, ora bisogna eliminare il degrado che si annida dall’altra parte, nel Borgo». Tempo fa Franco sognava di accogliere nel Maglio associazioni di giovani artisti, così da organizzare concerti ed esposizioni d’arte.

In cerca di soluzioni

Marco Giusta, assessore alle pari opportunità, aveva dichiarato l’anno scorso di volere lo spostamento del suq in «uno spazio chiuso e delimitato». Questo autunno aveva annunciato in pubblico lo sgombero da Borgo Dora e mesi dopo, era una sera di febbraio, ha confidato ai giornalisti che il suq del sabato sarebbe stato spostato entro il 21 marzo. A oggi il mercato resiste precario e testimonia della scarsa lucidità dell’amministrazione. Ho incontrato a inizio aprile Luca Deri, presidente della circoscrizione e membro del Pd. Deri ha affermato che «bisogna prevedere un maggiore controllo per evitare che a fianco della roba usata si venda anche materiale di dubbia provenienza; quel mercato è un luogo in cui ci si intrufola in maniera carsica. Dobbiamo essere in grado di organizzare, tramite bando, un mercato su Canale Molassi, dal cancello di entrata a quello di uscita, nel rispetto delle norme di sicurezza, riducendo il numero degli espositori e dando dignità attraverso un’esposizione più consona delle merci, su plance e banchi». La proposta del Pd sarebbe dunque di mantenere il mercato solo su Canale Molassi, a ridosso del Sermig – dove non vi sono abitanti, dunque elettori. La proposta, tuttavia, implica l’esclusione di almeno duecento venditori, senza ponderare conseguenze e soluzioni.

Se i soggetti privati formulano una strategia chiara sul quartiere e si dimostrano abili a costruire un’egemonia, i funzionari dei partiti di governo e gli amministratori sembrano non avere una visione d’insieme, né un progetto a lungo termine. Credere che la città sia governata dagli interessi privati in un’epoca di generale debolezza delle istituzioni pubbliche, tuttavia, sarebbe una semplificazione. Sono state le amministrazioni urbane del passato a controllare il fenomeno del suq, attribuendogli un’identità legale specifica, utile a gestire sgomberi e spostamenti. Ogni attore, allora, svolge un ruolo limitato nello spazio e cangiante nel tempo: il risultato complessivo delle trasformazioni metropolitane non ha una regia, ma è l’esito di interessi frammentari, accordi parziali e scelte politiche funzionali, nella loro intelligenza o insipienza, al governo dei marginali. Se esiste una razionalità, essa non appartiene ad alcuna entità individuale, ma permea – reticolare, spesso invisibile, diffusa – i processi urbani.

Deboli forme di dissenso allo sgombero esistono. Marco Grimaldi, consigliere regionale di Sel, ha dichiarato in pubblico: «I volti che si vedono qui sono di tanti colori, di tante etnie diverse, rappresentano il volto della nostra città. Calvino diceva che ogni città riceve la sua forma dal deserto cui si oppone. Io non mi vergogno di questa città». I buoni sentimenti multiculturali e i propositi di integrazione suonano astratti e piuttosto lontani dai problemi concreti del quartiere. Di recente è nato un comitato di abitanti favorevole al suq; leggo una loro dichiarazione: “Spostare il mercato del libero scambio significa privare il Balon del suo genius loci, privarlo del suo Dna che ha reso e rende Borgo Dora un posto unico e non replicabile”. Ancora il discorso è pregno di idealizzazioni poco utili a un’efficace azione politica. Anziché difendere l’aura del mercato, sarebbe opportuno individuare quali saranno le conseguenze materiali per la vita dei cittadini se il quartiere diverrà omogeneo e controllabile, ripulito da conflitti e attraversamenti, modellato per attirare il consumo turistico.

Il suq sta per essere sgomberato e queste sono le opinioni, i pareri dei protagonisti. Mancano le voci dei venditori di oggetti ritrovati, individui che esistono per forza inesorabile ma che nessuno ha voglia di ascoltare. Mi resta un ricordo dell’ultimo autunno, al tempo in cui il suq fu sospeso per due settimane in seguito a un’arbitraria ordinanza comunale. Una mattina ci fu un corteo di straccivendoli, erano poco più di cento e protestavano contro la sospensione. Scesi in strada con loro e davanti al Palazzo di Città vidi volti di rom, di donne africane, di anziani segnati dal tempo, di marocchini, di ragazzi con cartelli improvvisati. Stavano assieme, protestavano e discutevano in disordine. Al momento, in città, è l’unica visione di presente che vale la pena conservare. (francesco migliaccio)

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