«È la legge del contrappasso: sono mesi che spero che piova e invece l’acqua arriva adesso». “Adesso” era la mattina del 23 settembre 2020, a Roma, a piazza Cavour, davanti al palazzo della Corte di Cassazione. Lì si erano dati appuntamento attivisti e attiviste dei comitati per l’acqua del Reatino e di Roma. L’occasione era la discussione del ricorso promosso presso il Tribunale superiore per le acque pubbliche dall’associazione PosTribù di Rieti e dal comune di Casaprota (Rieti) contro il rinnovo della concessione all’Acea, l’azienda che si occupa dell’approvvigionamento idrico ed energetico di Roma e di molti altri comuni, per lo sfruttamento delle sorgenti del Peschiera e di Le Capore. La pioggia, dopo mesi di quasi totale siccità, è arrivata proprio nel momento in cui chi partecipava al sit-in si stava avvicinando all’avvocato che gestisce il ricorso per avere qualche notizia: «È stata fissata una nuova udienza all’inizio di dicembre, probabilmente la sentenza arriverà nelle prime settimane del 2021». Ma perché tanta attenzione al rinnovo di una concessione?
Come dice la stessa Acea sul suo sito internet, l’acquedotto Peschiera-Le Capore scende dalle montagne del Reatino e fornisce circa l’ottanta per cento dell’acqua che chi vive a Roma e dintorni usa ogni giorno. L’acquedotto, risalente alla fine degli anni Trenta, è un’infrastruttura vitale per la capitale, tanto che ora l’Acea ha in programma di raddoppiarlo. Il rinnovo della concessione è necessario per avviare i lavori. «A nostro avviso il rinnovo è irregolare per diversi motivi: per esempio, non sono state fatte tutte le verifiche necessarie sull’impatto ambientale e sul deflusso minimo di acqua nei fiumi alimentati dalle sorgenti da cui si rifornisce anche la rete idrica», dice Pablo De Paola, ingegnere idraulico attivo da anni nella provincia di Rieti e uno dei promotori del ricorso, al piccolo gruppo riunito davanti alla Cassazione. Secondo l’Acea il raddoppio dell’acquedotto servirebbe per garantire, anche in caso di disastri naturali, l’approvvigionamento idrico a Roma. «Questa è un’esigenza comprensibile, però prima occorrerebbe intervenire sulle perdite della rete, altrimenti si rischia che il nuovo acquedotto venga usato, anche se solo per una frazione della sua portata, per compensare l’acqua dispersa», dice ancora De Paola.
Nel bilancio di sostenibilità del 2018 l’Acea scriveva che nella rete storica di Roma le perdite ammontavano al 38% dell’acqua immessa, mentre in quello del 2019 sarebbero scese al 31,9%. Se però si estende l’analisi all’intero Ambito territoriale ottimale (Ato) di cui fa parte Roma (Ato 2) le perdite ammesse nel documento aziendale arrivano al 39,2%, comunque in miglioramento rispetto ai dati dell’anno precedente. «Il problema è che l’intera rete avrebbe bisogno di interventi strutturali, se ci si limita a riparare alcuni punti danneggiati in una struttura logora è probabile che il problema si ripresenti presto. Ridurre le perdite consentirebbe di togliere meno acqua alle sorgenti che alimentano i corsi d’acqua», spiega Paolo Carsetti del Forum italiano dei movimenti per l’acqua, anche lui presente in piazza. Riparare i tubi che perdono sembra una soluzione di buon senso però a quel punto occorre chiedersi come mai l’azienda non investa di più in questo settore. L’Acea, dal 1998 una società per azioni di cui il comune di Roma detiene la maggioranza ma che ha come azionisti anche investitori privati, ha come scopo la realizzazione di utili (oltre 208 milioni di euro nel bilancio del 2019, di cui circa 165 milioni di dividendi ai soci). In quest’ottica un intervento esteso e costoso sulla rete per ridurre le perdite quando si ha la disponibilità di acqua a costi contenuti da sorgenti come quella del Peschiera potrebbe non essere considerata la soluzione ottimale per l’azienda. L’Acea sta inoltre investendo su altre opere come il potabilizzatore delle acque del Tevere realizzato a Roma, in località Grottarossa. «Costruire un impianto del genere costa meno che riparare le perdite, però bisogna fare attenzione alla quantità di processi necessari per rendere potabile un’acqua di bassa qualità come quella del Tevere. Si potrebbe invece pensare di usare acque di questo tipo per scopi diversi dal consumo umano, come l’irrigazione di parchi e ville urbane, riducendo così la necessità di usare per tutto l’acqua di sorgente», dice ancora Carsetti.
Il Velino, il Farfa e l’Aniene sono alcuni dei corsi d’acqua del Lazio colpiti dall’aumento dei prelievi alla sorgente: soprattutto la situazione degli ultimi due desta la preoccupazione degli attivisti. L’Aniene è alimentato dalla sorgente del Pertuso, citata nel decreto con cui il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, lo scorso 24 luglio ha dichiarato lo stato di emergenza a causa della mancanza di precipitazioni registrate nella prima metà del 2020. Nel decreto si citava la richiesta dell’Acea di aumentare di 190 litri al secondo il prelievo dalla sorgente per compensare la portata minore di altre fonti d’acqua, rischiando però di mandare in sofferenza il fiume.
Per trovare una prima parte dell’anno con così poca pioggia non occorre andare molto in là con la memoria. Appena tre anni fa la siccità spinse l’Acea a ricorrere all’acqua dal lago di Bracciano, uno dei bacini di riserva del Lazio. Nell’estate dello stesso anno il livello delle acque era già calato molto e il caso del lago sabatino attirò una grande attenzione mediatica, anche internazionale. Il punto più basso fu però raggiunto nel novembre del 2017 quando il livello delle acque si era abbassato di 198 cm. rispetto al valore di riferimento (lo zero idrometrico). «In base alle serie storiche si può dire che prima del 2017 avevamo già avuto delle estati molto calde ma non si era mai verificata un’oscillazione così brusca e repentina del livello delle acque», spiega Alessandro Mecali, geologo libero professionista che registra con regolarità il livello dell’acqua del lago per il progetto Bracciano Smart Lake. Nel luglio dello stesso anno, ancora in piena crisi idrica, è stata la regione Lazio a intimare all’Acea il blocco del prelievo di acqua dal lago. La decisione, impugnata dall’azienda, è stata confermata solo in parte proprio dal Tribunale superiore delle acque pubbliche che ha concesso di prelevare ancora un quantitativo limitato d’acqua. Nel settembre dello stesso anno tuttavia l’Acea ha annunciato di aver sospeso il prelievo. Pochi mesi dopo la Regione è intervenuta di nuovo e ha stabilito il divieto di prelievo in attesa che l’acqua tornasse al suo livello abituale. Nello stesso atto (la determinazione della Regione del 29/12/2017) si citano le sorgenti da cui l’Acea aveva previsto di prendere l’acqua venuta a mancare dopo l’entrata in vigore del divieto e le fonti più sollecitate erano proprio quelle di Le Capore e del Pertuso. Nei mesi successivi ancora il Tribunale superiore per le acque pubbliche ha confermato la legittimità della decisione della Regione.
Il blocco dei prelievi ha messo di nuovo il lago nelle condizioni di oscillare secondo un ritmo legato alle precipitazioni e all’evaporazione, come fa notare ancora Mecali: «Quando si giunse al punto più basso ipotizzai che sarebbe serviti tra i sette e i dieci anni per far tornare le acque al livello di partenza. Molti mi dicevano che stavo esagerando però ora il rischio è che sia stato troppo ottimista. Il lago di Bracciano viene alimentato dalle piogge e quindi i miei calcoli erano basati sulle precipitazioni medie degli ultimi anni. I ricorrenti momenti di siccità a cui stiamo assistendo potrebbero falsare le ipotesi di partenza. Se questa nuova tendenza divenisse costante ci vorrebbe molto più tempo per vedere il lago almeno vicino ai livelli precedenti il 2017. Finora si è riusciti a recuperare 60,5 centimetri di acqua, ne mancano però ancora 137,5». Anche se si dovesse raggiungere in tempi abbastanza brevi questo obiettivo l’equilibrio dell’ecosistema potrebbe risultare compromesso. La parte sottratta nel 2017 era anche la più ricca di sostanze nutritive e di biodiversità e quindi bisogna capire che conseguenze ha avuto l’alterazione. Oltre agli scienziati, si occupa del tema anche un altro tribunale, quello di Civitavecchia: «L’abbassamento avvenuto nel giugno del 2017 ha spinto il comitato di difesa del lago di Bracciano a sporgere denuncia contro l’Acea, sostenendo che il prelievo andasse oltre i limiti consentiti dalla concessione», ricorda Simone Calvigioni, avvocato del comitato. La denuncia ha avuto seguito e all’inizio di novembre è prevista l’udienza in cui si deciderà se rinviare a giudizio per disastro ambientale (aggravato perché il fatto sarebbe avvenuto in un’area protetta, il Parco regionale di Bracciano e Martignano) chi allora guidava l’Acea. Questa udienza e quella prevista per la concessione dell’acquedotto Peschiera-Le Capore sono separate solo da poche settimane. È possibile che l’esito dei due procedimenti abbia un impatto non secondario sulla gestione delle acque nel Lazio. Nel frattempo si può sperare che, contrappasso o no, la pioggia sia d’aiuto. (alessandro stoppoloni)
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