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9 Febbraio 2018

Catania, l’emergenza cronica delle politiche abitative

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(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

«I bambini stanno accumulando rabbia da quando non abbiamo più casa. Non si sentono più come gli altri», racconta una delle madri ricoverate con la famiglia in un b&b a Catania, da più di diciotto mesi. Gli ultimi dati del ministero dell’interno, aggiornati al 2016, fotografano un aumento dei provvedimenti di sfratto del due per cento a livello nazionale. Le città messe peggio sono Torino, con uno sfratto ogni 241 famiglie, Roma (1/279), Napoli (1/306) e poi Genova, Firenze, Verona e Bologna. Raramente i provvedimenti riguardano necessità del locatore o il contratto che scade. La causa principale è la morosità: le famiglie perdono il lavoro, o guadagnano sempre meno, e non possono pagare più l’affitto.

A Catania la situazione non è migliore: nel 2016 sono stati emessi meno provvedimenti di sfratto ma le richieste di esecuzione sono aumentate. Anche gli sfratti eseguiti: aumentati di quasi il venti per cento. Ma i dati ufficiali non si incastrano con quelli reali. Infatti sono tanti i proprietari che continuano ad affittare case in nero, a famiglie, studenti, lavoratori. In questi casi, non essendoci nessun contratto, possono essere mandati via dall’oggi al domani senza nessun preavviso. Come è successo ad Angela: «Era da sei mesi che non riuscivamo a pagare più l’affitto, il contratto era fasullo, non valeva niente perché non era registrato all’Agenzia delle entrate. Se non andavamo via subito passavamo guai…».

Anna è iscritta in due delle graduatorie per l’emergenza abitativa: quella degli alloggi popolari e quella delle emergenze. In quella degli sfrattati no, «perché non avevo lo sfratto ufficiale». Lei abitava agli Angeli custodi, quartiere popolare tra il porto e il centro storico di Catania. Poco più su, in una traversa di via Concordia, ci abita Barbara, che per vivere fa le pulizie per sei euro all’ora, e solo quando hanno accordato una pensione di invalidità per una delle figlie, è riuscita ad affittare una casa. «In quella di prima sono stata sfrattata con la forza, insieme alle bambine. Quel giorno pioveva a dirotto e tutte le nostre cose sono state messe su un camioncino, tra il fango e la pioggia. La proprietaria non ha voluto sentire ragioni, nonostante l’ufficiale giudiziario cercasse di farla ragionare».

Eleonora invece ha perso la casa durante un’alluvione di tre anni fa, dopodiché il proprietario per non ristrutturare l’immobile ha preferito sfrattarli. Tre bambini e un marito, per loro la soluzione trovata dai servizi sociali è un b&b. Come previsto dalla legge. “Nelle more dell’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare, le famiglie colpite da monitoria o ordinanza di sgombero improrogabili in possesso dei requisiti di legge sono temporaneamente collocate dalla Città in alberghi convenzionati per un periodo fino a quarantacinque giorni”. Ma i quarantacinque giorni si dilatano: in mesi, anni. Anche i denari dilapidati: trecentomila euro di b&b solo nel 2017.

Al comune di Catania si chiede un elenco del patrimonio immobiliare disponibile, che però non c’è, non arriva, non viene fatto. E quindi a ogni nuova ondata di emergenza, si cerca di recuperare alloggi di qua e di là, per esempio le portinerie dell’Istituto autonomo case popolari. Da rendere abitabili e con spazi comuni (bagno e cucina). Ma anche di queste, non si ha una data certa di consegna e non si sa a che punto siano le ristrutturazioni. E poi non sono molte, all’incirca otto. Le famiglie in attesa di un alloggio sono circa cinquemila. C’è chi aspetta anche da diciotto anni.

I nove milioni e mezzo stanziati tramite decreto della Presidenza del consiglio, anziché alle periferie, sono stati destinati alle ciminiere. I duecentoquaranta milioni del Pon metro saranno invece destinati al piano di recupero di corso dei Martiri. Invece i finanziamenti che la Regione Sicilia ha fatto piovere negli anni passati nelle tasche dello Iacp per pagare nuovi alloggi ed espropri, sono spariti nel nulla, quasi sette miliardi. E poi le graduatorie: bloccate da due anni per evitare che si aggiungano nuove emergenze. Che però si aggiungono lo stesso, non sulle carte dei burocrati ma nella realtà.

Gli studenti in città continuano a occupare luoghi abbandonati, chiusi per contenziosi tra proprietari e istituzioni. Il Colapesce, di proprietà dell’Unicredit, nell’ex Hard rock cafè in via Cristoforo Colombo, vicino al porto. E la settimana scorsa, l’ex Hotel Costa in via Etnea alta, subito sgomberato: residenza universitaria con trecento alloggi preclusi alla città dal 2009, da quando proprietario ed Ersu, l’ente regionale per il diritto allo studio, non sono giunti a nessun accordo.

Davanti all’ex Hotel Costa c’era anche Rosy, che vive in un palazzo occupato da tre anni, e i bambini dai nonni. Alla vista di tutti quei piani, ha immaginato per qualche istante la sua famiglia sotto uno di quei tetti. Ma invece niente. Nessuna trattativa, nessun dialogo. Sgombero coatto.

A proposito di sgomberi, non si sono ancora eseguiti invece quelli degli alloggi popolari occupati abusivamente da multiproprietari di immobili. Ma per fortuna ci sono ventidue beni confiscati alla mafia – alcuni dei quali utilizzabili per l’emergenza abitativa – che stanno per entrare a pieno titolo a far parte del patrimonio del Comune. «Ci stiamo lavorando…», assicura l’assessore. (ivana sciacca)

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