Da I Siciliani.
Nel giorno del funerale di Giulia Cecchettin hanno deciso di sgomberare con scudi e manganelli un consultorio autogestito, uno dei pochi spazi sicuri che offre servizi gratuiti alle donne.
A Catania in via Gallo, nel cuore del centro storico, al confine col quartiere Antico Corso, c’è una palazzina di proprietà dell’ente morale Biblioteca Ursino Recupero. Ente fondato nel 1931 e il cui statuto è stato pubblicato il 22 maggio 1969 con decreto firmato dal presidente Saragat in persona. L’ente ha come patrimonio i beni, mobili e immobili, del lascito del barone Ursino Recupero ed è gestito da un consiglio d’amministrazione composto dal sindaco del comune di Catania, dal rettore dell’Università di Catania, dal segretario generale del Comune, dal soprintendente ai beni culturali e come quinto membro da un familiare del barone Ursino Recupero. Tra i beni da amministrare: la palazzina di via Gallo, oggetto recentemente di lavori di ristrutturazione, chiusa, abbandonata e nel 2018 occupata da attiviste e attivisti per realizzare uno studentato per studentesse e studenti indigenti e per realizzare un ambulatorio gratuito e un consultorio autogestito. Da anni lo studentato di via Gallo è diventato uno dei centri della mobilitazione transfemminista, ospitando riunioni e attività del movimento Non Una Di Meno.
23 novembre. È appena giunta la notizia del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, ammazzata dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Le donne scendono in strada in tutta Italia. All’ipocrita luttuoso silenzio istituzionale si contrappone, fortissimo, l’appello a fare rumore, a bruciare tutto. Non Una Di Meno convoca una manifestazione anche a Catania: il messaggio vola di chat in chat e sulle storie di Instagram. Davanti la villa Bellini alle nove di sera si radunano oltre mille donne. Gli uomini vanno dietro. C’è l’appello a rivolgersi al “servizio d’ordine” se qualche uomo dovesse avere atteggiamenti molesti. Il corteo parte e si ingrossa di passo in passo. Arrivate all’altezza della chiesa della Collegiata il corteo svolta d’improvviso e si dirige davanti la Questura. Ci si ferma lì di fronte, si fa rumore con le chiavi. Le donne si alternano al microfono: “Quando denunciamo non veniamo credute, tutto viene minimizzato, ci dicono che stiamo esagerando, che dobbiamo perdonare, che dobbiamo essere felici di quell’amore così esagerato, che uno schiaffo non è poi così grave. E a volte dobbiamo anche subire le molestie dei poliziotti, per come siamo vestite, per come siamo truccate, per il modo in cui camminiamo”. Il corteo prosegue fino a piazza Duomo, ma erano anni che una manifestazione transfemminista non trovava l’audacia di raccontare le responsabilità delle forze dell’ordine, proprio davanti i loro uffici.
Si apprende dall’ufficio stampa della polizia che proprio in quelle ore un giudice della procura di Catania aveva firmato il decreto di sequestro dell’immobile di via Gallo, sede delle attiviste organizzatrici della manifestazione. Una coincidenza.
Caschi e manganelli all’alba del 5 dicembre per sgomberare il consultorio. I funzionari di polizia sono quelli dello stesso ufficio che guardava sfilare le donne sotto la questura il 23 novembre. Appare quasi un regolamento di conti. Ma qualcosa va storto. Attorno allo studentato e al consultorio si stringe l’intera città. L’Università dice che non è stata informata dello sgombero, l’amministrazione comunale è imbarazzata e balbetta di legalità. Arci, Cgil, Sunia prendono immediatamente posizione contro lo sgombero. Insorgono le associazioni transfemministe e il mondo LGBTQIA+ con Arcigay e Open. Tuonano i partiti, dal Movimento 5 stelle a Sinistra Italiana al Partito Democratico. Per tutta la giornata un folto presidio circonda lo spazio sgomberato e a sera una gigantesca assemblea prepara la manifestazione cittadina per chiedere la restituzione dello spazio.
Questo la questura non lo aveva messo in conto. Pensavano che non ci si accorgesse, che rimanesse tutto dentro un atavico scontro tra bande: pericolosi sovversivi contro sbirri. Ma non è così. Dalla morte di Giulia le sovversive sono milioni, indisponibili a tacere, stanche dei minuti di silenzio, delle passerelle istituzionali, degli inchini ai potenti. E colpire quello spazio ha significato colpire tutte, e tutti. E poi con che ragione?
Proprio in queste ore l’Università ha annunciato l’investimento di decine di milioni di euro per recuperare decine di migliaia di metri quadri a pochi metri dal consultorio, il Comune conserva, ristrutturati, chiusi e abbandonati, molti palazzi: dal convento dei Crociferi al monastero di Santa Chiara. Gli immensi ospedali dismessi potrebbero ospitare ogni tipo di ufficio, attività o biblioteca. Addirittura il Comune sta prevedendo la demolizione di alcune strutture, perché considerate inutili.
Il motivo di sicurezza e legalità è ridicolo. A pochi metri dallo studentato e dal consultorio ci sono decine di palazzine e appartamenti confiscati alla mafia e da anni ancora in mano ai mafiosi che hanno subito la confisca, sotto gli occhi di questore e prefetto, che però non agiscono. Non resta che il movente politico. Quel gruppo di attiviste è troppo irruento, troppo imprevedibile, troppo libero. “A Catania si sgombera il posto dove si riunisce abitualmente Non Una di Meno nel giorno dei funerali di Giulia Cecchettin” scrive la presidente di Arcigay sui social a pochi minuti dall’irruzione della polizia.
La questura informa che “l’immobile è stato affidato in giudiziale custodia al legale rappresentante dell’ente proprietario” ovvero al sindaco di Catania Enrico Trantino, che dovrà discutere con il rettore dell’Università, altro componente del Cda, che cosa fare del consultorio. È facile e banale. Si dia immediatamente in gestione alle associazioni e ai gruppi che lo hanno gestito fino a ora. (matteo iannitti)
Leave a Reply