IL LUPO DEI BASSIFONDI
Tadao Tsuge
Coconino Press 2020, 328 pagine, 22 euro
Figure sgraziate, stravolte, si muovono disperate tra vicoli bui, bar fumosi, notti malinconiche. Macerie di città, macerie di vite, le protagoniste indiscusse di questi racconti di Tadao Tsuge raccolti nel corposo volume edito da Coconino per la collana Gegika. Gegika fu in Giappone quel tipo di fumetto con contenuti maturi, drammatici, per lettori adulti, nato alla fine degli anni Cinquanta per contrapporsi al classico fumetto umoristico, sviluppatosi poi anche su riviste d’avanguardia come Garo. Rivista contenitore di fumetti sperimentali, palestra per giovani artisti, Garo ebbe proprio Tsuge tra i suoi tanti autori, come il forse più celebrato fratello maggiore Yoshiharu, autore di un altro bel libro da titolo L’uomo senza talento, pubblicato da Canicola qualche anno fa.
Pubblicati tra il 1969 e il 1978, principalmente su Garo ma anche su altre riviste, i racconti ci parlano del Giappone del dopoguerra, del tramonto del nazionalismo e dell’inizio del capitalismo selvaggio, dove straziati reduci di guerra, giovani, prostitute e ubriaconi conducono una vita senza troppe speranze, piena di violenza, fisica e psicologica, tra gli echi non ancora diradati dell’atomica. Sono racconti antimilitaristi, dove dalle macchie nere della notte emergono uomini soli. Personaggio che appare in quasi tutti i racconti è l’ex kamikaze Keisei Sabu, figura mitica, solitario teppista e difensore di prostitute (le uniche donne che ritroviamo), fuoriuscito dai ricordi giovanili dell’autore, come egli stesso racconta in un testo alla fine del libro.
Un modo di raccontare forse più occidentale, accostabile ad autori giapponesi come Osamu Dazai, che in romanzi come Lo squalificato raccontava lo smarrimento di una generazione di giovani, attratti dall’Occidente ma ancorati alla gabbia nazionalista del glorioso Impero, persi tra alcool e droghe. Dazai però parlava di giovani borghesi, mentre nei racconti di Tadao si muovono operai, sottoproletari, gli emarginati di una società che non sa più che farsene di loro.
Disegnati con un tratto preciso negli sfondi, ma semplice e sgraziato nei volti, questi racconti sono realistici senza essere moralisti; tra scazzottate memorabili, sbronze colossali, sigarette perennemente accese, pause poetiche, non disdegnano qualche piccola incursione nell’onirico.
I disegni di Tsuge, nei primi racconti, ci appaiono incerti e a tratti goffi, lontani dalla precisione e la cura dei classici disegni giapponesi, mentre diventano più sicuri nei racconti successivi, tra linee morbide e neri pieni. Un disegno che ci appare libero, fuori da ogni manierismo, funzionale e poco appariscente, che a dispetto della disperazione e fragilità che racconta, ci dà la certezza di un autore importante e ormai finalmente considerato un “classico” anche da noi. (diego miedo)
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