ULTIMA GOCCIA
Andrea de Franco
Eris Edizioni, 264 pagine, 18 euro
Ho avuto il piacere di parlare con Andrea de Franco di fumetto, libri e ossessioni, piccoli nulla e penne stilografiche dalla punta dura… Andrea è uno sperimentatore: disegna, suona, cura una piccola casa editrice di nome DE PRESS e ultimamente ha pubblicato il suo primo lungo fumetto, Ultima goccia, che racconta il viaggio di una tazzina di caffè alla ricerca di sé stessa in un mondo psichedelico e assurdo ma allo stesso tempo reale. Ma soprattutto, ed è questo che mi interessa di più, Ultima goccia è una dichiarazione di libertà: del disegno, del tratto, della linea, dell’inchiostro e del piacere che provoca l’atto stesso del disegnare con mano leggera che vola sul foglio come fanno le rondini quando sfiorano i palazzi. Leggerezza anche nel raccontare, nel raccontarsi, nell’esplorarsi.
Miguel Angel Valdivia: Allora, mi sono immaginato questa conversazione scritta così: io ti faccio qualche domanda e poi vediamo dove ci portano le risposte e le domande… Più che un’intervista vorrei fare una bella conversazione, che trovo uno dei modi migliori per entrare nel lavoro di altri o nel proprio. Ho letto il tuo libro una mattina sul treno, ero assonnato ed è stato un viaggio nel viaggio. Da subito, però, ho pensato che non avrei voluto scrivere una recensione ma era meglio parlare un po’ con te, come abbiamo fatto altre volte. Non mi sono organizzato molto eh, anzi mi sono disorganizzato per poter parlare con te. Credo nella virtù dell’improvvisazione, anche quando poi va male… Ma qui non andrà male. Inizierei così: Ultima Goccia, come nasce e cosa puoi dirmi su questo libro, adesso che è uscito da qualche mese?
Andrea de Franco: Ok vado, improvviso pure io 🙂
MAV: Per forza.
AdF: Ultima Goccia è nato dall’incrocio di una serie di spinte e tensioni nella mia ricerca sul fumetto, che sono arrivate a un punto di non ritorno alla fine del 2018; da una parte c’era il desiderio di distillare l’astrazione che aveva dominato fino ad allora il mio lavoro e di arrivare a gestire dei personaggi e delle trame complesse; poi c’era stata l’esperienza della residenza estiva di Colorama a Berlino, dove ho fatto un bel po’ di progressi, e infine la richiesta di Eris di fare insieme qualcosa di lungo respiro, dopo anni di (miei) corteggiamenti insistenti.
MAV: Bene, allora ti faccio subito una domanda. Anzi due. Prima dimmi qualcosa sulla tua ricerca sul fumetto e perché era arrivata a un punto di non ritorno. Perché non tutti quelli che fanno fumetti la vivono come una ricerca.
AdF: Parlo di ricerca perché sia il modo con cui sono “arrivato” ai fumetti, sia il modo con cui continuo a leggerli e realizzarli è una sequenza di esperimenti, tentativi e soprattutto sbagli; non sono cresciuto con l’idea o la necessità di fare il fumettista ma a furia di provare a incastrare cose diverse ho finito per farlo; è stata una convergenza tra il mio desiderio di gestire disegno, narrazione e lavoro editoriale, e di farlo senza mezzi economici specifici. E comunque li ho sempre letti, ma perché sono un accumulatore bulimico di libri. Quindi non avevo un modello specifico di fumetto da realizzare, o meglio quando sono partito con l’idea di seguire il metodo o l’estetica di altri sono sempre cascato male, quindi alla fine ho iniziato ad affinare un mio sistema basato sul sabotare il metodo di lavoro “classico” del fumettista e sullo sfruttare in maniera positiva il mio modo ossessivo di fare qualunque cosa.
MAV: Mi ritrovo molto in quello che dici. E credo che sia uno dei modi più sani di fare fumetti o di lavorare in generale. Perché la strada fatta di errori ed esperimenti è comunque più stimolante. Molte volte mi impressiona l’idea di fare fumetto senza prima aver sviluppato una ricerca personale sul come disegnare e sul come raccontare, come far coesistere questi due elementi.
AdF: Spesso faccio venire i brividi ai miei colleghi quando dico che faccio tutto senza story-board e che praticamente i miei story-board sono i miei esecutivi, e vengono i brividi pure a me, però se eliminassi questo rischio perderei questa scintilla sperimentale di cui ho bisogno per accendermi…
MAV: Sì, esatto. Credo che questo serva a mantenere viva la tensione. Una tensione che anche per me è necessaria. Io, per esempio, per il mio libro avevo trovato la piuma di beccaccia che manteneva la tensione alta. Perché ogni giorno non sapevo come sarei riuscito a disegnare. Se avessi dovuto seguire uno story-board di duecento pagine con uno strumento che avevo pienamente sotto controllo mi sarei annoiato velocemente. Questa qualità sperimentale si sente anche nel tuo libro. Ma mi domando, come fai a mantenerla, non la perdi dopo un po’? In fondo, pianificare l’improvvisazione è quasi un controsenso…
AdF: Ricordo i brividi al pensiero della tua piuma fragile che poteva rompersi da un momento all’altro! Per restare sul filo del rasoio mi sono serviti alcuni limiti che mi sono auto-imposto all’inizio; che non erano limiti particolarmente logici, anzi col passare del tempo a furia di ripeterli sono diventati praticamente dei gesti rituali.
MAV: A volte bastava un cambio di peso di cinquanta grammi nella mano e… tac! Forse abbiamo tutti dei gesti rituali e anche questo è interessante perché alla base dell’improvvisazione sembra esserci un metodo.
AdF: Per esempio, i margini della griglia della pagina che sono sempre gli stessi per tutto il libro (anche se a volte proprio perché cominciavo ad annoiarmi ho finito per infrangere la regola), oppure il divieto assoluto di scrivere testi che non fossero voci di personaggi.
MAV: Ma ti è capitato di annoiarti? La noia, la ripetizione è forse la cosa che temo di più nel mio lavoro…
AdF: Guarda, io mi diverto sempre molto a disegnare, intendo proprio la pratica fisica, quindi farlo per molto tempo non mi annoia, e in generale l’idea di poter fare questo invece di “lavorare” mi salva e mi fa passare la voglia di annoiarmi, però dei momenti ci sono stati, soprattutto quando avevo accumulato abbastanza narrazione da aver capito come sarebbe finito il libro, quello è stato un momento un po’ triste e da lì mi sembrava di andare avanti un po’ per inerzia. Ma penso che fosse una noia di buona qualità. Per la ripetizione ho potuto approfittare dei due anni passati a studiare e lavorare con Gianluigi Toccafondo a Urbino, lì ho imparato ad animare a passo tre… Dopo aver accumulato una dozzina di migliaia di disegni solo per tre video nessun fumetto mi può spaventare (ride).
MAV: Sì, anche io a un certo punto ho avvertito questa sensazione di inerzia, ma ero motivato dal fatto di avere un editore e di sapere che il libro sarebbe uscito. Mi eccitava quello. Da solo mi sarei perso per altri cinque anni, o più… È evidente che ti diverti quando disegni, questa è una delle cose che più mi piace del tuo lavoro. Non sapevo che avessi fatto animazione! Come è stato lavorare con Toccafondo?
AdF: L’ho avuto come docente all’Isia (Istituto superiore per le industrie artistiche) di Urbino, quasi per caso, ma è stato uno dei corsi fondamentali. Lui spiegava il suo metodo, che è molto personale e richiede molta pazienza, ma era molto curioso di ogni tipo di approccio. Ci spingeva a mischiare le carte, a confondere le competenze e a lavorare in ambiti diversi. Aveva da poco iniziato a lavorare con l’opera a Roma e a Palermo, quindi mentre ci faceva lezione lavorava con scenografi, costumisti, attori, e in parallelo seguiva il suo progetto con i C’mon Tigre. Questo suo invito al sincretismo e al caos me lo sono portato nel cuore, insieme alle sbronze che ci siam presi…
MAV: Bello! Ho una curiosità, adesso che il libro è uscito ti è capitato di rileggerlo e di sentire che ti rivelava cose anche nuove e diverse da quelle presenti mentre lo facevi? Come se una volta “fuori” da te prendesse una strada sua, anche inaspettata?
AdF: Un po’ di rivelazioni le ho vissute tramite le parole di alcuni amici che lo hanno letto e me ne hanno parlato e in diversi casi mi hanno sorpreso. Così come preferisco la ricerca al risultato, anche nel caso della narrazione preferisco fare domande che fornire una mia risposta, opinione o visione; avevo paura che questo finisse per “raffreddare” il messaggio e renderlo troppo criptico, per cui ho cercato di essere il più trasparente possibile. Ho notato che molte recensioni citano tranquillamente il finale del libro, praticamente spoilerano tutta la trama, e ne sono felice perché la mia speranza è che ognuno entri in dialogo a modo suo con il libro, non che rimanga sorpreso da un finale travolgente. Non è un approccio molto vendibile o capace di affabulare il lettore, ma penso che possa premiare un lettore paziente e aperto. Ho cercato di far sì che il libro prenda una sua strada per ogni lettore, piuttosto che mettere tutti i lettori sullo stesso binario.
MAV: Beh, direi che ci sei riuscito 🙂
AdF: L’unico rischio è che un lettore non disposto non lo tiri neanche fuori dallo scaffale, ma d’altronde Eris queste pazzie le fa sempre, quindi…
MAV: Io trovo che tu hai un tratto molto potente. Di disegnatori bravi ce ne sono molti ma il tuo tratto ha una vibrazione, una vita speciale e io non faccio molti complimenti di questo genere, ma a te posso farli. Perché se guardo un tuo disegno mi perdo volentieri anche semplicemente nella vibrazione del tratto… So che io e te usiamo spesso la stessa penna. Una stilografica dura, il cui pennino non si allarga quando premi. Mi ricordo quando mi hai chiesto della piuma di beccaccia alla presentazione del mio libro. Che importanza hanno per te i materiali che usi?
AdF: A modo suo anche quello fa parte dei miei limiti rituali. Ormai sono sei anni che disegno così tanto con la Carbon Pen che mi pare stupido cambiare. Anche per la carta, su cui sono meno ossessivo, mi sono comunque costretto su una Fabriano Accademia, una carta non troppo pregiata, che non si fa troppo sentire quando ci si disegna. In un certo senso condivide con la penna lo stesso sentimento di essere affidabile e anche raffinata a modo suo, ma non inaffrontabile economicamente. A me piacerebbe essere una persona che pensa ad altro e che disegna con qualunque penna o matita si trovi a portata di mano, ma dopo anni ho capito che semplicemente non è un approccio con cui funziono, e ora sono un po’ più sereno al riguardo. Ho un’idea molto molto fisica del disegno, quasi atletica, quindi concentrarmi su uno strumento e un foglio mi permette di muovermi di più e di impegnarmi sugli altri elementi del disegno, mano e cervello, dove secondo me ci sono molte più trappole e questioni. Prima ero anche affezionato in maniera feticista a questa stramaledetta penna, adesso la considero semplicemente una costante, qualcosa di cui posso fidarmi. Se si rompe la riparo, se non si può riparare ne ho due nuove nel cassetto.
MAV: Cavolo, allora alla fine mi sa che sono più feticista di te!
AdF: Credo di star passando dal feticismo alla mania in qualche modo 😉
MAV: Ahahah! Ora vorrei farti un’altra domanda. Io faccio da anni questa rivista, Le Petit Néant. Mi sembra che ci siamo conosciuti la prima volta quando presentai il numero 3 da Modo Infoshop a Bologna, giusto? Ma la domanda non è questa, piuttosto, il Piccolo Niente ha qualcosa a che fare con Le Petit Néant?
AdF: Sì esatto, quello fu il nostro primo incontro, ero già fan della rivista. Quella del titolo di Piccolo Niente fu una piccola coincidenza, ma con un sacco di punti di contatto direi. Piccolo Niente fu il culmine di una specie di collana di fanzine che avevo iniziato a stampare con la mia non-casa editrice, DE PRESS. Il primo fu Little Apple, a giugno 2016, da lì passai all’italiano e vennero fuori Piccolo Rumore, Piccolo Guasto, Piccolo Corpo, Piccolo Luccichio, eccetera. Piccolo Niente fu un po’ la summa di quel progetto e uscì in collaborazione con Modo Infoshop. Il mio Niente in quel caso era una riflessione sia sulla possibilità di realizzare una narrazione significativa in una manciata di pagine, sia una questione più esistenziale intorno alla possibilità di esistere senza nessun attributo in particolare, senza qualità. Uscì poco prima dell’Uomo Senza Talento tradotto da Vincenzo Filosa, credo che ci fosse proprio una concentrazione di energie intorno all’idea di auto-annullamento nel fumetto italiano in quel periodo. Fa strano ripensarci dopo aver vissuto il 2020 🙂 Invece il tuo Néant penso che fosse collegato alla possibilità di raccontare col niente, con l’incastro quasi magico di sequenze di disegni ognuno col proprio mistero. Per me è stato ed è ancora un punto di riferimento, qualcosa a cui ambire in termini di potere del disegno.
MAV: Beh, è comunque una bella coincidenza, io fui contento quando vidi la tua rivista 🙂 Ora ti chiedo due cose e poi ti lascio andare, altrimenti ti annoio più di quanto farebbe uno story-board…
AdF: Ahah, tranquillo, mi sto divertendo un casino. Interviste su whatsapp per sempre!
MAV: Leggi molto? Mi ricordo che più di una volta ho visto che condividevi libri che mi sembravano molto interessanti. Uno di questi era su un santo, ricordi? Me ne parlasti forse alla presentazione del mio libro…
AdF: Credo di essere più un compratore di libri che un lettore, a proposito di mania. Sì, ricordo, era il libro di Errico Buonanno per Sellerio, Vite straordinarie di uomini volanti. Che citava molto la storia di San Giuseppe da Copertino.
MAV: Vero! Ora ricordo pure io.
AdF: La mia speranza è che qualcuno commissioni a Werner Herzog un documentario al riguardo…
MAV: Beh, anche io compro più di quanto riesco a leggere. Eh, Herzog… io sono rimasto nella grotta di Chauvet e i suoi misteri. Cosa leggi adesso? Oppure, l’ultimo bel libro che hai letto? Io per infastidire i miei amici chiedo sempre (lo faccio super serio) di consigliarmi un libro che mi cambi la vita.
AdF: Ho appena finito di leggere Universo Proibito di Talamonti, il re della parapsicologia italiana, abbinato alla visione di X-Files, quindi sono in un momento in cui credo a coincidenze incredibili e a persone dotate di poteri inspiegabili, e poi sto leggendo Sempre la valle di Ursula K. Le Guin, che invece è un libro di fanta-antropologia che mi sta divertendo moltissimo. Ho un’edizione Mondadori degli anni Ottanta che ha anche una cassetta con le musiche di cui si parla nel libro – anche a me piacerebbe fare un libro con colonna sonora la prossima volta. Per cambiarti la vita ti direi La nube della non conoscenza di un anonimo inglese del XIII secolo e Dissipatio H.G. di Guido Morselli, che sono entrambi molto utili per un percorso di auto-annullamento personale, quindi ritorniamo di nuovo al Niente…
MAV: La nube della non conoscenza… ne ho sentito parlare, lo prenderò, ho un po’ voglia di auto-annularmi. Ursula K. Le Guin l’ho scoperta quest’anno. Ero più attratto da Philip K. Dick. Ti piace la fantascienza?
AdF: Sì sì, sto aspettando di avere i soldi per prendere tutti i romanzi del ciclo fantascientifico della Le Guin. E anche Dick ci sono andato giù abbastanza pesante… Quando ero adolescente ho avuto una breve fase Tolkien, ma poi finì su Asimov e addio.
MAV: Beh, ma Dick merita!
AdF: Ho anche la trilogia di Valis ancora in wishlist…
MAV: Anche io. Senti, visto che ti stai divertendo un casino ti faccio l’ultima domanda scomoda. Torniamo al fumetto.
AdF: Dimmi.
MAV: Cos’è che c’è e cosa invece manca nel mondo del fumetto oggi? Per semplificare pensiamo all’Italia.
AdF: Mi sembra che ci sia un po’ meno vergogna di fare cose che fino a poco tempo fa sarebbero state definite “autoriali” o “ombelicali”, e adesso invece finalmente sono “coraggiose” o “sperimentali”, e questo lo trovo bello. Sarebbe ancora più bello se il coraggio fosse premiato dalle vendite, ma qui ci sono tanti fattori da tenere in conto e comunque anche lì un filo di ottimismo lo vedo, sicuramente c’è più consapevolezza da parte dei sistemi editoriali.
MAV: Dai, per concludere, qui noi chiediamo sempre un’ultima cosa ai nostri ospiti. Fatti una domanda e datti una risposta…
AdF: Se potessi farmi una domanda mi chiederei quando cominci a fare un nuovo fumetto…
MAV: Io dici?
AdF: E mi risponderei che vorrei riposare fino alla prossima estate 😉
MAV: Ah, vedi.
AdF: No, io.
MAV: Mi sono confuso al mio stesso gioco.
AdF: Ahah.
MAV: Guarda, anche io vorrei riposare fino alla fine della prossima estate. Nel frattempo ti saluto Andrea, grazie per il tuo tempo!
AdF: Grazie mille a te. (a cura di miguel angel valdivia)
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