Cosa sappiamo oggi, a cinquant’anni di distanza, della strage di piazza Fontana? La bibliografia su quel periodo decisivo per la storia di una città e di un’intera nazione è sterminata e altri libri sono stati pubblicati di recente in occasione del cinquantesimo anniversario. Tra questi, un volume in particolare pone al centro della riflessione la storia militante e l’uso pubblico della storia in questa fase segnata dalla modificazione dello spazio pubblico al tempo dei social network, del revisionismo storico, delle fake news. Dopo le bombe. Piazza fontana e l’uso pubblico della storia (Mimesis, 230 pagine, 18 euro) è stato scritto a più mani da autori e autrici che guardano al presente assumendo la storia come antidoto, come arma.
Risultato dell’incontro fra diverse generazioni di storici, il libro restituisce le ricerche sulla strage di piazza Fontana portate avanti da accademici, da consulenti della commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi o delle procure di Milano e Brescia e da membri di un laboratorio nato nel 2007 per iniziativa di un gruppo di studenti di storia contemporanea della Statale di Milano che hanno approfondito le vicende della strategia della tensione a partire dalla didattica nelle scuole.
Gli autori e le autrici forniscono possibili indirizzi di ricerca e provano a riflettere su cosa rimane della strage cinquant’anni dopo, su come raccontare questa complessa fase della storia italiana ed europea. Nei primi tre saggi il fenomeno della strategia della tensione in Italia è osservato prima all’interno della cornice europea, contestualizzando i fatti al di là dei limitati confini nazionali, poi da una prospettiva che ricostruisce le vicende prima della strage e la matrice neofascista degli attentati. Il terzo contributo affronta le analisi e gli studi sulla strategia della tensione condotti all’estero, mostrando come alcuni osservatori stranieri abbiano saputo utilizzare al meglio la mole di materiale prodotta in Italia da giudici e magistrati, militanti, giornalisti e storici, per dedicarsi a un lavoro di ricerca più interessato alle modalità di trasmissione della memoria che all’ennesima ricostruzione degli eventi, data in parte per assodata.
Ciononostante, come viene sottolineato nella postfazione, se il primo velo sugli esecutori della strage è stato squarciato, il secondo velo, ovvero il ruolo esercitato dallo stato, è ancora intatto. Gli esiti di decenni di inchieste giudiziarie e processi per le stragi e i tentativi di colpo di stato si sono conclusi con la mancata individuazione dei colpevoli (fatta eccezione per tre casi), senza comunque individuare i mandanti. Questo, secondo gli autori, ha determinato la sovrapposizione tra verità storica e verità giudiziaria, favorendo la nascita di un senso comune confuso. Il lavoro svolto dalle commissioni parlamentari sul terrorismo e le stragi, sebbene abbia favorito la pubblicazione di materiali in passato inaccessibili, ha fallito nell’obiettivo di fornire una versione condivisa. Nel 2001 il lavoro della commissione stragi si è concluso con la presentazione di diciotto relazioni differenti, che hanno rinsaldato le divisioni sulle interpretazioni storiche. Queste divergenze, insieme alla “contro-narrazione nera” descritta nel quarto saggio del volume, hanno prodotto una rappresentazione deformata dei fatti, contaminando l’immaginario collettivo, alimentato anche da una produzione mediatica tossica e dall’incapacità di costruire una didattica scientificamente fondata. La questione da affrontare, dunque, è quella dell’uso pubblico della storia, come dimostra anche l’ultimo saggio, che cerca di offrire una panoramica tramite schede su personaggi, organizzazioni e corpi dello stato protagonisti di quel periodo, seguita da una cronologia essenziale degli eventi e da una bibliografia ragionata; tutti strumenti accessibili ai non addetti ai lavori e utili per chi volesse affrontare questi temi in sede di ricerca accademica, giornalistica, didattica.
Interessante, a tal proposito, è il saggio che osserva gli eventi della strategia della tensione nei manuali scolastici con l’intento di comprendere come viene presentata e contestualizzata la strage di piazza Fontana a scuola, e in che modo viene veicolata la versione ufficiale della storia collettiva di una comunità. I libri di testo hanno un significato profondo perché alla radice della pedagogia pubblica (anche se il ruolo dei docenti nell’insegnamento resta rilevante).
Un altro contributo favorisce ulteriori spunti, indagando l’origine delle narrazioni tossiche a partire dall’analisi della produzione cinematografica e analizzando come il cinema italiano ha affrontato – o meno – la strategia della tensione. A distanza di cinquant’anni sembra che la memoria minoritaria nata da quel profondo lavoro politico e culturale che fu la contro-informazione democratica – nelle sue diverse correnti – da un lato abbia avuto il merito di tramandare un lascito preciso, lucido su quei fatti, ma dall’altro sia riuscita con grande difficoltà a imporsi sui tabù e i luoghi comuni.
Dalla bibliografia alla fine del volume emerge come sia stata presa in considerazione soprattutto la letteratura specialistica sui temi e le vicende storiche affrontate. Questo perché su quegli eventi manca del tutto, o quasi, la letteratura. Come se quei fatti rappresentassero un nervo scoperto della storia nazionale, un argomento tabù difficile da affrontare. Sarebbe stato interessante riflettere negli stessi termini della produzione cinematografica anche sulle narrazioni letterarie dei fatti di piazza Fontana. Ma ce ne sono? Esiste una “verità letteraria” su quegli eventi, oltre alla verità storica e giudiziaria?
In Anatomia di un istante, lo scrittore Javier Cercas ricostruisce la storia del tentato golpe del colonnello Tejero nella Spagna del 1981. All’apparenza si tratta della ricostruzione di una pagina drammatica della storia recente spagnola, cioè il fallito colpo di stato del 23 febbraio 1981, eppure dietro quelle pagine c’è la ricerca ossessiva di un punto di vista preciso dal quale osservare la realtà. Cercas lo trovò guardando e riguardando le riprese televisive degli eventi di quel pomeriggio, in cui i lavori del parlamento spagnolo vennero interrotti dall’ingresso nell’emiciclo dei militari golpisti con le armi in pugno. A quel punto tutti i parlamentari si rifugiarono dietro gli scranni, eccetto tre uomini: l’ex capo del governo Adolfo Suarez, il generale Gutiérrez Mellado e Santiago Carrillo, leader dei comunisti spagnoli. Cercas scrive che quei tre gli ricordano una frase di Borges: “Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà d’un solo momento: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è”. Cercas non amava nessuno dei tre personaggi, eppure intuiva che quell’immagine poteva rappresentare una chiave di lettura utile per comprendere la storia del golpe e della Spagna post-franchista. Da quel minuscolo istante, trasse un libro di analisi e ricostruzione dei fatti basato su una lunga ricerca. Di letterario e immaginario c’era solo il punto di partenza, l’assunto – la frase di Borges –, mentre il resto era l’esito di un lavoro di documentazione accurato. Un altro scrittore analizzando quest’opera di Cercas concludeva: “Pensa un libro così sulla strage di piazza Fontana. In un certo senso mi son messo ad aspettarlo”.
Nell’attesa, è legittimo ricordare che se gli anni della strategia della tensione ebbero fra gli altri la verità come vittima sacrificale, abbiamo imparato dai migliori narratori che la verità non coincide mai con il potere, che “nonostante tutto, la verità esiste”. (andrea bottalico)
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