È in libreria a Napoli – e a Roma, Milano, Torino, Firenze, Bologna, Venezia – il numero zero de Lo stato delle città. Pubblichiamo a seguire un’anteprima dell’articolo di Giuseppe D’Onofrio: Ristorazione e ospitalità nella Napoli del turismo.
A partire dall’ultimo decennio, il turismo nella città metropolitana di Napoli ha registrato una crescita senza precedenti. Sulla base dei dati Istat relativi al “movimento dei clienti negli esercizi ricettivi del paese”, dal 2008 al 2016, gli arrivi e le presenze turistiche nella città metropolitana di Napoli sono cresciuti rispettivamente del 38% e del 35%. Il numero di imprese attive nel settore dei servizi di alloggio è cresciuto dell’8,3% in quattro anni, passando dalle 1.391 imprese del 2012 alle 1.507 del 2015. Si tratta prevalentemente di piccolissime imprese con un numero di addetti inferiore alle dieci unità (Banca dati I.Stat). L’ospitalità in città, da sempre garantita soprattutto dagli esercizi alberghieri, ha subito negli ultimi anni una serie di cambiamenti legati alla diffusione di nuove piattaforme digitali che hanno modificato l’offerta favorendo lo sviluppo di attività extra alberghiere come B&B, alloggi privati gestiti in forma imprenditoriale, case vacanze, ecc.
Nonostante gli esercizi alberghieri continuino a intercettare oltre il 90% degli arrivi e delle presenze complessive, analizzando i flussi nel dettaglio, e comparando i dati del 2016 con quelli del 2011, emerge come la crescita del turismo in città abbia riguardato principalmente queste ultime tipologie di attività: +400% di arrivi nei B&B, +166% negli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale e +252% negli altri esercizi ricettivi, a fronte di un aumento del 15% registrato negli esercizi alberghieri. Lo sviluppo di queste tre tipologie è confermato dai dati sulle presenze: +390% nei B&B, +121% negli alloggi in affitto gestiti in forma imprenditoriale e +138% negli altri esercizi ricettivi a fronte di un +19,7% di presenze negli esercizi alberghieri.
Nel giro di pochi anni una fetta consistente di alloggi è stata sottratta al mercato degli affitti della città e destinata a fini turistici. Nel centro antico l’operazione è stata guidata da una porzione di classe media cittadina proprietaria di diversi immobili e da uno sparuto gruppo di imprese specializzate nella gestione di proprietà immobiliari a uso turistico. Il rischio è che gli effetti speculativi derivanti dalla concentrazione nel centro storico cittadino dell’offerta ricettiva – con le conseguenti alterazioni del mercato immobiliare – accelerino processi di segregazione socio-spaziale già in atto, impattando sul diritto all’abitare delle fasce di popolazione più deboli.
Cinque euro per tutti
Le attività economiche legate alla nuova industria dell’ospitalità costituiscono l’impalcatura su cui si sta edificando questo cosiddetto “miracolo turistico”. Alla sua realizzazione concorrono molti lavoratori e lavoratrici che operano all’ombra dei palazzi del centro antico, e poche imprese che cominciano a spartirsi una quota rilevante nel mercato degli arrivi e delle presenze turistiche.
«Sono una studentessa fuori corso e lavoro per una società che gestisce diversi appartamenti per turisti nel centro storico. Formalmente si tratta di un affittacamere perché una struttura ricettiva, superate un certo numero di camere, non può figurare più come B&B. Io mi occupo dell’allestimento della colazione e della reception. Sono due soci che hanno due strutture in centro e un’altra in una zona secondaria. Adesso stanno cominciando a rilevare altri immobili sempre per fini turistici. Li prendono da gente che ha appartamenti in centro e non sa cosa farne.
La struttura dove lavoro ha dieci stanze. È un grosso appartamento situato in un palazzo del centro antico. Io lavoro sei giorni a settimana. La mattina comincio alle 7,40. Apparecchio i tavoli, preparo il banco con la roba da mangiare e da bere, e poi aspettiamo che escano gli ospiti. C’è uno spazio esterno in comune dove tutti fanno colazione. Dopo aver sparecchiato, cominciano ad arrivare i ragazzi delle pulizie. Sono quasi tutti srilankesi, salvo qualche signora napoletana dei quartieri popolari. C’è una sorta di intermediario, sempre srilankese, a cui ci si rivolge per reclutare questi ragazzi. Dopo la colazione, facciamo un inventario di quello che manca e contattiamo i fornitori. Allo stesso tempo ci occupiamo di gestire pagamenti e prenotazioni degli ospiti.
Lavoro in media cinque ore al giorno, fino alle 13. Se poi c’è da fare l’accoglienza, finisco alle 14. Il patto con il mio capo è stato questo: per avere 150 euro a settimana devo lavorare sei ore al giorno e dalle 11 alle 13 (quando finisce la colazione e il check-out) devo occuparmi del back-office, cioè rispondere alle mail, inserire le prenotazioni, ecc. I miei colleghi, salvo quelli che fanno le pulizie, sono quasi tutti studenti. Lavoriamo tutti a nero e la paga è di cinque euro l’ora per tutti, da quelli che preparano le colazioni a quelli che fanno le pulizie. Il mio giorno di riposo è il sabato, che ovviamente non mi viene pagato. Il mio orario parte dalle 8, ma inizio sempre venti minuti prima, e anche questi minuti non mi vengono pagati. Anche se finisco alle 14, l’ora in più non mi viene pagata. Insomma, guadagno sempre 25 euro al giorno. Sono 600 euro al mese. Ovviamente, non avendo un contratto, non maturo ferie (posso prenderle ma senza retribuzione) e se prendo permessi per malattia o per studio è lo stesso, perché nessuno mi paga. È tutto a discrezione del capo. Per il lavoro che faccio, credo di essere assolutamente sottopagata, anche rispetto alle competenze che ho maturato in questi anni. I miei genitori mi aiutano sia a pagare l’affitto che a vivere, perché non puoi certo campare con 600 euro al mese, soprattutto se ne paghi la metà solo di affitto». (Raffaella, cameriera in una struttura ricettiva).
Napoli, sebbene lontana dai livelli di brandizzazione e overtourism sperimentati in questi anni da altre città europee – con la conseguente espulsione delle fasce deboli dai quartieri centrali e il progressivo peggioramento dei servizi per il complesso degli abitanti –, comincia a fare i conti con l’espansione di un nuovo settore produttivo, un settore che sembra aver trovato nella domanda di consumo “mordi e fuggi” fondato sul cibo e sulle tradizioni culinarie, più che sui luoghi di interesse storico-culturale, il volano per il suo sviluppo. Le direttrici di questo sviluppo non assecondano, come suggerirebbe una lettura superficiale, esigenze di natura redistributiva, ma piuttosto inseguono logiche capitalistiche fondate su appropriazione e concentrazione del profitto. I mutamenti registrati nella struttura economica della città a seguito dell’esplosione dei flussi turistici, hanno prodotto l’allargamento di quel segmento periferico del mercato del lavoro cittadino costituito da impieghi informali, precari, dequalificati e sotto-remunerati, chiamato a soddisfare le esigenze di una nuova domanda, quella turistica, e a garantire alle imprese del settore la possibilità di mantenere basso il costo del lavoro.
Questo processo ha beneficiato dell’ampia disponibilità di lavoratori eccedenti disposti a essere reclutati in regime di informalità totale o parziale, e a prestare la propria attività per una manciata di euro l’ora. Studenti, proletari e immigrati costituiscono la nuova composizione sociale delle forze produttive messe a lavoro nel circuito di accumulazione della Napoli turistica. È soprattutto nel settore della ristorazione che alla precarietà e all’esiguità dei salari di molti, fa da contraltare la stabilità e la voluminosità degli affari di pochi. La crescita del turismo sembra non avere minimamente invertito la tendenza storica di questa porzione di terziario cittadino a privilegiare rapporti di lavoro informali. Le attività di alloggio e ristorazione rientrano tra i primi settori economici in Italia con la più alta incidenza di lavoro irregolare. La presenza di sacche estese di informalità continua a garantire alle imprese un’estrazione diretta del profitto, accompagnata da rapporti di forza completamente sbilanciati sul versante padronale. (continua…)
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