È uscito Firenze fabbrica del turismo, il nuovo ebook di perUnaltracittà, a cura di Ilaria Agostini, Antonio Fiorentino e Daniele Vannetiello. Un testo che illumina magistralmente su un modello economico fragile – quello della “monocoltura turistica” – perseguito con particolare ostinazione prima da Renzi e poi da Nardella. Dopo aver puntato tutto sulle politiche di attrazione sia delle piattaforme dell’ospitalità mercenaria che delle multinazionali dell’immobiliare, le contraddizioni di un modello fragile sono esplose con la pandemia.
Firenze fabbrica del turismo è il terzo e-book pubblicato da perUnaltracittà, dopo Agricoltura senza padroni di Gian Luca Garetti e Il comune e il capitale di Gilberto Pierazzuoli, tutti scaricabili gratuitamente in formato pdf, ePub e mobi da questa pagina web. Pubblichiamo a seguire il primo capitolo del libro: La distruzione della città in tempo di pace.
* * *
Quando nel febbraio 2017, all’assemblea dei comitati fiorentini, dissi che il programma urbanistico dell’amministrazione comunale si sarebbe facilmente riassunto nell’obbiettivo di trasformare Firenze in una smart city, non volevo certo farne un elogio, anzi. Un mese dopo, con il nuovo assessore all’urbanistica, il fatale binomio entra nel titolo dell’assessorato – all’urbanistica, alle politiche del territorio, alla smart city – guidato da Giovanni Bettarini, Pd, uomo esemplare del partito Ogm. Cosa sono le smart cities? Una prima definizione ci suggerisce quella di “città utile”, quella capace di “attirare gli investitori” (uno slogan ossessivamente ricorrente del sindaco, piazzista immobiliare), innanzitutto perché offrono infrastrutture come strade scorrevoli, aeroporti, servizi di “interesse generale” e di “alta qualità” (leggi: con elevato grado di automazione e interconnessione digitale); che abbiano almeno un’università in grado di mettere a disposizione esperti nei settori chiave delle tecnologie integrate al modo di produzione, in particolare nel campo dei “big data”, dei “sistemi distribuiti”, del “data intelligence”, dell’erogazione di “servizi smart”, e via innovando; inoltre, esse devono garantire produttività, mobilità, e adattabilità al cambiamento della mano d’opera; devono essere in grado di migliorare la “raccolta di risorse” interrompendo i “cicli di dipendenza,” per esempio smettendo di sovvenzionare l’abitazione e i servizi urbani per abbandonarli eventualmente al mercato privato. Le smart cities sono città che assicurano garanzie di “pace sociale” dando prova di governance efficace nella messa in scena della partecipazione. Infine, un aspetto primario, sono provviste di un grado sufficiente di “eco-sostenibilità” per garantire una buona immagine della governance. Questo elenco mette a nudo l’agire del sindaco, dall’illuminazione a risparmio energetico al furore infrastrutturale per una piccola metropoli, un non luogo in continua mobilitazione; le fasulle, tristi consultazioni dei Cento luoghi di Renzi, le inutili maratone dove si finge l’ascolto, le incresciose audizioni con assessori e commissioni consiliari atone, predeterminate al voto di squadra. Aggiungerei la “governance” da sceriffo nel cavalcare gli artefatti bisogni di sicurezza e legalità, la riesumazione del “decoro urbano” riaffiorato minaccioso nel lessico pubblico dalla polvere delle “ottime cose di pessimo gusto”. Oltre che intelligente, smart significa: “alla moda”, “malizioso”, “abile”, ed ecco che si vedono amministratori abilitarsi come agenti immobiliari e mobilitarsi per vendere splendidi edifici già religiosi, militari o civili del demanio statale e locale, agli investitori del lusso, ai predatori dell’arte racchiusa e significata dalla città, ai parassiti di una lunga civiltà urbana i quali, in combinazione (o in concorrenza) con le diverse branche dell’industria turistica, stanno trasformando la città antica in un tumultuoso “ospedale della memoria”, un vuoto e muto simulacro.
Amazon ha pubblicato nel 2017 un bando di concorso per selezionare un sito geografico per il suo secondo quartier generale. Ecco i requisiti minimi delle municipalità per l’accesso alla selezione: un’area metropolitana comprendente più di un milione di abitanti; popolazione diversificata; un ambiente aziendale. Risulta peraltro necessario presentare: una lista di università locali e statistiche sulle qualifiche dei lavoratori locali; prove evidenti di facile accesso alla rete di trasporti pubblici, di tempi di percorrenza inferiore a quarantacinque minuti per raggiungere un aeroporto internazionale, di accesso alla rete autostradale inferiore a due miglia; presenza di connessione internet su fibra ottica e mappa di copertura significativa della rete cellulare; dati sulla congestione stradale. È la nuova dimensione della “metropoli dell’intelletto astratto, dominato soltanto dal fine della produzione e dello scambio di merci” (Cacciari, La Città, 2004). È il dominio dell’interesse privato; il territorio deve poter essere occupato senza regole, neppure quelle più semplici, minime, come gli standard urbanistici. La possibilità di riequilibrare i privilegi delle aree centrali rispetto alla povertà di una periferia marginale e senza qualità non è più un argomento e tantomeno un problema. Con la neoliberistica austerità dei trasferimenti finanziari agli enti locali che ha ridotto anche ideologicamente la pianificazione pubblica, sono i fondi di investimento finanziario a decidere la trasformazione urbana. Così agli amministratori pubblici si è fornita sicurezza e felicità: in un sol colpo si sono fatte fuori le fastidiose responsabilità sociali e l’intera disciplina urbanistica che ne rappresentava complessità e conflitto. Basta mettersi al servizio della finanza per sentirsi gruppo dirigente.
Il simulacro della città guida l’azione di questi amministratori, ne falsifica la realtà, si regge su una pseudo cultura effimera e superficiale di facile consumo di luoghi comuni e di immagini seriali. Non necessita di una vera produzione culturale, perché questa imporrebbe una sosta, un approfondimento e una riflessione, incompatibili con l’industria turistica. In questa modalità di fruizione anche la città nel suo complesso o nelle sue parti non viene proposta con approfondimenti sui significati attraversati lungo la storia delle sue forme. L’ubiquità della connessione istantanea del nostro mondo virtuale toglie valore allo spazio del quotidiano così come a quello storico. Lo spazio si traduce in puro tempo di percorrenza. Credo che affrontare e sviluppare la contraddizione tra la nostra corporeità, il nostro bisogno di luoghi e il dinamismo della comunicazione della città piattaforma, è parte di una lotta di resistenza e di liberazione. Una lotta che include anche il tempo liberato dal lavoro, tra cui il tempo dedicato al turismo.
Sul piano dell’azione urbana penso che la parola d’ordine debba riassumersi nella battaglia per la trasformazione della periferia in città. La sottomissione della città comincia con la perdita della sua forma. I cicli produttivo e riproduttivo cannibalizzano il centro storico e rovesciano sulla periferia gli scarti della modernizzazione. Si tratta di progettare, nel magma dell’insignificanza, nessi tra le parti caotiche, di ristabilire logica e metrica delle relazioni tra spazi oggi interclusi, di lavorare sui vuoti e riempirli non di volumi ma di significato a partire da quello visivo, in ordine a una riconfigurazione dello spazio che reagisce all’ordine del profitto, che assume, nel farsi, un valore liberatorio.
Questa periferia fiorentina contiene, soprattutto a ovest, grandi edifici dismessi a cui si possono conferire nuovi ruoli in forza di configurazioni spaziali da ritrovare seguendo tracce disponibili a essere rielaborate in un processo ampio in cui prende corpo il progetto di città. Gli edifici dismessi, sottratti alla bieca speculazione dal superiore interesse pubblico per funzioni civiche, potrebbero andare a costruire la nuova armatura urbana. I siti, nuovi in quanto nuovamente relazionati al contesto, offrirebbero luoghi per ricerca e produzione di sapere, incluso un turismo formativo, più attraente di quello industrializzato (per esempio, piazze e grandi spazi, dedicati alla comprensione iconologica, insolita, delle opere d’arte della città antica). La stessa trasformazione di questa città progettante, oggi periferica e informe, capitalistica, diventerebbe meta culturale di un turismo più evoluto che includerebbe gli stessi abitanti. Di questo progetto possiamo e dobbiamo cominciare a discutere pubblicamente, per non lasciare tranquilli i responsabili di questa distruzione della città in tempo di pace. (roberto budini gattai)
Leave a Reply