Prima del voto in Emilia-Romagna diversi quotidiani e riviste hanno pubblicato numerosi articoli per fornire agli elettori chiavi di lettura utili per posizionarsi al meglio, secondo coscienza, rispetto alla competizione elettorale svoltasi il giorno 26 gennaio 2020. In seguito, hanno invitato politologi, statistici, analisti a commentare l’esito del voto ospitando contributi con punti di vista differenti; eppure qualcosa non (mi) torna.
Prendo come sintesi di questa (mia) preoccupazione alcuni articoli pubblicati dal quotidiano comunista Il Manifesto. Pezzi, per lo più scritti da giornalisti bolognesi, che hanno voluto spiegare ai lettori delle altre regioni perché in Emilia-Romagna la Lega non ha vinto. Nella maggior parte di questi articoli i giornalisti evidenziano alcune azioni messe in campo dall’attuale amministrazione comunale di Bologna quali un Ufficio di collocamento, un Tavolo per bloccare la proliferazione di AirBnb, il Bilancio partecipato, il Regolamento per i beni comuni che, a parer loro, permettono di capire il successo elettorale, a partire da Bologna, del candidato presidente Bonaccini; eppure, noi cittadini sappiamo (e lo sapevamo anche prima della competizione elettorale regionale) quanto queste siano per lo più pratiche attive sulla carta ma incapaci di portare risultati significativi.
I giornalisti sottolineano come in questi ultimi anni coloro che amministrano il capoluogo emiliano abbiano cambiato parere in merito alle politiche ambientali (vedi il dialogo con gli attivisti di Extinction Rebellion), turistiche (con la rete Pensare Urbano), legate al mondo del lavoro (con i movimenti che vorrebbero governare le piattaforme del food delivery). Ciò, concludono, ci permette di comprendere il sessantaquattro per cento di consensi ottenuti da Bonaccini nella città che ha fatto nascere le Sardine e dove l’ex europarlamentare Elly Schlein è di casa.
Questi articoli sono solo la sintesi, a mio parere, di una serie di scritti che, seguendo questa linea interpretativa, hanno voluto analizzare la vittoria di Bonaccini in nome del “buon modello” emiliano anche alla luce del lavoro dei tanti movimenti e delle tante reti civiche di sinistra presenti in città e in regione. E quindi, come affermava sempre sul Manifesto il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, circa un mese fa: “Andiamo avanti su questa strada!”. Io credo che questa chiave interpretativa possa arrecare danni a noi tutti, a sinistra, e provo a spiegarlo.
Bologna è una città che da anni fatica a ricostruire un modello di governo a sinistra capace di rispondere ai bisogni autentici di chi l’abita, come per esempio era stato quello della “febbre del fare” iniziato nei primi anni del dopoguerra e che si è concluso con la fine del periodo blu delle socialdemocrazie europee. Tali azioni politiche promosse dalle amministrazioni sono oggi sempre più, giorno dopo giorno, esercizi retorici di governo della città. Certo, qualcosa di vero c’è in questa narrazione: i voti presi da Elly Schlein, la rielezione di Bonaccini, la nascita delle Sardine non sono casuali. Tutto ciò, però, non è avvenuto perché c’è un’amministrazione capace di ascoltare i tanti movimenti attivi; all’opposto, è avvenuto perché proprio tali insufficienti politiche, promosse a livello comunale e regionale, hanno spinto molti cittadini e cittadine di Bologna a ritornare a fare politica – non a caso i voti presi a Bologna da Schlein sono più o meno gli stessi che prese la lista di Coalizione Civica all’ultima competizione amministrativa, ovvero una lista nata proprio per candidarsi al governo della città contro il “nemico” Lega e in opposizione all’avversario ormai divenuto storico: l’attuale amministrazione comunale.
Abito da quindici anni in una periferia storica di Bologna che è stata operaia e che da tanti anni non sa più quale sia il suo futuro. Come tanti miei concittadini faccio fatica a vivere il centro storico sempre più attraversato da flussi turistici “usa e getta” che hanno profondamente modificato il mercato degli affitti impedendo ai tanti studenti di trovare casa. Con dispiacere esco la sera visto che la maggior parte dei luoghi di aggregazione autogestiti vengono puntualmente sgomberati; e soprattutto, lavorando a Ferrara, sono sempre più consapevole di come il mio capitale sociale sia confinato in un fortino; basta uscire dalle mura bolognesi per trovarsi in contesti – montani, di campagna, provinciali – dove non solo non abbiamo “vinto”, ma continuiamo a perdere.
La domanda che dovremo farci, a cominciare da Bologna, dovrebbe essere: come investire sulla forza di questi movimenti e liste civiche che in questi ultimi anni hanno permesso a Bologna – nonostante l’attuale amministrazione comunale e regionale – di “resistere”? E, nello specifico, in previsione del voto amministrativo del 2021, come continuare la lotta affinché si crei uno scenario nuovo, di sinistra, capace di trasformare l’attuale narrazione superficiale di “vittoria” in qualcosa che migliori la qualità della vita della cittadinanza che soffre?
Contribuire a una lettura onesta della “resistenza” bolognese è l’unico modo per non produrre il solito giochino della replicabilità decontestualizzata di modelli ritenuti vincenti sulla base della disperazione e della paura (quanta fiducia possiamo investire in contenitori elettorali che nascono a due mesi dal voto e che scompaiono puntualmente qualche mese/anno dopo le elezioni?). Ci meritiamo di più: una lotta pancia a terra, territorio per territorio, fuori dalle campagne elettorali, inclusiva con tutte le realtà che pongano dei paletti a difesa di una comune dignità politica. Se scatole elettorali come Coraggiosa vogliono avere un futuro, gli attivisti come quelli che si sono riuniti in Coalizione Civica devono continuare a fare quello che hanno fatto finora. Lottare contro le politiche miopi delle amministrazioni comunale e regionale e puntare a un governo dei territori che sia frutto non di alleanze strategiche ma di un lavoro politico quotidiano.
P.S. Ovviamente mentre scrivo tutto sta cambiando, e siamo sempre più consapevoli come cittadini che anche una volta superata l’emergenza legata al Coronavirus ci sarà un paese tutto da ricostruire dal punto di vista sociale, politico, economico. A maggior ragione, sarà necessario, una volta tutti in piedi, proporre, a cominciare dal governo dei territori, politiche diverse, più coraggiose, innovative e che sappiano rispondere agli autentici bisogni della cittadinanza. (giuseppe scandurra)
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