Alla fine del 2023 passeggiando per le strade di Barcellona era frequente vedere dei cartelli nelle aiuole o nei parchi in cui si avvertiva che una pianta non era stata ancora sostituita per evitare sprechi d’acqua. La terra del parco della Ciutadella, una delle aree verdi più grandi della città catalana, sembrava secca quasi come in estate, mentre la grande fontana ornamentale era spenta. Nelle stazioni della metro alcuni manifesti della Generalitat, il governo catalano, chiedevano a tutta la cittadinanza di fare attenzione a non sprecare l’acqua con la campagna L’aigua no cau del cel (l’acqua non cade dal cielo), mentre diventava sempre più concreto il rischio che venissero emanate delle restrizioni nel consumo, anche per Barcellona.
Lo scorso primo febbraio la Generalitat ha annunciato, dopo che le riserve idriche erano calate sotto il sedici per cento, l’inizio dell’emergenza per duecento comuni situati nell’area idrica che fa riferimento ai fiumi Ter, che scorre poco a sud della frontiera con la Francia, e Llobregat, che sfocia a sud di Barcellona: questa comprende sei milioni di persone e include le città di Barcellona, Sabadell e Girona. L’altra area idrica catalana fa riferimento al fiume Ebro e ospita solo l’otto per cento della popolazione regionale.
La decisione della Generalitat fa riferimento al Piano speciale contro la siccità (Pes) sviluppato nel 2020 dall’Agenzia catalana dell’acqua che prevede diverse misure per affrontare la siccità. Sono previsti tre livelli di rischio: allerta, eccezionalità ed emergenza; a ognuno corrispondono restrizioni nei consumi d’acqua, calcolate in base al numero di abitanti di un comune: si va dai duecentocinquanta litri al giorno in situazione di allerta ai duecento al giorno per lo scenario definito d’emergenza, con possibilità di ulteriori riduzioni. Bisogna tenere conto che le medie includono sia i singoli cittadini sia le imprese commerciali sia quelle industriali. Allo stesso tempo sono state decise altre restrizioni come l’impossibilità di lavare le macchine o di innaffiare, a eccezione degli alberi dei parchi pubblici per garantirne la sopravvivenza.
Anche se si usa il termine emergenza il problema è ormai di lunga data e già nel 2008 la regione era stata colpita da una grave siccità. Inoltre, in questi anni la Catalogna si è dotata di un sistema di recupero dell’acqua già usata che, secondo i dati della stessa Agenzia catalana dell’acqua, permetterebbe di recuperarne, dopo averla trattata, settanta ettometri cubi (hm3) all’anno, con l’obiettivo di arrivare a cento nei prossimi cinque anni per scopi per cui non è necessaria l’acqua potabile. La Generalitat sta puntando anche sul rafforzamento dei sistemi di dissalazione dell’acqua che attualmente forniscono ottanta hm3 d’acqua all’anno, prevedendo di raggiungere i centosessanta hm3 all’anno entro il 2027. In un video diffuso lo scorso 20 febbraio la Generalitat ha annunciato che con le nuove opere in programma entro il 2030 la Catalogna non dovrebbe più dipendere dalla pioggia per il suo approvvigionamento idrico, sostenendo che già ora si sarebbe in grado di “produrre” la metà del fabbisogno annuale della regione metropolitana di Barcellona, stimato in quattrocento hm3. L’affermazione sembra almeno esagerata, visto che senza pioggia verrebbe comunque meno l’equilibrio ecologico.
Il Piano speciale contro la siccità prevede un aumento del ricorso alla dissalazione d’acqua direttamente proporzionale alla riduzione delle riserve nei bacini. Le procedure di dissalazione, finora usate soprattutto nelle zone desertiche o sulle isole, richiedono ancora un grande consumo di energia. Inoltre, come fa notare un rapporto di Greenpeace sulla siccità in Spagna, l’uso del dissalatore produce dei residui consistenti: è la cosiddetta salamoia, composta da sale e da altre sostanze, che non può essere riversata in mare tal quale visto che rischierebbe almeno di alterarne la salinità.
La siccità in Catalogna dura da circa tre anni, ma secondo i movimenti ecologisti non basta a spiegare la situazione attuale. Sul sito della rivista El Salto, Dídac Navarro Fernández e Maria Albà Díaz di Ecologistes en acció scrivono: “Il messaggio [che ci viene proposto] è chiaro: non piove e, quindi, non c’è acqua. Però questa affermazione è inesatta e perfino erronea visto che tralascia molti altri fattori che contribuiscono alla scarsezza idrica di cui stiamo soffrendo”. I due puntano il dito contro la cattiva gestione dell’acqua, trattata come se fosse infinita e usata per settori che ne consumano molta come l’allevamento e il turismo e invitano a diffidare proprio dei dissalatori: dato il loro impatto ambientale non possono essere considerati la soluzione. Da simili argomentazioni è nata la campagna di sensibilizzazione D’on no n’hi ha, no en raja (che si può tradurre con Se non ce n’è, non sgocciola).
In occasione di un incontro tra diverse realtà catalane avvenuto nel giugno 2023 è stato redatto un documento in cui, pur riconoscendo l’utilità del Pes, sono state avanzate diverse richieste per migliorare la risposta alla siccità: si propone di ridurre il consumo d’acqua puntando su un sistema agricolo e d’allevamento meno intensivo in cui verrebbe ridotto l’altissimo numero di allevamenti di maiali in Catalogna (responsabili anche della presenza di alcuni inquinanti nelle falde) e si punterebbe su colture estensive e non intensive. Si chiede inoltre la pubblicazione dei dati sui consumi d’acqua, in modo da capire chi ne usa di più e per quali scopi e per verificare se le restrizioni imposte dalla Generalitat vengono o meno rispettate. Si critica anche che all’interno del piano di sviluppo per il quinquennio 2022-2027 sia stato previsto sia un aumento della popolazione sia un consistente aumento del turismo, considerato un fattore non accettabile nell’ottica di garantire l’accesso all’acqua, visto che in media soddisfare i bisogni di un turista (soprattutto se di alta fascia) comporta un consumo d’acqua maggiore rispetto a quello di una persona residente. Basti pensare all’acqua usata per lavare le lenzuola o le stanze. Si richiede anche che ogni unità territoriale in cui è suddivisa la mappa della gestione idrica catalana sia in grado di fare affidamento sulle proprie risorse, senza contare su quelle altrui.
Tra le entità che sostengono questa campagna e che fanno parte della piattaforma Aigua és vida (l’Acqua è vita), attiva già da alcuni anni, troviamo anche la Piattaforma in difesa dell’Ebro, il grande fiume che sfocia nella Catalogna meridionale. Oggetto da anni di un intenso sfruttamento per scopi agricoli, industriali e per ottenere energia dagli impianti idroelettrici, l’acqua dell’Ebro è sempre al centro di interessi: si è iniziato a parlare di canali per portare l’acqua del fiume verso la zona del Ter-Llobregat o addirittura di navi che la porterebbero da Tarragona, nella Catalogna meridionale, a Barcellona, incontrando subito l’opposizione degli attivisti che giudicano questi interventi inutili e dannosi. Il fiume Ebro, uno dei più lunghi della Spagna, è da anni in difficoltà per l’eccessivo prelievo di acqua dal suo corso e per la presenza di dighe: un ulteriore aumento delle captazioni non farebbe che peggiorare il quadro. Negli ultimi decenni la portata d’acqua del fiume è calata molto generando anche un problema di erosione nella zona della foce.
La mancanza di pioggia sta facendo venire alla luce tutti i problemi che caratterizzavano già la gestione dell’acqua in Catalogna. Non siamo però di fronte a una caso isolato, visto che la siccità sembra ormai divenuto un problema costante di diverse aree del mondo. A fronte di campagne istituzionali che tendono a porre l’accento sulla responsabilità dei singoli individui sembra utile chiedere, come si sta iniziando a fare in Catalogna, quali siano i soggetti che consumano grandi quantità d’acqua, con la consapevolezza che questo può portare alla necessità di mettere in discussione almeno le modalità di produzione agricola e di allevamento, così come l’opportunità di continuare a puntare sul turismo come strumento di sviluppo economico. (alessandro stoppoloni)
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