da: HHMagazine
Caracas, 25 gennaio 2019: sto tornando da San Agustín del Sud, uno dei quartieri popolari che più mi piacciono, col quale ho un’affinità molto forte. San Agustín è negritudine ed è vita! Lì il suono del cuoio dei tamburi è il ricordo del nostro passato africano. È un ricordo che batte nel petto, sulla pelle, nel quotidiano, nel carattere. San Agustín è la culla del gruppo Madera. Un gruppo che cerca il recupero della memoria nera del quartiere a partire dal linguaggio musicale.
Io pure abito a San Agustín, ma del Nord. Questa è una divisione non solo geografica, ma socioeconomica. Le due zone di San Agustín sono divise dal fiume principale di Caracas, il Guaire, e dalla superstrada che collega il centro, il sud e l’ovest con la zona est della città. A San Agustín del Sud ci sono le favelas che si sono formate con le migrazioni dei neri dallo stato di Miranda e Arágua. A San Agustín del Nord, invece, ci sono le case dove sono arrivati i migranti europei, peruviani, ecuadoregni, e c’è il grande condominio del Parque Central – con i suoi due grattacieli – simbolo del Venezuela saudita e “prospero”, dove vivono intellettuali, artisti, politici e professionisti di classe media.
Avevo preso appuntamento con Reinaldo per incontrarci alle nove al Teatro Alameda, un teatro di grandi memorie e storie. Siccome è vicino casa, ho dovuto camminare solo per pochi isolati nell’avenida Lecuna e poi attraversare il ponte per arrivare all’altro lato di San Agustín. In questo tragitto così corto, lungo la strada ho visto diverse componenti delle forze repressive dello stato. Già all’uscita di casa, molte moto col personale armato della Guardia Nazionale; poco più avanti, la Polizia Nazionale Bolivariana aveva montato un posto di blocco; poi d’improvviso vedo passare un blindato nero e, subito dopo, un pick-up con i membri della Fuerza de Acciones Especiales (FAES), l’organo repressivo più temuto del paese.
Reinaldo ancora non era arrivato, mi sono incuriosita del fatto che il teatro era chiuso. Allora mi sono seduta sul marciapiede ad aspettare. Di nuovo la FAES! Varie moto con persone armate tagliavano la strada e salivano la favela. Subito dopo è passata un’altra camionetta, ma andava verso gli edifici del condominio Jardim Botânico. Dopo le proteste e l’autoproclamazione di Guaidó come “presidente ad interim” il 23 gennaio, il clima si è fatto teso! Incertezza, confusione, il gioco sulla scacchiera che cambia, la gente in attesa, schiacciata tra due orizzonti tragici. In questo scenario, le forze repressive vanno nelle favelas e nelle zone popolari arrestando persone o facendo esecuzioni a causa delle proteste e dei disordini delle ultime tre notti.
Reinaldo è arrivato, con lui ci sono Mundo ed Emilio. Sono stata felice di vederli dopo tanto tempo. Mi hanno spiegato che il teatro era chiuso a causa dei disordini, che a San Agustín del Sud sono stati condotti da criminali del quartiere e non solo dalla popolazione. Allora, hanno deciso di tenere chiuso il teatro in questi giorni per proteggerlo ed evitare che possa essere invaso o attaccato.
Quanta confusione! È la prima volta in tanti anni che la popolazione in varie favelas protesta contro il governo, ma in queste proteste, le manifestazioni e i soggetti non hanno lo stesso profilo. In alcuni casi, comunità scontente e coraggiose, in altri casi, i lumpen a distruggere tutto; e in altri ancora, un insieme di entrambi i fenomeni.
Non è possibile omologare la natura dei disordini nelle zone popolari. A San Agustín del Sud, per esempio, dei delinquenti sono scesi per creare incidenti. Nel 23 gennaio – uno dei quartieri popolari più agguerriti e con una forte tradizione di sinistra – gruppi di persone sono uscite ad accompagnare la manifestazione convocata da Guaidó. A Petare, militanti di Resistenza (un movimento oppositore) sono scesi a protestare e subito dopo le persone della comunità si sono aggiunte. Nel quartiere Amparo, a ovest di Caracas, la popolazione ha protestato in massa nella notte del 22 gennaio. Una cosa simile è accaduta nel quartiere di Cotiza, nel centro-nord di Caracas, dopo che alcuni soldati della Guardia Nazionale si sono ribellati al governo a causa delle precarie condizioni di sussistenza della popolazione. Tuttavia, vi è una coincidenza in questi casi: la risposta repressiva della FAES con invasioni, esecuzioni e detenzioni arbitrarie.
Sto tornando da San Agustín con una sensazione asfissiante di sospensione. L’esperienza dell’incertezza è sconfortante, e credo che per tutti qui sia la stessa cosa. La polarizzazione torna a coprire la nostra quotidianità, ma una polarizzazione che ci pone in due scenari spaventosi: mantenerci in una situazione catastrofica caratterizzata dall’autoritarismo, la fame, l’impunità, il fallimento del paese; o l’appoggio al colpo di stato e all’ingerenza straniera come alternative “salvifiche” in nome della “democrazia”, ma con la perdita della sovranità e della possibilità di decidere il nostro destino. Si tratta di una polarizzazione che pretende forzarci a scegliere tra continuare a bruciarci nell’acqua calda o saltare nell’olio bollente. Ci sono opzioni più tragiche di queste? Siamo attraversati dalla volontà ottimista e illusoria di credere che ogni alternativa sia sempre migliore e desiderabile, quando in verità, queste possono essere così tragiche quanto ciò che tentano di superare.
Ora ricordo il film Melancolia. In Venezuela, dove ottimismo e pessimismo sono all’ordine del giorno, forse un’attitudine malinconica è l’opzione politica per affrontare attivamente e creativamente la nostra tragedia. Io, intanto, mi rifiuto di mascherare l’orizzonte che abbiamo davanti. (livia vargas gonzález / traduzione di giuseppe orlandini)
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