Giovanni Iozzoli torna in libreria con un nuovo romanzo che sviluppa ulteriormente i nodi affrontati nelle precedenti opere narrative, definite da Gioacchino Toni, la Trilogia dello sradicamento, composta da I terremotati, I buttasangue e La vita e la morte di Perzechella.
A differenza dei precedenti, Di notte nella provincia occidentale (Arte Stampa, 2018) situa l’azione in un tempo meno dilatato, ancorando la vicenda al presente e concedendosi solo qualche sortita genealogica nella storia dei protagonisti. Più che lo sradicamento, stavolta, sembra che Iozzoli abbia voluto raccontare l’adattamento controverso di una generazione cresciuta al tempo della crisi del sistema economico e culturale dell’Emilia rossa.
L’abbandono improvviso della casa familiare di due giovani uomini (i figli) mette in crisi le certezze di due padri giunti alla mezza età dopo aver attraversato gli ultimi vent’anni del secolo. Le loro vicende diventano – in tal senso – l’emblema di una trasformazione irreversibile che ha cambiato categorie, riferimenti e valori tanto sociali quanto culturali e politici della classe operaia/lavoratrice italiana.
Ritornano alcuni dei temi cari a Iozzoli: l’identità dei meridionali trasferiti al nord, lo sradicamento culturale, la crisi del lavoro, tuttavia stavolta il contesto si arricchisce di elementi complessi che coinvolgono i protagonisti della migrazione e l’integrazione di migranti extra-europei nel contesto della fabbrica diffusa dell’Italia rossa. Ne scaturisce un insieme denso e una narrazione mai scontata del processo che ha portato all’affermazione del modello produttivo incentrato sulla figura dell’imprenditore, alla scomparsa della solidarietà operaia nonché all’emersione di modelli di opposizione radicale (individuale e collettiva) generati dagli sconquassi della globalizzazione economica degli anni Duemila.
Tuttavia, la vicenda dei padri diventa preponderante rispetto a quella dei figli. Sono proprio gli adulti i protagonisti di quanto accade nella “notte della provincia occidentale”. Sono i padri che, attraverso la crepa aperta dall’incomprensibile comportamento dei figli, riescono finalmente a ridimensionarsi, ad accettare il punto finale, a scoprire la propria posizione, reale e non proiettata, in quel susseguirsi di avvenimenti sfuggenti che costituiscono il loro presente rivoltante. Sono Pasquale e Mustafà (i padri) a vivere pienamente la notte (reale e metaforica) dell’Emilia paranoica e meccanizzata diventata la terra del lavoro precarizzato e delle partite iva individuali.
Le storie di un meridionale trapiantato e quella di un magrebino immigrato (perché queste, oggi, sono le categorie cui attenersi) diventano il viatico comune di un declino esistenziale e familiare. Iozzoli mette in crisi le categorie dei padri attraverso lo spaesamento provocato dai gesti atipici di rivolta dei figli. Ma di questi figli, alla fine, sappiamo poco. Molto di più, al contrario, si viene a conoscenza dei padri. Entrambi forestieri, entrambi operai. Nella notte della provincia occidentale vediamo l’erosione dell’identità operaia: se da un lato Pasquale trova nella militanza sindacale la ragione di una vita, Mustafà è uno dei primi a usare la trasformazione del ciclo produttivo come occasione per costruire una propria (piccola) attività imprenditoriale. Pasquale assiste al feroce ridimensionamento della fabbrica dove ha lavorato una vita, provando a rallentare un processo inesorabile, rimanendo solo e impotente di fronte alla delocalizzazione della fabbrica all’estero decisa dal figlio di quel “padrone rosso” che aveva fondato l’azienda. Mustafà usa la buonuscita del licenziamento per aprire un (piccolo) ristorante di kebab a conduzione familiare. Entrambi conciliano le culture di provenienza (l’una meridionale, l’altra mussulmana ma entrambe di matrice subalterna) con le loro identità adulte formatesi al tempo del tracollo del lavoro salariato, sia dell’operaio specializzato che di quello “massa”.
In certa misura, Iozzoli sembra trasferire l’antagonismo tra lavoro e capitale nella relazione padri-figli. Questi ultimi sono figli anche del proprio tempo, incerto, evanescente, liquido e forse per questo rincorrono corazze caratteriali apparentemente inossidabili come il salafismo radicale o il neofascismo primatista.
I figli diventano i detonatori della deflagrazione familiare. Le donne, le madri del romanzo rappresentano un ulteriore quadro della crisi. La moglie di Pasquale, inebetita dal sogno imprenditoriale di aprire un negozio di parrucchiera affidandosi all’usura legale di una piccola finanziaria, scappa con uno dei tanti ex operai convertitisi al dogma dell’autoimprenditorialità. La moglie di Mustafà non regge alla fuga del figlio e si rifugia nell’aiuto di familiari legati alle forze dell’ordine del paese di origine, il Marocco. Donne che lasciano gli uomini soli, dichiarando senza pietà il fallimento di un progetto di vita.
Il romanzo di Iozzoli ha il merito di praticare un terreno decisamente non alla moda. E lo fa, da un lato, ponendo questioni complesse come la disarticolazione delle forme del lavoro operaio e le sue conseguenze sul piano della produzione sociale quotidiana, dall’altro provando a declinare su una scala individuale la fascinazione esercitata dal radicalismo islamico sulle generazioni di beur nativi delle metropoli e delle province occidentali. Un tentativo non facile di delineare una cartografia intima quanto politica, uno spaccato della società contemporanea globalizzata. La notte raccontata da Iozzoli è senza dubbio uno spazio originale, un tassello di quella narrativa necessaria, mai banale e assai poco praticata nel panorama letterario attuale. (-ma)
Leave a Reply