Fotogalleria di Alessandra Mincone
Napoli, sabato 23 maggio, ore 15. La pietra lavica di piazza Dante scotta. Intorno alla statua del poeta iniziano a riunirsi centinaia di donne e uomini per l’iniziativa convocata dal Si Cobas Napoli e Caserta, Si Cobas Manutenzione Stradale-Banchi Nuovi, dal Movimento disoccupati 7 novembre e dal Laboratorio politico Iskra. Si tratta di strutture politiche di base che da tempo lottano per l’inserimento in percorsi lavorativi e salariali garantiti e stabili, in continuità con la storia complessa e variegata del movimento di lotta per il lavoro napoletano. La parola d’ordine della manifestazione è: “Non pagheremo la loro crisi!”.
Bandiere rosse sventolano nella canicola. Le persone indossano mascherine e mantengono, nella misura del possibile, le distanze di sicurezza antiepidemiche. Oltre ai militanti delle singole organizzazioni ci sono molti altri partecipanti. Riconosco visi di donne e uomini che in queste settimane, in zone diverse della città, sono stati protagonisti di esperienze di mutuo appoggio e solidarietà che, da sole, hanno distribuito generi di prima necessità a centinaia di famiglie in difficoltà garantendone la sopravvivenza. Ci sono molti che hanno subito prima lo sfruttamento del lavoro nero e in seguito l’abbandono da parte delle istituzioni, ma che non hanno smesso di alimentare una lotta di classe diventata per troppi uno spauracchio da ridicolizzare.
Gli interventi insistono, per la maggior parte, sulla necessità di riconquistare spazi di agibilità politica, compressi in questi mesi dalle misure imposte dall’emergenza sanitaria. Le richieste sono quelle di un reddito di emergenza, di risoluzione delle vertenze aperte, il “lavorare tutti lavorare meno” ma anche la lotta per il miglioramento delle condizioni abitative e la richiesta di tamponi di massa tra la popolazione. Poco più in là, carabinieri e celere, prima sonnacchiosi intorno ai cellulari, cominciano a schierarsi in assetto antiguerriglia. Anche la Digos indossa i caschi.
Nella sede della città metropolitana a piazza Matteotti è già stato fissato un incontro con il vice-sindaco di Napoli, Panini. L’accordo prevede l’arrivo dei manifestanti in piazza alla spicciolata, per rispettare il divieto di assembramenti e cortei. Passate da poco le quattro, le circa cinquecento persone iniziano a muoversi verso piazza Matteotti. Trovano però via Toledo bloccata dai reparti antisommossa che chiudono l’accesso anche a cittadini ignari di quanto sta accadendo. Prende così forma una sorta di corteo distanziato e selvaggio che attraversa via Tarsia e i vicoli di Montesanto eludendo il blocco.
La marcia prosegue attraverso Montecalvario e giunge a ridosso di largo Enrico Berlinguer, che si prova a raggiungere per i vicoli perpendicolari a via Toledo. Un primo momento di frizione avviene in vico Galluppi dove tra manifestanti e polizia si ritrova una bancarella ambulante, malamente rimossa dai celerini. Poco dopo il corteo si sposta nell’adiacente via Concezione a Montecalvario, pronto a raggiungere via Toledo, quando viene bloccato da un reparto che inizia a manganellare le prime file (per altro in spregio alle norme di distanziamento). A questo punto la pressione dei manifestanti apre un varco che permette di sciamare verso piazza Matteotti e limitare ulteriori violenze da parte della polizia.
Arrivati alla sede della città metropolitana, rincorsi dalle forze dell’ordine, i manifestanti decidono di arrestare il corteo e permettere alla delegazione di incontrare il vice-sindaco senza altre tensioni, in modo da non danneggiare vertenze urgenti e non più rimandabili con la scusa dei disordini.
Si è trattata della prima giornata di lotta, sul piano non solo locale ma anche nazionale, in cui non solo sigle organizzate, ma una composita aggregazione sociale, ha imposto le proprie urgenze e messo al centro del discorso pubblico le condizioni del proletariato marginale e precario colpito dall’emergenza sanitaria e dalla conseguente crisi economica e occupazionale.
A differenza di quanto raccontato dal capo della polizia Gabrielli e dall’acquiescente stampa locale, non si è trattato di un’iniziativa dei “centri sociali” ma di una riappropriazione dello spazio da parte di un soggetto sociale ben preciso, che durante l’emergenza ha riavviato percorsi di lotta che attraversavano un momento di difficile ricomposizione e costruzione identitaria. Nella cosiddetta fase 2, segnata dal genuflettersi del governo agli interessi di Confindustria, il 23 maggio napoletano ha iniziato a ribadire che la questione sociale non è una questione di ordine pubblico. (-ma)
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