È uscito all’inizio di questo mese il nuovo numero de Lo Squaderno, n. 45 / I dispositivi del turismo, curato da Marcello Anselmo e Cristina Mattiucci, con illustrazioni di cyop&kaf. Proponiamo a seguire l’articolo di Alessandro Bresolin, pubblicato con il titolo: Venezia, albergo diffuso galleggiante.
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Venezia è un città-arcipelago costruita su oltre cento isole interrate che comprende tutta la laguna, la più grande di tutto il Mar Mediterraneo, ma anche grossi agglomerati urbani in terraferma, come Mestre e Porto Marghera. È un’area estremamente complessa, che con i suoi quattrocentocinquanta km² è la seconda città in Italia per estensione dopo Roma. Oggi Venezia in quanto città d’acqua vive una fase cruciale, perché la problematica del gigantismo navale va a incidere proprio sul suo fragile rapporto con l’ambiente lagunare. Le Grandi navi a Venezia hanno cominciato ad arrivare nei primi anni 2000. Inizialmente attraccavano nel popolare quartiere Castello, ma dopo le proteste degli abitanti si è deciso di farle arrivare in Marittima, cioè nel porto cittadino situato nel quartiere, anch’esso popolare, di Santa Marta. Un’operazione che ha consentito l’attraversamento del Bacino di San Marco e del Canale della Giudecca da parte delle navi da crociera. Ciò ha peggiorato molto la situazione, perché il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca sono a tutti gli effetti delle arterie urbane, delle strade.
Sull’onda emotiva della catastrofe causata della nave Costa Concordia incastratasi sui fondali dell’isola del Giglio, il 2 marzo 2012 il governo Letta promulgò il decreto Clini-Passera. Questo, stabiliva il divieto di transito nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca per le navi merci e passeggeri superiori alle quarantamila tonnellate fino a quando non fosse stata individuata una soluzione alternativa. Poco dopo però il Tar del Veneto ha accolto un ricorso delle compagnie crocieristiche e le grandi navi hanno ricominciato ad attraccare nel porto cittadino di Santa Marta, continuando ad attraversare la laguna e il centro storico della città. Nel quartiere di Santa Marta gli abitanti lamentano un inquinamento sonoro, dovuto alle varie attività che si svolgono in nave a tutto volume (corsi di fitness, feste), ma anche elettromagnetico (non si prende il segnale del digitale terrestre per la televisione, non si prende internet). Nonostante ciò, in pochi anni gli interessi degli armatori si sono consolidati in modo così forte che nel 2015, nel silenzio generale, è stato privatizzato il porto di Santa Marta, le cui azioni sono state acquistate dalle grandi compagnie, Costa e MSC in primis. Oggi quindi non è più l’autorità portuale cittadina che stabilisce il flusso delle navi turistiche in base alle sue compatibilità e alle sue esigenze, ma le compagnie crocieristiche. Così nel 2016, dopo quattro anni dal decreto Clini-Passera, sono stati oltre mille e quattrocento gli approdi crocieristici in città. Questo stato di cose ha creato un disagio crescente in città, coagulatosi intorno al “Comitato No Navi”, che da un lato ha ingaggiato una campagna di informazione e dall’altro ha ostacolato con azioni eclatanti il passaggio per il Canale della Giudecca.
Uno dei danni principali causati dal transito delle grandi navi in laguna è l’inquinamento atmosferico: per garantire tutti i servizi a bordo, le navi non spengono i motori mai, neanche quando sono ancorate al porto. Per capire l’entità del problema è sufficiente riportare un dato riferito dall’ARPAV, l’Agenzia Regionale per la prevenzione la protezione Ambientale, che in un rapporto del giugno 2016 stabiliva che avere una grande nave ormeggiata a Santa Marta equivaleva ad avere sotto la finestra di casa un cementificio non ambientalizzato. Se si pensa che di navi sotto la finestra a Santa Marta ce ne sono mediamente cinque/sei, si fa presto a capire l’entità del problema.
Un’altro problema è quello che riguarda l’erosione dei fondali in città e i cambiamenti nella morfologia stessa della laguna. Infatti, una grande nave da novantaseimila tonnellate crea al suo passaggio lo spostamento di un’eguale quantità d’acqua. Questo in una laguna fragile come quella di Venezia ha un impatto molto forte, perché la sua profondità media, in costante aumento da un secolo a questa parte, è di circa centoquaranta cm e nei prossimi venti o trent’anni, se la situazione non cambia, la sua profondità media diventerà di duecentocinquanta cm e la laguna cesserà di esistere in quanto tale: diventerà un golfo, un braccio di mare. La laguna è fatta di barene e sedimenti che ne preservano la vita. Una grande nave al suo passaggio alza dal fondale una quantità enorme di sedimenti vitali per l’ecosistema lagunare, e possiamo immaginare le conseguenze del passaggio di mille e quattrocento navi all’anno: ogni anno circa un milione e cinquecentomila metri cubi di sedimenti lagunari vengono messi in sospensione e persi in mare.
L’erosione della laguna va di pari passo con quella delle fondamenta della città: al loro passaggio, le navi risucchiano i fanghi dei canali, ma anche la malta che c’è tra mattone e mattone. Inoltre, Venezia è una città che non ha una rete fognaria, da sempre le defezioni umane vengono scaricate in acqua e questo è possibile proprio perché l’ambiente lagunare attraverso una fitodepurazione naturale garantisce la digeribilità dei rifiuti organici. Se la naturalità della laguna dovesse venire meno, sarebbe necessaria un’opera titanica di costruzione di una rete fognaria, con conseguenze altrettanto devastanti per l’ambiente e la città.
A fronte di un fenomeno che mette a rischio l’esistenza fisica della città, spicca la debolezza della politica nazionale e locale. Le proposte avanzate per risolvere il problema del passaggio delle grandi navi, come l’ultima che prevede di far arrivare le navi a Marghera attraverso il canale Vittorio Emanuele III, prevedono lo scavo e l’ampliamento dei canali lagunari. Esiste però tutto un apparato legislativo, a cominciare dalla Legge speciale su Venezia, che vieta nuovi scavi in laguna proprio per salvaguardarne la naturalità. Scavare nuovi canali quindi vorrebbe dire compiere un’azione illegale, in contrasto con le stesse leggi dello Stato. Portare le navi da crociera a Marghera avrebbe dei costi altissimi, perché lì fino a poco tempo fa c’era uno dei poli petrolchimici più grandi d’Europa: l’operazione comporterebbe acquisizioni di terreni e bonifiche costosissime. Inoltre Marghera anche se in gran parte deindustrializzata rimane uno snodo cruciale per l’economia del nordest, dal momento che è ora sono concentrate le attività del porto commerciale. Il traffico commerciale subirebbe una drastica riduzione, e segnerebbe il definitivo passaggio dell’area da un tipo di economia industrial-commeciale alla monocoltura turistica. Ma il turismo non può essere la panacea per la città, infatti nonostante i trenta milioni di visitatori l’anno a Venezia il tasso di disoccupazione è del 25%.
In realtà, anche se la politica continua a riproporre l’opzione Marghera, con conseguenti scavi in laguna, l’unica proposta che il 25 novembre 2016 ha avuto un parere positivo dalla commissione del VIA (Valutazione Impatto Ambientale) è quella del Venis Cruise 2.0. Questo progetto, detto anche “Duferco/De Piccoli”, dal nome dell’azienda costruttrice e del deputato che l’hanno proposta, prevede la costruzione di un nuovo terminal crociere off-shore in Bocca di Lido. Tenendo le navi al di fuori della laguna si risolverebbe il problema della sua salvaguardia, inoltre secondo economisti come Giuseppe Tattara, sostenitore del Duferco/De Piccoli, questa opzione avrebbe risvolti positivi anche sull’occupazione: l’indotto economico, con l’aumento del comparto della logistica aumenterebbe di molto, anziché diminuire.
La questione delle grandi navi a Venezia sta assumendo i connotati di un paradosso tutto italiano: da un lato il governo, le amministrazioni e le compagnie crocieristiche propongono soluzioni che continuano a prevedere l’ingresso delle navi in laguna, con costi molti elevati da parte soprattutto dello Stato, smentendo lo stesso decreto governativo Clini/Passera che lo vieta; dall’altro l’opinione pubblica veneziana, coagulatasi intorno al Comitato No Navi, che si oppone a nuovi scavi in laguna e che sostiene il progetto Duferco/De Piccoli, il quale ha costi molto più contenuti ed è l’unico che ha ottenuto il parere positivo della commissione del VIA. Il Venis Cruise 2.0 non viene preso in considerazione. Ciò che tutti temono a Venezia è proprio questo, che quest’impasse politica e istituzionale sia funzionale a che tutto continua come se nulla fosse, garantendo lo status quo. A tutt’oggi infatti le grandi navi continuano a passare per il Bacino di San Marco e il canale della Giudecca, e non c’è nulla che faccia pensare che a breve la situazione possa cambiare. (alessandro bresolin)
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