Finalmente i salotti hanno smesso di ospitare recital pianistici a suon di Schumann, Schubert e romanticismi vari per allargare la cerchia dagli inviti alle prenotazioni. In questa fredda domenica di novembre un concerto al secondo piano a destra del nobile Palazzo dello Spagnolo attende circa un centinaio di presenze: non posso fare a meno di dare una sbirciatina ai quattro fogli a4 in Calibri corpo 12, luogo d’attesa dei prenotati.
Aperitivo alle 19, concerto alle 20: la domenica è servita. La struttura è decisamente grande, pronta ad accogliere tutti nei suoi ampi spazi, l’interieur vuole confarsi allo status del padrone di casa tra opere d’arte, sculture e librerie d’altri tempi, laddove gli strumenti musicali fanno da arredamento. Finalmente il pubblico che adoro, finalmente musica che si adegua ai tempi nella misura di un aperi-concerto: da segnalare la massiva presenza di Adde, la sedia Ikea che ha fatto scuola insieme a tante altre assortite. Finalmente una musica spogliata della necessità della musica come portata a fine pasto.
L’organizzazione merita un plauso speciale per aver dato a tutti un motivo di uscire di casa, semplice e concisa si fonda su un efficace passaparola. Lentamente tutti abbandonano una cucina oltremodo organizzata: due tavoli simmetrici tra loro ospitano rustici, danubio, gateaux di patate, taglieri di salumi e formaggi, bocconcini di salsiccia, patate e fagiolini, pane; al centro il tavolo delle bibite con la giocata di un tavolino deputato alla spartana presenza di pane, pomodori, sale e olio; anche prodotti gluten free.
Chiaramente il concerto è l’ultimo dei problemi, si bivacca signori miei. Inesorabilmente si son fatte le 20e10 e il pubblico è diviso ancora tra la cucina e la sala concerto, questo stanzone tagliato da una scultura aerea in fogli di giornale, un insettone dalle sembianze di drago. Più passano i minuti più si parla forte, siamo fatti così. Assisto a un successo già prima di iniziare per un pubblico amico fatto di amici che incontrano amici.
Applausi accolgono Alessio Arena.
Peccato per i volumi un po’ troppo alti, la difficile intellegibilità di un testo in spagnolo non disperde la qualità di un timbro davvero colorato mentre la chitarra e il violoncello (Arcangelo Michele Caso) disegnano il tempo con adeguata intimità. Sono seduto sul divano, insieme a una comitiva di splendidi quarantenni che commentano minuto per minuto quanto succede in scena. Il secondo pezzo è una traversata di popoli e posti “nessuno ci può obbligare a rinchiudere le vite nelle frontiere”. Roba che pur potendo andare a Sanremo sceglie di restare non invischiata nei percorsi ormai compromessi della musica al netto della sua radiogenia, e finisce così a Musicultura. Ogni pezzo un applauso, c’è del promozionale ogni tanto.
Una musica di qua ma anche di altri posti, racconta dunque storie, e questo può piacere. Alla terza siamo a una “diablata” in napoletano, omaggio al deserto cileno e alle sue dimostrazioni religiose dedicate alla Vergine. Sulle frequenze basse tutto il suono è confuso per via dell’interazione con uno spazio oltremodo riflettente, anche per via del sold out di cui sopra. Funziona ottimamente la riduzione per chitarra e cello laddove l’interazione premia la dimensione del racconto impreziosito da suoni altri che non la voce del narratore. Un concerto oltremodo godibile ricamato dalla capacità di Arena di porsi come rapsodo di composizioni in tempo differito a cavallo tra spagnolo e italiano.
Il pubblico dei quarantenni si ferma spesso a sublimare il mondo di fuori grazie a un controllo spasmodico della rete, i ragazzi di ieri ci stanno più dentro e seguono con attenzione le fila del discorso cantato. Poi li raggiunge Luigi Esposito al pianoforte. Arena ha capito che modulare sempre può essere una buona strategia compositiva – si veda L’esorcismo di Marinella, estratto della sua personale mitologia familiare tratta dal suo primo disco. Il ragazzo ha piacere a fare promozione dei suoi tanti e diversi prodotti, dischi e romanzi. (antonio mastrogiacomo)
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