Le dichiarazioni del ministro francese dell’educazione Jean Michel Blanquer sulla presenza di una frangia “islamo-gauchiste” all’interno del sistema universitario e l’annuncio di un’inchiesta presso le stesse università da parte della ministra della ricerca, Frédérique Vidal, hanno scatenato dure reazioni da parte dei ricercatori. Tra questi ricordiamo la conferenza dei presidenti delle università che si è schierata contro il tentativo della politica di includere il mondo scientifico all’interno di una lotta ideologica e il manifesto dei seicento accademici, apparso su Le Monde, che chiedevano le dimissioni di Vidal, tra cui figurano alcuni dei più noti nomi delle scienze sociali e umanistiche in Francia.
Tuttavia, proprio la reazione alle dichiarazioni della politica ha provocato una sorta di boomerang contro gli stessi universitari, accusati dai ministri di ideologizzare la ricerca. Su molti siti web, spesso legati all’estrema destra, i firmatari del manifesto sono stati oggetto di una campagna di diffamazione, incriminati di essere i “complici” del presunto movimento di sinistra islamista. Le risposte a questa campagna non si sono fatte attendere e il dibattito è ancora lontano dall’essere concluso.
Bisogna ribadire che il termine “islamo-gauchisme” non è stato il frutto dei discorsi di estrema destra o dei politici. Esso giunge proprio dal linguaggio accademico e precisamente dal sociologo e politologo Pierre André Taguieff, direttore di ricerca al CNRS, equivalente all’italiano CNR. È importante sottolineare come l’autore intendesse con questo termine esplicitare la vicinanza nella ricerca tra il campo ideologico della sinistra e le rivendicazioni dei movimenti politici del mondo arabo, legati spesso a una forte impronta islamista. Non è il caso qui di interpretare nel dettaglio tale proposta poiché essa è stata già l’oggetto di un vivace dibattito in cui Taguieff è stato spesso criticato per esercitare posizioni neo-conservatrici o legate a idee destrorse. Eppure, tutta la questione dell’islamo-gauchisme all’università verte proprio sulla sua validità in quanto “termine scientifico”.
In Francia la presenza degli accademici nel mondo politico è molto forte e assidua. Basti pensare che gli stessi ministri della ricerca e dell’educazione provengono da questo mondo, in particolare la ministra Vidal, professoressa di scienze naturali all’Università di Nizza, mentre Blanquer ha un passato da ricercatore presso l’Istituto di studi politici di Lille, prima di approdare nei quadri dell’amministrazione nazionale. Un’appartenenza sintomatica di come il mondo accademico francese sia molto più vicino alla società civile, e al contempo di quanto sia ancora capace di influenzare le scelte politiche.
Questo è ancora più vero per le scienze umane e sociali che contribuiscono al dibattito pubblico, un fenomeno poco conosciuto in Italia dove spesso gli accademici di tali materie faticano a uscire dalle loro aule per trovare spazio nei programmi radiofonici, televisivi, o sui giornali; e quando lo fanno sono di solito sempre gli stessi, diventando essi stessi “personaggi mediatici”. Al contrario, in Francia le scienze umane e sociali rivestono un grande prestigio poiché il paese investe risorse considerevoli nell’università e nella ricerca. Sebbene non manchino anche qui proteste e contestazioni sui tagli dei fondi pubblici, gli “analisti della società” rivestono ancora un ruolo fondamentale nella diffusione delle opinioni e nell’orientamento degli elettori. E la vicenda dell’islamo-gauchismo è lì per ricordarci come in Francia le idee degli accademici conoscano ancora un’ampia diffusione nella società e nel dibattito pubblico.
In effetti, sono proprio le scienze sociali a essere l’oggetto della critica del governo, accusate di deviare l’opinione pubblica. Questo atteggiamento è dovuto in parte allo spostamento verso destra della politica del governo Macron nel tentativo di assecondare le istanze conservatrici della società in vista delle prossime elezioni. La virata a destra si evince (anche) dalla campagna in favore della laicità che il governo ha intrapreso per combattere la diffusione del radicalismo nelle banlieue e nelle classi popolari degli immigrati di seconda e terza generazione. La laicità, che da sempre caratterizza la vita dei francesi, è l’arma che Macron vuole utilizzare per attirare verso di sé le simpatie dell’area conservatrice, sfruttando l’onda emotiva dell’attentato di Conflans-Sainte-Honorine, quando un insegnante è stato ucciso da un giovane immigrato radicalizzato. Una politica a sostegno della laicità che ha modificato persino l’accesso all’insegnamento nella scuola: d’ora in avanti, per diventare docenti nelle scuole, bisognerà passare una prova orale in cui il candidato dovrà dimostrare la conoscenza dei suoi principi.
La battaglia per la laicità polarizza la politica sul fronte di una guerra di civiltà. È un fenomeno che riguarda tutta l’Europa ma che in Francia assume un tono più profondo, proprio perché l’immigrazione mette in crisi i valori della civilisation su cui si fonda l’intero assetto storico-culturale del paese e su cui il filosofo Jacques Rancière ha redatto un interessante articolo. In effetti, lo scontro di dichiarazioni scatenato dal governo ha creato una frattura in cui è necessario schierarsi. L’annuncio del governo di un’inchiesta nelle università, più che sul piano pratico ha un valore politico, poiché costringe gli intellettuali ad arruolarsi come difensori della civilisation. D’altronde, la risposta degli universitari non ha fatto altro che amplificare questa spaccatura, dirigendoli malgrado loro nel campo degli islamo-gauchisti.
Tutto questo è frutto di una politica autoritaria che non minaccia soltanto la libertà di espressione ma in particolar modo l’autonomia della ricerca scientifica. Le dichiarazioni servono per etichettare i ricercatori e le ricercatrici in un preciso campo politico e schierarli di conseguenza. Tale situazione può forse ricordare il 1925 italiano, quando al Manifesto degli intellettuali fascisti del filosofo Giovanni Gentile, Benedetto Croce rispose con il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Anche allora l’intento fu quello di porre gli intellettuali di fronte a un bivio per cercare di coinvolgerli nel progetto totalitario del fascismo. Certo, le circostanze storiche sono differenti ed è necessario fare i dovuti distinguo. Tuttavia è opportuno restare vigili sulle derive che tali dichiarazioni possono portare con sé, poiché il rischio di creare “una scienza di stato”, con tutti i suoi limiti e le conseguenze, non è poi così lontano. (maurizio coppola)
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