da: CQFD
Fino alla fine si stenta a crederlo. Sabato 29 settembre 2018, ultimo giorno ufficiale del mercato della Plaine, piazza Jean Jaurés. Tra i clienti, i venditori, le donne che vengono a cercare qui un po’ di calore umano oltre a mezzo chilo di fagiolini, l’emozione è palpabile. Come dicono Monica e la sua compagna, venditrici di pret-à-porter femminile. «È la fine del mondo, non ci vogliono più». Prefettura e Comune hanno evocato lo spettro di una Zad urbana, con un nucleo di duecento scalmanati pronti a tirar su delle tende tra i tigli della piazza per opporsi all’avanzata delle macchine scavatrici. Ma c’è un altro interrogativo che turba il sonno delle autorità: e se gli ambulanti rifiutassero di sloggiare? E se una Zad a Marsiglia volesse significare un suq permanente? Doc Youcef, riparatore di biciclette, ce ne aveva parlato tra una riparazione e l’altra: «Bisogna fermare il cantiere piantando delle tende e dichiarando aperto il mercato sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro!». Scherzi a parte, il fraternizzare degli abitanti del quartiere con la gente del mercato preoccupa quelli che denigrano gli oppositori – «una banda di punk-a-bestia», dice Chenoz, l’assessore ai grandi progetti di rinnovamento urbano e presidente di Soleam, la società pubblica che si occupa di riqualificazione urbana.
Il mercato tri-settimanale della Plaine non è che un mercato di quartiere. Questa sorta di piano sociale che impone a trecento venditori di disperdersi ai quattro venti, chi sotto una bretella autostradale, chi al porto dell’Estaque (ai margini della città), non è che l’aspetto più temibile di una guerra di posizione. Si tratta di rompere un equilibrio che lega ancora il centro della città con i quartieri popolari. «Non è solo per difendere la mia pagnotta», dice Manu dal suo banco. Col suo profilo da hipster e l’accento del nord, spiega: «Un lavoro me lo posso inventare altrove, è la mia dignità che sto difendendo qui».
Il 14 settembre, in occasione della venuta di Macron e Merkel a Marsiglia, Hichem ha tirato fuori il barbecue, due o tre sedie a sdraio e un ombrellone che ha piantato in mezzo alla Canebière, bloccata da decine di ambulanti, di fronte all’edificio della Camera di commercio. Due colleghi gitani si sono installati con una chitarra e hanno cominciato una rumba. La scena voleva dire molto: il collettivo degli ambulanti, diviso e disprezzato, ha ritrovato il suo orgoglio. E la gioia di opporsi, anche se con le spalle al muro.
Dividere per regnare meglio
Sono stati sballottati qua e là gli ambulanti della Plaine. Persuasa di tenerli per le palle, la responsabile municipale dei mercati, Marie-Louise Lota, li apostrofava così: «Vendete cose di qualità troppo bassa». La sua anima dannata passava la mano sulla schiena degli uni e degli altri: «Contiamo su di voi per il futuro del mercato, quelli che non vogliamo più sono i “barbuti”». Oppure: «A voi gitani vi metteremo in piazza della Joliette, vedrete che vi troverete bene». Al che gli interessati hanno risposto: «No, noi restiamo con i neri e con gli arabi».
Le persone sanno bene che questo mercato è una sola cosa. I prezzi bassi fanno da apripista, attirano il pubblico e tutti ne approfittano, compresi i commercianti sedentari della rue Saint-Michel: i giorni di mercato le loro vendite aumentano, e non di poco. È un alchimia fragile, un mercato. Non si può toccarlo senza aspettarsi una reazione. «Vogliamo restare qui. Al limite potremmo spostarci un po’ durante i lavori, ma tutti insieme. Ci chiameremo “mercato della Plaine in esilio”», dice Dalila con un sorriso.
Dal suo banco il nigeriano Dolapo dice: «La gente pensa che se vendiamo a prezzi così bassi è perché ci riforniamo da qualche camion di merce rubata. Eh no, non è mica rubata. Guarda i Manouche, fanno il giro dei negozi proponendo ai commercianti di sbarazzarsi di quel che gli resta sul groppone. Alcuni sono addirittura ammanigliati con certi direttori di vendita dei supermercati!». E questi stessi direttori spiano il commercio di strada per capire che cosa va forte e a che prezzi…
La promessa iniziale di Soleam – due terzi del mercato mantenuto e il terzo rimanente trasferito nelle vicinanze – si è ridotta un po’ alla volta. A un certo punto, solo ottanta commercianti sarebbero dovuti restare nella piazza durante i lavori. Presumibilmente scelti secondo criteri di anzianità e assiduità… Ma inseguendolo, il clientelismo torna al piccolo trotto. All’uscita di una riunione nel municipio, il venditore Bakouche diceva a una giornalista: «La discussione? Non è una discussione, signora, è una riqualificazione. Riqualificano i commercianti. […] Vuole che le dica come sono stati scelti gli ottanta che restano? Secondo l’origine. Ne hanno presi venti di questa origine, venti di quella, e hanno risolto il problema».
“La piazza sarà totalmente chiusa durante i lavori per ragioni di sicurezza e igiene”, si leggeva infine in una lettera indirizzata ai commercianti il primo agosto 2018. Pompiere piromane, Madame Lota ha avuto il coraggio di scaricare la colpa dell’annullamento dei lavori sui commercianti: secondo lei, avrebbero dato i numeri per un posto, mettendo i clienti in pericolo. Li ha messi insieme per fargli scegliere un “sito di ripiego”, tra gli otto proposti. Siti inospitali, dove nulla è stato preparato per il loro arrivo. E poi, «la signora che mi compra la stoffa, se mi cerca anche le scarpe, le dirò di prendere l’autobus e andare all’Estaque? – domanda ironicamente Raphael – Come ragionano, al municipio, col culo?».
Scientemente divisi per comunità, per status (giornalieri, titolari, raccomandati), i venditori si sono ritrovati livellati verso il basso, condividendo la stessa incertezza sul futuro. Risultato, i ranghi si sono serrati. I giornalieri, che non partecipavano alle mobilitazioni, si sono aggiunti alla protesta. In massa, più della metà dei venditori si sono affiliati allo stesso sindacato, quello dei mercati di Francia, che “difendono un’etica dei mercati popolari”.
Dopo le prime manifestazioni, il Municipio ha guadagnato una settimana di tregua con la promessa di una riunione sotto gli auspici della Prefettura. Giovedì 13 settembre alle 22:30, dopo tre ore di discussione, la signora Lota fingeva di cedere su un punto. Dopo aver detto che i commercianti avrebbero dovuto iscriversi nuovamente e individualmente una volta che il posto gli fosse stato rinnovato (una procedura illegale), eccola giurare, per iscritto, che tutti i titolari sarebbero stati riammessi. Tutti? Tranne quelli che hanno cambiato lavoro asfissiati da tre anni di carestia… e i giornalieri, sacrificati senza rimorsi.
Un governatore coloniale
L’ombra del cantiere avanza come un mostro titubante, con un braccio rotto ma pronto a calpestare tutto ciò che qui permette la presenza degli indesiderabili. È lì per durare, il cantiere, fino a quando le persone dimenticheranno l’uso che facevano di quei luoghi, fino a provocare abbastanza fallimenti e fughe di abitanti per fare tabula rasa, prima che gli investitori ne possano approfittare tempestivamente. Ma questa seconda tappa nelle operazioni speculative fa spesso cilecca a Marsiglia. I paesaggi urbani ultimamente riqualificati sembrano dei deserti. Cosa importa, Gerard Chenoz ha sempre la battuta pronta: «I turisti non vogliono che togliamo di mezzo gli arabi», scherzava alla fine di una riunione con i commercianti del quartiere preoccupati dagli effetti devastanti del cantiere. «Vogliono solo che spazziamo un po’ di più le strade. Quindi basta pedonalizzare e questo diventerà un quartiere alla moda». E Hichem traduce: «Chenoz non parla come un eletto ma come un governatore coloniale».
Ci sono, tra questi commercianti ambulanti, dei veri filosofi da combattimento. Dolapo ha studiato al South Bank Polytechnics di Londra prima che i capricci della vita lo portassero a vendere profumi e intimo femminile nei mercati del sud-est della Francia: «Shakespeare ha detto che il bene che gli uomini fanno viene spesso dimenticato dopo la loro morte, ma il male, quello, persiste. È forse questo piccolo assaggio di immortalità che la signora Lota sta cercando maltrattandoci!». Prima di esplodere in una grande risata: «Ma le sto facendo troppo onore. Questa signora non ha la caratura di un personaggio shakespeariano!».
Sabato 29 settembre, alla fine dell’ultimo mercato, si è svolta una scena inimmaginabile pochi giorni prima. Un incontro comune, dove mercatari e mercatare, rappresentanti dei loro sindacati, abitanti del quartiere, membri dell’assemblea della Plaine, giovani decisi a non permettere di tagliare gli alberi e qualche militante hanno condiviso un microfono aperto per parlare di strategia. La tristezza e la rabbia erano strettamente intrecciate. Ma anche la sensazione che una situazione senza precedenti permettesse alcune speranze. Non tutto è ancora perduto. (bruno le dantec – traduzione ab/lr)
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