«Molte persone pensano che l’agricoltura contadina sia un residuo del passato e che le grandi imprese agrarie producano la maggior parte del cibo. Non è vero e lo si è visto bene durante questi mesi di pandemia». Chi parla è Fabrizio Garbarino, allevatore di capre e produttore di formaggi nelle Langhe piemontesi tra la provincia di Alessandria e quella di Cuneo. Garbarino fa parte dell’Associazione rurale italiana che, insieme ad altre strutture, sta promuovendo l’approvazione di una legge che tuteli l’agricoltura contadina. L’articolo 2135 del Codice civile riconosce l’esistenza di imprenditori agricoli, cioè persone che coltivano un fondo, praticano la selvicoltura, l’allevamento o altre attività connesse. La legge n. 99 del 2004 restringe ancora di più il campo e stabilisce che può essere definito imprenditore agrario professionista solo chi dedichi all’agricoltura almeno il cinquanta per cento del proprio tempo lavorativo e ne tragga almeno il cinquanta per cento del proprio reddito. Queste definizioni escludono tutte le persone che coltivano la terra come attività collaterale o in un’ottica di sussistenza o di piccolo commercio. I limiti dovuti a questa situazione sono emersi durante la primavera del 2020 quando all’improvviso, a causa dei provvedimenti del governo per rallentare la diffusione del virus Sars-CoV-2, le possibilità di muoversi sono state ridotte e per chi non risultava imprenditore agricolo era difficile giustificare degli spostamenti per coltivare o per vendere i propri prodotti.
«Chiamiamo chi si trova in questa condizione agricoltore o produttore di fatto: è un contadino, però la legge non contempla la sua esistenza», ci spiega Emanuele del collettivo Terra/TERRA che da anni organizza a Roma mercati contadini in cui confluiscono persone dal Lazio e da altre regioni. Lo incontriamo proprio al margine del mercato che il collettivo tiene un sabato al mese nel casale dell’Utopia, nel quartiere San Paolo. «Fino a qualche tempo fa grazie ai contatti con il Municipio VIII riuscivamo a tenere il mercato in uno spiazzo sotto al casale, però da quando sono sorti dei problemi per i parcheggi con uno dei condomini abbiamo perso quest’opportunità. Speriamo di ritornarci in futuro, cercando di affermare con chiarezza che tra di noi c’è anche chi non risulta imprenditore agrario».
A partire dall’estate 2020 si è riusciti a recuperare un po’ di margine di movimento ma basta che una regione torni in zona arancione per mettere a rischio i mercati. «Questi provvedimenti, soprattutto nei primi mesi di pandemia, hanno finito per avvantaggiare la grande distribuzione che ha potuto lavorare indisturbata e con meno concorrenza – ricordano Fabio e Marta, due ragazzi parte di Terra/TERRA che coltivano cereali e ortaggi nella provincia di Frosinone –. In questi mesi ci siamo attrezzati con forme di distribuzione alternative. Per noi il mercato non è solo il momento in cui si realizza un guadagno, ma è anche un’importante occasione di incontro ed essere costretti a farne a meno ci mette in difficoltà». È dello stesso avviso Domenico Fantini di Campi Aperti, un’associazione attiva nella provincia di Bologna che, come Terra/TERRA, organizza mercati contadini: «Organizzare i mercati per noi è un momento di scambio e di costruzione di una base sociale necessaria per ottenere poi dei risultati». Come in altre zone d’Italia i mercati di Campi Aperti sono stati chiusi durante il confinamento nella primavera del 2020 e poi hanno proseguito con aperture a fasi alterne, ottenendo solo a novembre una delibera del sindaco di Bologna che ora regola le modalità di apertura.
Rispetto ad altre realtà italiane Campi Aperti fino a qualche anno fa si trovava in una posizione migliore in virtù di alcuni patti di collaborazione con il comune di Bologna: «I patti – dice Fantini – stabilivano delle regole per l’uso di alcuni spazi cittadini indicati come beni comuni; per esempio, via del Pratello e piazza Verdi, nel centro della città. Una volta stabilite le regole gli spazi potevano essere usati anche da altri soggetti, a patto di non realizzare attività non previste. Questo sistema ha funzionato fino al 2019 quando c’è stata una ridistribuzione delle deleghe per le attività commerciali e il nuovo assessore ha deciso di assegnare gli spazi tramite bandi. Noi ci siamo visti costretti a partecipare ma qui la logica è diversa: chi partecipa ai bandi è in concorrenza e l’assegnatario finisce per escludere gli altri». Anche in questo caso pesa l’essere produttori di fatto, viste le difficoltà per accedere ai canali di distribuzione “ordinari”.
Un altro problema riguarda la possibilità di trasformare gli alimenti prodotti. «Le regole in vigore – spiega Garbarino – equiparano le piccole realtà alle grandi aziende, prevedendo anche per le prime la necessità di dotarsi di impianti molto cari e spesso sovradimensionati rispetto alle loro esigenze». Alcune amministrazioni regionali si sono dotate di norme che facilitano questi processi di trasformazione ma gli ostacoli sono ancora parecchi. In contrapposizione alla logica affermata dalle regole attuali è nata nel 2010 la campagna nazionale, poi diventata una vera e propria rete, Genuino clandestino, a cui appartengono, tra gli altri, anche Campi Aperti e Terra/TERRA. La proposta di Genuino clandestino si basa sul sostegno alle comunità locali che decidono che tipo di alimenti produrre e consumare in modo che siano convenienti sia per chi li produce sia per chi li acquista, vengano da terreni vicini al punto di distribuzione e contribuiscano alla difesa del territorio e della biodiversità: sono i pilastri di quella che viene definita “autodeterminazione alimentare”.
L’aderenza di ogni produttore alle regole che la comunità si è data è fornita da una procedura chiamata “garanzia partecipata”. È ancora Emanuele di Terra/TERRA a spiegarci di cosa si tratta: «Quando un nuovo produttore vuole entrare a far parte della rete si organizza una prima visita da parte di un produttore affine che valuta il suo modo di lavorare. C’è poi una presentazione in assemblea e in un secondo momento si organizza una visita collettiva al termine della quale i partecipanti redigono delle relazioni che vengono consegnate al produttore». Questa procedura consente di slegarsi anche dai sistemi necessari per ottenere le certificazioni ufficiali. «Questo non significa che noi vogliamo fare come ci pare o che non siamo attenti all’igiene, crediamo però di poter ottenere ottimi risultati senza schiacciarci su regole che non sono state pensate per noi», chiarisce Emanuele. Sulla garanzia partecipata Garbarino ha però qualche dubbio: «Preferiamo cercare di far approvare una legge-quadro che faciliti l’approvazione delle produzioni e delle trasformazioni contadine da parte delle singole regioni. Non sempre si può contare su comunità di sostegno come avviene a Bologna o a Roma e quindi ci sembra necessario mettere anche chi non ha il sostegno di un centro sociale o di spazi del genere nelle condizioni di vedere la propria attività tutelata dalla legge».
Il percorso parlamentare, però, è stato finora lungo e tortuoso. Al momento si va verso la presentazione di un solo disegno di legge, a partire da due dei tre esistenti in questa legislatura. Garbarino denuncia anche una certa resistenza da parte di alcune associazioni di categoria e per capire a cosa fa riferimento si può ascoltare l’intervento del rappresentante della Coldiretti durante l’audizione alla Camera dei Deputati del 3 dicembre 2019 in cui si discutevano proprio le diverse proposte di legge. In quell’occasione si ribadiva l’opportunità di portare tutte le imprese agricole a crescere verso dimensioni maggiori; non si metteva in discussione la possibilità di prevedere agevolazioni fiscali per le piccole imprese, ma bisognava comunque rimanere nel quadro dell’imprenditoria, prevedendo magari una nuova categoria per chi ha un fatturato molto basso. «Io voglio vivere come contadino e non come imprenditore – precisa invece Emanuele –. Non punto ad arricchirmi: mi bastano i terreni di cui mi occupo, non voglio orientare la mia produzione verso monoculture più redditizie ma che consumano più risorse».
Questa sembra la legislatura in cui la proposta di legge ha più possibilità di essere approvata rispetto al passato, anche se sarà decisiva la forma finale del provvedimento e le modalità di applicazione. «La nostra è una proposta soprattutto sociale: vogliamo delle campagne vive e produttive senza essere legati per forza alle grandi produzioni», conclude Garbarino. (alessandro stoppoloni)
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