A poco più di due anni dall’inizio delle Olimpiadi invernali 2026 Milano-Cortina, e a più di quattro dalla presentazione del dossier con le linee guida al Comitato olimpico internazionale (con annesse opere, impianti e infrastrutture previste), è utile fare un punto sullo stato dell’arte.
Prima di entrare nel merito di quanto accade nei vari territori interessati (Milano, la Valtellina, Cortina, Anterselva, la Val di Fiemme e Verona), un dato va messo in evidenza: tutte le promesse, gli impegni, i grandi principi (sostenibilità, zero costi, sobrietà, rispetto degli ecosistemi montani) utilizzati per “vendere” al CIO e all’opinione pubblica italiana la candidatura erano – come ampiamente previsto e preventivamente denunciato – null’altro che parole vuote. Operazioni di green e socialwashing per mascherare come l’organizzazione dei giochi olimpici sia sempre più indesiderata e insostenibile sul piano sociale ed economico, considerando la trasformazione dell’evento sportivo in una macchina da business e strumento per ridefinire città e territori con opere che vanno al di là del fabbisogno per le gare.
Da oltre trent’anni pressoché tutte le edizioni dei giochi hanno avuto costi ben superiori alle previsioni, spesso con pesanti oneri finanziari sulle amministrazioni pubbliche dei paesi ospitanti (esempi eclatanti sono la Grecia delle olimpiadi ateniesi del 2004 e Torino, con i giochi invernali 2006) e con ingombranti lasciti in termini di “eco-mostri”, consumo di suolo e devastazioni di ecosistemi. Ne è prova che da parecchi anni l’assegnazione delle olimpiadi avviene praticamente in assenza di concorrenti o quasi, e così è stato anche per Milano-Cortina. Nei luoghi in cui alle popolazioni viene data possibilità di pronunciarsi preventivamente, queste respingono senza esitazione le possibili candidature.
APPETITI IMMOBILIARI E IMPATTO AMBIENTALE
Nel 2019 governo, Coni, amministrazioni comunali, provinciali e regionali coinvolte al momento della costituzione della Fondazione Milano-Cortina 2026 (l’ente che avrebbe gestito l’organizzazione dei giochi) avevano confermato che i costi si sarebbero attestati sotto al miliardo di euro, cui si sarebbero aggiunti circa novecento milioni conferiti dal CIO per la gestione concreta delle settimane di gara. Allo stesso tempo si confermava quanto già promesso al Comitato (a sua volta, per salvare le apparenze, molto attento, a parole, ai problemi climatici e ambientali), ossia l’impatto zero in termini di opere e impianti, privilegiando l’utilizzo di quanto già esistente ed evitando opere definitive e irreversibili.
In quattro anni i costi per le opere definite essenziali, gestite direttamente dalla Società Infrastrutture Milano-Cortina (S.I.Mi.Co.) sono lievitati a 3,6 miliardi di euro, e non è detto che siano sufficienti. Denari ovviamente pubblici, che raggiungono un ammontare di dieci miliardi, e forse anche più, se si tiene conto di tutte le opere contenute nel dossier olimpico, alcune già in fase di realizzazione, altre in avvio o solo previste, e definite come “opere già pianificate”, “opere essenziali su infrastrutture esistenti” oppure “opere connesse e di contesto” (tra queste ultime spiccano il Tav Brescia-Venezia e la Pedemontana Lombarda, per il loro devastante impatto ambientale ed economico). È previsto poi un proliferare di interventi su strade e strutture di servizio alla viabilità, spesso anche in luoghi lontani dai siti olimpici, nonostante sia la Valtellina che la direttrice Venezia-Cortina siano attraversate da ferrovie che necessiterebbero ben altro che semplici opere di manutenzione e adeguamento. Tutto, anche qui, ampiamente prevedibile per chi organizza un grande evento dislocato su luoghi distanti fino a centinaia di chilometri uno dall’altro, alimentando appetiti e interessi, cogliendo magari l’occasione per tirare fuori dai cassetti vecchi progetti mai finanziati, spesso perché inutili.
È la modalità stessa con cui vengono gestiti grandi eventi e grandi opere a favorire e stimolare processi del genere: nessuna consultazione delle popolazioni dei territori, conflitti di potere per aggiudicarsi visibilità e fette di business utili a garantire bacini di voti, gestione commissariale e privatistica delle risorse pubbliche con società o fondazioni di scopo, creazione di condizioni apposite per il varo di decreti con procedure straordinarie ed emergenziali. Tradotto: commissari che non rispondono ai controlli delle istituzioni locali, deroghe a procedure e norme su appalti e cantieri, deroghe ai controlli amministrativi e contabili, assenza di valutazione ambientale strategica. Pratiche capaci di produrre costi fuori controllo, opere incompiute e scempi ambientali, per non parlare di corruzione e infiltrazioni mafiose nelle filiere degli appalti (cosa peraltro già emersa anche nei cantieri olimpici).
EPIC FAIL
Lo stato attuale dell’operazione Milano-Cortina 2026 è quasi al livello di epic fail. Se si escludono le località di Anterselva e della Val di Fiemme, nelle provincie di Bolzano e Trento – dove gli interventi previsti e iniziati riguardano l’adeguamento dello stadio del biathlon (non certo economico: parliamo di oltre venti milioni di euro) e del trampolino per le gare di salto con gli sci – e se si eccettua Verona, che ospiterà all’Arena la cerimonia di chiusura, in tutte le altre località coinvolte si registrano opere saltate, problemi, ritardi. Allo stesso tempo è evidente l’impatto su ecosistemi, paesaggi, risorse idriche, lì dove i cantieri, soprattutto quelli per le opere viabilistiche e infrastrutturali, sono avviati.
Rispetto al masterplan iniziale è già stata esclusa la località di Baselga di Pinié, in Trentino, perché i costi per un nuovo stadio per il pattinaggio veloce non erano giustificabili e compatibili con un territorio di qualche migliaio di abitanti, con già uno stadio per il ghiaccio. Le gare di pattinaggio veloce sono state dirottate a Milano, ma non nel costruendo e costoso PalaItalia di Santa Giulia (un favore allo sviluppatore immobiliare di turno, Landlease, lo stesso di Arexpo) o nel già esistente Forum di Assago, bensì a Rho, dove verranno appositamente e temporaneamente modificati per i giochi due padiglioni della Fiera, al modico costo di qualche milione di euro. Nel frattempo, rimanendo nelle metropoli meneghina, è stata abbandonata per costi e contenziosi legali l’ipotesi di recuperare il Palasharp a Lampugnano. A fine olimpiadi, così, a guadagnarci saranno i proprietari privati di Forum e, soprattutto, del Palaitalia, arena da oltre quindicimila posti che diventerà un luogo per concerti ed eventi gestita da Eventim, multinazionale tedesca del settore. Sul piano delle strutture pubbliche (non solo palazzetti o arene, ma anche impianti per lo sport di base, sempre più nel frattempo privatizzati) impera l’assenza totale di progettazioni.
Sul versante milanese il clou dell’operazione è rappresentata dal Villaggio olimpico (che sorgerà sull’area dell’ex scalo ferroviario Romana) e dallo stadio di San Siro (che ospiterà la cerimonia inaugurale). L’impatto dei giochi su Milano meriterebbe un approfondimento a parte, ma va intanto evidenziato come la trasformazione dello Scalo Romana sia simbolica della fase, lunga ormai due decenni, che sta attraversando la città, e che Expo prima, e le olimpiadi oggi, alimentano di buon grado: vendita della città pubblica a fondi e sviluppatori immobiliari, finanziarizzazione del diritto all’abitare, turistificazione spinta della metropoli. L’effetto si sta già facendo sentire sui quartieri più prossimi alla zona dello Scalo, in particolare al Corvetto, quartiere popolare e di case pubbliche, ma le conseguenze più devastanti verranno dalle trasformazioni che stanno interessando il comparto sud-est di Milano. In quanto allo stadio, le olimpiadi hanno rimandato a dopo il 2026 ogni ipotesi di abbattimento dello storico Meazza, prima ancora che arrivasse il vincolo nel frattempo apposto dalla sovrintendenza ai beni architettonici. Resta questa, tuttavia, una questione aperta che, a prescindere dall’evento olimpico, potrebbe determinare e condizionare i destini futuri di un’ampia fetta della periferia ovest della città, caratterizzata da vaste aree verdi non edificate e da importanti quartieri di edilizia residenziale pubblica e popolare a rischio dismissione.
Passando alle zone alpine, in Valtellina le principali opere riguardano la realizzazione di tangenziali a Sondrio, Tirano e Bormio (osteggiate da comitati locali), opere tutte ancora in fase di avvio lavori e funzionali ad aumentare i flussi turistici verso Bormio, Livigno e la Valfurva. Si tratta di località che vorrebbero connettersi, con la scusa dei giochi, in un unico comprensorio sciistico per fronteggiare la concorrenza di altri luoghi cult del turismo invernale e dello sci da discesa. Ovviamente non mancano nuovi alberghi e resort, con uno sviluppo immobiliare degno di una grande città, e a prescindere dalla presunta utilità per le olimpiadi si prevedono piste ampliate, nuovi impianti e sistemi di innevamento artificiale, compresi i sempre più diffusi bacini di accumulo di acqua piovana e di scioglimento delle nevi (l’obiettivo è sparare neve artificiale e tenere in vita, anche a quote basse, la pratica climaticamente sempre più insostenibile dello sci da discesa).
Le stesse dinamiche di sviluppo alberghiero e immobiliare legate allo sci coinvolgono l’area di Cortina, dove però è maggiore l’impatto che avranno le nuove opere, in particolare il villaggio olimpico e una tangenziale. Si tratta di opere assai contestate da comitati e associazioni ambientaliste, al pari della pista da bob, la cui installazione per ora sembra scongiurata. Quest’ultima vicenda è emblematica da un lato delle finalità di questi grandi eventi, ma dall’altro della capacità di reazione e lotta dei territori di fronte a certi inutili scempi. Per uno sport che vede alcune centinaia di praticanti in tutta Europa, meno di trenta in Italia, una decina di piste attive nel continente e un impianto in smantellamento a Cesana (anche questo eredità tossica dei giochi Torino 2006), il Coni e il governatore veneto Zaia pretendevano di costruire una nuova pista, abbattendo centinaia di larici secolari e spendendo oltre cento milioni. Fortunatamente le mobilitazioni, le perplessità del CIO e i costi che hanno spaventato i potenziali partecipanti alla gara di appalto, hanno fatto cancellare l’opera, ma non l’assurda pretesa di mantenere le gare di bob e slittino in Italia, spendendo inutilmente decine di milioni per ristrutturare la pista di Cesana (ci sono altre località d’oltralpe, su tutte Saint Moritz e Innsbruck, disponibili a prestare i loro impianti a costi molto inferiori).
A fronte di questo tragico scenario si sta creando un crescente fronte di resistenza sui vari territori interessati. In particolare da Milano (dove è nata l’assemblea “Comitato Insostenibili Olimpiadi”, che raggruppa spazi sociali, collettivi, comitati, realtà dello sport popolare) è partito un appello per una giornata nazionale di mobilitazione per il prossimo 6 febbraio, con una tappa intermedia il 20 gennaio a Milano per coordinare le varie iniziative nelle differenti località. Saremo a quel punto a due anni esatti dall’inizio dei giochi. Qualche giorno dopo, il 10 febbraio, sempre a Milano ci sarà un corteo per il diritto alla città e all’abitare, tema, come si è visto, estremamente legato alle pratiche speculative connesse ai grandi eventi. Di questo, in ogni caso, torneremo a parlare in seguito. (laboratorio politico offtopic – milano)
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