La manifestazione, partita da Largo Banchi Nuovi, ha toccato i punti nevralgici del centro città, passando dai luoghi più affollati dai turisti, come la Cappella di San Severo e San Domenico Maggiore, fino ai quartieri popolari come Montesanto. Piuttosto sulla difensiva sono sembrati i commercianti, se non timorosi quantomeno scettici al passaggio del corteo. Più di uno tra loro ha serrato l’ingresso del negozio, mentre solo in pochi si sono affacciati incuriositi. La marcia si è conclusa all’inizio di via Toledo dove tre attrici del centro Santa Fede Liberata hanno impersonato tre vittime di sfratto con un monologo.
Straw man argument (letteralmente “argomento fantoccio”) si definisce, in retorica, la rappresentazione distorta di una tesi altrui. Per capire la manifestazione a Napoli contro la turistificazione bisogna cominciare dal dire che cosa non è stata, ovvero non una manifestazione contro il turismo ma sul turismo.
I due principali assunti che hanno accompagnato la recente impennata turistica della città sono: 1) che si potesse vivere di questa risorsa; 2) che la città non avrebbe avuto conseguenze negative dedicandosi (come ha fatto) massicciamente a questo settore. Turismo avrebbe significato più soldi per tutti e nessuno avrebbe potuto opporsi a questa opportunità di benessere.
Entrambe le tesi sono false.
Napoli non può vivere di turismo. Trasformare l’economia della terza città d’Italia in un supermercato a uso e consumo del visitatore non è solo impossibile, ma anche controproducente. Questo rende la città dipendente da una domanda esterna (il turismo) che è presente da sempre, ma la cui impennata si deve alla concomitanza di alcuni fattori, tra cui l’impossibilità delle tre regine turistiche italiane (Roma-Firenze-Venezia) di soddisfare la domanda, e l’abbattimento dei costi del carburante e quindi dei biglietti aerei.
Questo ci porta al secondo assunto, ossia quello degli “effetti collaterali”. Non sono solo i biglietti a essere diventati più accessibili ma, per un breve periodo, anche gli alloggi: è la logica di Airbnb. Questa piattaforma, nata per permettere di affittare stanze nel breve termine, è diventata la scappatoia fiscale di agenzie immobiliari e multiproprietari. Lo stravolgimento del settore (incremento del cinquanta per cento dei B&B sul territorio) porta benessere a qualcuno, ma a farne le spese è sempre qualcun altro, quella fascia di popolazione che una casa di proprietà non ce l’ha e che di fronte all’aumento degli affitti non proporzionale all’aumento dei redditi, si è trovata in una situazione ancora più precaria.
Una parte di Napoli non vede ancora gli effetti di questo cambiamento. Soprattutto nel “quadrato magico”, il centro del centro, molti commercianti e ristoratori stanno facendo guadagni mai visti finora. Chi li mette in guardia dai pericoli diventa subito un guastafeste. Ma il turista di oggi è restio a definirsi tale (cerca “esperienze”) e una friggitoria a ogni angolo di strada può essere la cosa che prima lo attrae e poi lo allontana dal visitare la città. Se Napoli si snatura troppo, potrebbero venir meno quegli elementi che l’hanno resa caratteristica. Perdere questi elementi significherebbe la morte (anche turistica) della città. È importante che si rifletta anche su questo.
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