Negli ultimi anni in Francia la detenzione amministrativa viene sempre più spesso utilizzata in modo preventivo per reprimere la solidarietà internazionale e la partecipazione a mobilitazioni conflittuali. L’utilizzo di tale strumento è reso possibile dalle caratteristiche proprie del diritto amministrativo, che – rispetto a quello penale – si compone di un insieme di strumenti più duttili e facilmente adattabili a nuovi contesti; strumenti direttamente nelle mani della polizia che, come previsto anche dalla Costituzione italiana, dovrebbero essere utilizzati solo in casi eccezionali. Negli ultimi decenni, però, l’emergenza è diventata la modalità ordinaria della gestione politica, in base a una strumentale esigenza di sicurezza, come testimonia il campo della criminalizzazione delle contestazioni, inteso anche come luogo di sperimentazione di nuove tecnologie di potere, in cui le sanzioni amministrative vengono utilizzate per impedire la partecipazione a momenti di lotta e per controllare i militanti in periodi o giornate particolarmente calde.
Anche se i fatti che seguono hanno avuto luogo in Francia, analizzarne il contesto politico e le modalità di applicazione consente di approfondire le funzioni recondite di tali strumenti e, in particolare, l’infrastruttura della detenzione amministrativa, anche nel caso italiano.
La stragrande maggioranza dei casi di detenzione amministrativa riguarda persone razzializzate e illegalizzate sul territorio europeo, dato che i centri di detenzione amministrativa, in Francia come in Italia, nascono per trattenere per un periodo di tempo persone che non hanno i documenti europei e di soggiorno in regola per poi espellerle nei paesi d’origine. Uno dei tratti d’eccezione di questa pratica è l’applicazione della detenzione in assenza di un reale processo penale – come avviene per la detenzione carceraria – ma solo a seguito di quello che viene considerato un illecito amministrativo o dopo una richiesta di protezione internazionale (in sostanza si applica la privazione della libertà per una sanzione della stessa categoria delle multe per divieto di sosta).
Se questo è il quadro normativo, le modalità di applicazione in Francia come in Italia risultano più creative. Non tutti i fermi a persone con documenti scaduti, infatti, hanno come esito il trasferimento in un centro di detenzione amministrativa; e non tutte le persone che vi si trovano vengono poi effettivamente rimpatriate. Altre logiche sembrano governare funzioni e obiettivi di questa istituzione. Il fatto che tale forma detentiva riguardi anche persone che hanno i documenti che secondo il diritto europeo ne dovrebbero garantire la libera circolazione nei paesi membri, rivela in modo chiaro ciò che già avviene nel caso delle persone senza documenti: si tratta di uno strumento usato per prevenire e punire presunte condotte devianti, e gestire e controllare masse di popolazione, flussi di persone, momenti di mobilitazione.
CALAIS, GENNAIO 2016
A Calais, città di frontiera tra la Francia e il Regno Unito, una manifestazione molto partecipata contro le frontiere e per la libertà di movimento si conclude con l’ingresso nel porto, l’occupazione di una barca e trentacinque arresti. Delle persone in stato di fermo, tre italiane finiscono nel Cra (Centre de rétention administrative, l’equivalente di un Cpr) di Lille con l’obbligo di lasciare il territorio francese, vi trascorrono tre giorni fino al loro rilascio e al ritiro dell’obbligo di lasciare la Francia.
Martina (nome di fantasia), una delle militanti italiane detenute nel Cra a seguito della manifestazione, racconta gli eventi di quel giorno: «Nel 2016 erano appena successi gli attentati al Bataclan e a Charlie Hebdo a seguito dei quali la Francia aveva istituito lo stato di emergenza introducendo controlli speciali in luoghi chiave del paese. La tensione era aumentata, di lì a poco sarebbe esploso l’enorme movimento contro la Loi Travail. Nel frattempo, anche la questione migranti era all’ordine del giorno e infatti a Calais vennero collettivi da tutta la Francia, fu una delle più grandi manifestazioni sulla libertà di movimento».
PARIGI, NOVEMBRE 2019
A un anno dall’inizio della mobilitazione dei Gilet Gialli, una giornata di manifestazioni duramente represse si conclude con un blitz della polizia nel quartiere Ménilmontant a Parigi dove vengono arrestati dieci militanti per prevenire – a detta della polizia –, possibili azioni dei gruppi la sera stessa. Uno degli arrestati, italiano, riceve un ordine di espulsione immediato dal territorio francese e viene trasferito nel Cra di Vincennes alla periferia sud-est di Parigi. Dopo un mese di detenzione, il 12 dicembre Luigi (nome di fantasia) viene portato davanti al giudice del tribunale amministrativo e il suo avvocato smonta tutti i capi d’accusa: l’espulsione viene revocata e viene rilasciato in libertà. Secondo quanto ci ha raccontato, l’accaduto si spiega solo prendendo in considerazione la collaborazione tra polizia italiana e francese – dato che non aveva precedenti in Francia ma era conosciuto in Italia per altre lotte –, e considerando lo strumento come preventivo e punitivo – dato che era stato arrestato senza prove rispetto alla sua partecipazione alla manifestazione della mattina. Ecco la sua testimonianza di quei giorni: «Quando mi hanno fermato vivevo a Parigi già da sei anni, lavoravo e studiavo. Quel giorno era l’anniversario del movimento dei Gilet Gialli, da un anno c’erano manifestazioni tutte le settimane. Macron aveva organizzato un controllo maggiore, infatti, anche se c’era tantissima gente, controllo, repressione e idranti avevano sparpagliato le persone già dalla mattina. Dopo la manifestazione eravamo in un bar antifascista nel quartiere dove vivevo. Per mostrare che reagivano subito, gli sbirri fecero un blitz sapendo che si trattava di un quartiere politicizzato: ci presero a gruppetti e ci arrestarono, ma la cosa si concluse lì perché non potevano accusarci di niente. Dei compagni arrestati, io non ero l’unico straniero, ma solo io dopo le due notti in garde-à-vue ho avuto il decreto di espulsione, con detenzione amministrativa nel Cra di Vincennes».
Gli studi sulla detenzione amministrativa hanno sottolineato come questa si traduca in un controllo del territorio (e non dei confini) demandato interamente alla polizia. Questa agisce secondo il criterio della presunta pericolosità sociale in base al contesto in cui avviene il controllo, la nazionalità della persona e le pressioni che si subiscono in quel momento. Con le nuove riforme in materia di immigrazione ciò è sempre più evidente: la frontiera non è più un presidio al confine o ai valichi ma è una condizione giuridica. Allora superare il confine non è più un atto fisico e geografico, ma una pratica amministrativa e burocratica.
«Il mio Cra si trovava nel bosco di Vincennes – continua Luigi –, in una banlieue parigina. Sono due strutture con un cortile in mezzo e poi le stanze, celle con sbarre, fuori filo spinato e poi il bosco. Appena arrivai mi trovai nel mezzo di una protesta da parte dei detenuti perché un ragazzo due giorni prima era morto ingoiando non so quante pasticche. Era un periodo in cui entrava gente continuamente, gente che non era mai stata nel proprio paese d’origine, magari aveva appena fatto diciotto anni e doveva aspettare un altro po’ per i documenti francesi ma riceveva l’espulsione. Un sacco di storie di gente con i figli francesi, sposati con francesi. Un ragazzo cresciuto in Francia da quando aveva sei anni, gente magari che era già stata controllata nella vita e non gli era stata data l’espulsione. Quindi davvero uno strumento randomico, giusto per dire quest’anno espelliamo un tot di persone, arriviamo a fine anno che ne abbiamo fatte questo numero. Quanto manca? E visto che eravamo a dicembre c’erano tantissime espulsioni. Non è usato solo per gestire i flussi, va oltre la questione, è anche uno strumento di gestione delle masse. E infatti se vai a vedere le nazionalità, la maggior parte venivano dal Maghreb o Centro Africa e poi la Romania, l’Albania, la Polonia (non l’Ucraina, per esempio). È una questione di presunta pericolosità».
PARIGI, GIUGNO 2023
Il clima politico del 2023 francese è scandito da spettacoli repressivi di fronte all’ampiezza e alla determinazione delle mobilitazioni, dagli scioperi per le pensioni alle azioni dei Soulevement de la terre fino alle rivolte per l’uccisione di Nahel da parte della polizia. Alla fine dell’anno, il ministro dell’interno, Darmanin, rende pubblica l’emissione di diciassette interdizioni dal territorio francese indirizzate a militanti stranieri su indicazione dei servizi di intelligence e valide per tutto il periodo di mobilitazione legato alla commemorazione dell’uccisione del militante Clément Méric, ammazzato dieci anni prima per mano fascista. Una delle motivazioni addotte è quella di prevenire il rischio di “possibili scontri con i gruppi di estrema destra”, oltre alla semplice prevenzione di “azioni violente” per la dimensione internazionale delle manifestazioni.
Il 6 giugno 2023, cinque militanti italiani si trovavano a Parigi per prendere parte alle mobilitazioni in memoria di Clément e allo sciopero contro la riforma delle pensioni. Prima ancora che la manifestazione abbia inizio, vengono intercettati dalla polizia nel quartiere dove alloggiano, Aubervillers, e portati in commissariato. Solo dopo nove ore di fermo, tre di loro scoprono di essere nella lista delle persone considerate pericolose e di star commettendo un illecito amministrativo per il solo fatto di trovarsi sul suolo francese. Vengono portati in due diversi centri di detenzione amministrativa, quello di Vincennes e quello di Mesnil-Amelot. Sono rilasciati in libertà due giorni dopo con la revoca della detenzione ma non dell’interdizione dal territorio francese; sono quindi sollecitati a tornare in Italia.
Queste tre storie non rappresentano casi eccezionali o isolati ma testimoniano di un uso continuativo della detenzione amministrativa per impedire ai militanti non francesi di partecipare a mobilitazioni sul territorio francese. Numerosi altri episodi testimoniano come la detenzione amministrativa e più in generale altri strumenti appartenenti al diritto amministrativo vengano utilizzati con questo scopo. Sempre a giugno del 2023, per esempio, alla frontiera tra l’Italia e la Francia, cinque pullman provenienti dall’Italia vengono fermati e perquisiti, e centosette fogli di via vengono rilasciati dalla polizia francese per impedire a militanti italiani di raggiungere la Val Maurienne dove era prevista una manifestazione ecologista e Notav.
Ancora, nell’ottobre 2023, alla militante e filosofa palestinese Mariam Abu Daqqa, giunta a Marsiglia per partecipare a una conferenza, viene notificato un decreto d’espulsione “con urgenza assoluta” firmato dal ministro Darmanin in persona. Dopo il ritiro del visto e un mese di detenzione amministrativa, i giudici francesi decretano l’espulsione di Abu Daqqa in quanto la sua “presenza sul suolo francese, nell’ottica di esprimersi sul conflitto israelo-palestinese” è foriera di possibili “gravi violazioni dell’ordine pubblico”. Casi simili hanno coinvolto persone che esprimevano la loro solidarietà alla causa palestinese e che – fermate dalla polizia per questo –, non essendo in possesso dei documenti francesi, sono state rinchiuse nei Cra.
Ciascuna di queste storie va legata a momenti di tensione e aumento del conflitto nelle piazze francesi. L’uso di strumenti amministrativi e in particolare della detenzione e – laddove possibile – dell’espulsione, testimoniano di come tale strumento sia a tutti gli effetti più legato al mantenimento dell’ordine pubblico che all’identificazione ed espulsione di migranti. Ciò avviene secondo forme diverse sia nei confronti della popolazione di origine straniera, fermata, detenuta e rimpatriata sulla base di una presunta pericolosità sociale, individuata sulla base di criteri come nazionalità, genere e contesto dell’arresto, sia nei riguardi di persone nate in Italia o provviste dei documenti validi, nel caso del loro presunto coinvolgimento in mobilitazioni e contestazioni.
Alla base di questi episodi ci sono pratiche di collaborazione tra le forze di polizia di diversi paesi, un uso preventivo del diritto amministrativo e l’obiettivo di controllare i territori e reprimere il dissenso o, almeno, mostrare fermamente l’intenzione di farlo. (barbara russo)
Alla detenzione amministrativa come strumento di controllo sociale e politico è dedicata la terza edizione degli Stati Generali sulla detenzione amministrativa, che si terrà a Milano il 17 e il 18 maggio a Teatro Officina.
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