La traiettoria del bengala blu lanciato dal tetto degli edifici occupati ha attirato per qualche secondo l’attenzione di chi aveva partecipato all’assemblea, degli agenti in borghese e di chiunque si trovasse a passare su viale del Caravaggio, una strada che porta dal quartiere popolare di Tormarancia a quello della Montagnola, nella parte sud di Roma. Anche senza il bengala i due palazzi, gemelli e situati uno di fronte all’altro, non sarebbero passati inosservati, persino agli occhi meno attenti. Negli ultimi mesi, infatti, sulle facciate si erano aggiunti striscioni sempre nuovi, con disegni e scritte che promettevano resistenza in caso di sgombero. Avvicinandosi, si poteva notare come le strutture, per anni occupate da uffici, fossero sempre più simili a un fortino, con materiali vari accumulati allo scopo di rendere più difficile un ingresso con la forza. Sullo sfondo, guardando dalla strada, si poteva ammirare anche un’altra struttura: un grande albergo bianco a quattro stelle, che spicca come un corpo estraneo al quartiere, ma che condivide la proprietà con i due edifici di viale del Caravaggio.
Viale del Caravaggio è solo una delle tante vie romane che ospitano palazzi occupati a scopo abitativo. Situate in buona parte nei quadranti sud ed est della capitale, queste occupazioni hanno spesso una storia pluriennale e sono uno dei tentativi di risolvere il problema della casa in una città che deve fare fronte alla mancanza di politiche abitative istituzionali. Fino al 15 luglio scorso, in questo elenco figurava anche l’occupazione di via cardinal Domenico Capranica, una via defilata nel quartiere di Primavalle, per alcuni aspetti simile a Tormarancia, ma nella zona ovest della città. L’occupazione si trovava in un ex istituto scolastico ed è stata sgomberata grazie a un dispiegamento di forze dell’ordine notevole, raramente visto prima, che ha avuto ragione di una resistenza durata ore.
Date queste premesse, e il successivo sgombero del centro sociale XM 24 di Bologna, non sorprende che l’assemblea pubblica convocata il 7 agosto dai movimenti per il diritto all’abitare di Roma a viale del Caravaggio abbia assunto toni molti cupi, nonostante la partecipazione di sindacati, associazioni, centri sociali e altri soggetti che hanno deciso di essere solidali con gli occupanti (circa centoquaranta famiglie). In quell’occasione più voci hanno ribadito che «la disponibilità ad abbandonare l’occupazione può derivare solo dall’esistenza di una soluzione alternativa e concreta fornita dal Comune». Il “modello Primavalle”, la ricollocazione solo parziale degli abitanti, le accuse al Comune di non aver tenuto conto in alcun modo dei legami che le persone avevano costruito tra loro e con il quartiere in cui si trovavano, sono diventati parte integrante della discussione.
A Roma circola da mesi una lista con oltre venti stabili occupati che nei piani della prefettura dovrebbero essere sgomberati nei prossimi mesi. La situazione di viale del Caravaggio è tra le più delicate, visto che la proprietà sta cercando da tempo di rientrare in possesso dell’immobile e che a novembre 2017 è riuscita a ottenere dalla seconda sezione civile del tribunale di Roma il riconoscimento del diritto a un indennizzo per il danno derivato dell’occupazione. La causa non è stata intentata contro gli occupanti, ma contro lo Stato e, in particolare, contro il Ministero dell’interno, accusato di non aver fatto abbastanza né per impedire che l’occupazione avvenisse né per restituire il bene ai legittimi proprietari. La giudice Lilia Papoff ha condannato il Ministero a versare alla proprietà dell’immobile 266.672,76 euro al mese a partire da settembre 2014 fino alla liberazione dello stabile. Una novità per la giurisprudenza del nostro paese, a cui ha subito fatto seguito un altro caso. Qualche mese dopo, infatti, un altro giudice della stessa sezione del tribunale di Roma ha riconosciuto a un’altra società, proprietaria di un ex salumificio sulla via Prenestina, il diritto a ricevere un indennizzo per la pluriennale occupazione abitativa che le impedisce di rientrare in possesso del suo bene: la somma ammonta a quasi ventotto milioni di euro. Nella sentenza (n.13719 del 3 luglio 2018) il giudice Alfredo Maria Sacco ha riservato parole molte dure nei confronti delle occupazioni, arrivando a sostenere che “l’occupazione abusiva di un intero compendio immobiliare non lede i soli interessi della parte proprietaria, ma anche il generale interesse dei consociati alla convivenza ordinata e pacifica, assumendo un’inequivoca valenza eversiva”. Nella stessa sentenza si denuncia inoltre il pericolo che le occupazioni si trasformino in “zone franche utili per ogni genere di traffico illecito”. Nessun valore viene attribuito dal giudice alle opere d’arte che nel tempo hanno dato all’occupazione la struttura di un vero e proprio museo (il Maam, Museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz_città meticcia). Nessuna di queste due sentenze è definitiva e, in base alle informazioni che è stato possibile ottenere, nessuna delle due riuscirà ad arrivare alla conclusione del secondo grado di giudizio in tempi brevi.
L’assemblea del 7 agosto di viale del Caravaggio ha preceduto di poco l’uscita della Lega di Matteo Salvini dalla maggioranza che sosteneva il governo Conte e la sua conseguente crisi. Gli occupanti aspettavano intanto gli esiti di una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che il 29 agosto avrebbe dovuto decidere i tempi e le modalità dello sgombero. Tra proiezioni, incontri e dibattiti, fra cui una lezione dello storico Alessandro Portelli su Malcolm X, si è arrivati alla partecipata assemblea che lo stesso 29 agosto ha preso atto del blocco dello sgombero da parte del Comitato e del suo rinvio a data da destinarsi. La soddisfazione è stata però mitigata dalla notizia che dalla riunione (a cui hanno partecipato la prefettura, l’assessore regionale alle politiche abitative Massimiliano Valeriani e la sindaca di Roma Virginia Raggi, oltre a rappresentanti degli occupanti e di altre associazioni) sembrava uscire in pericolo un altro importante spazio sociale romano, la casa delle donne “Lucha y siesta”.
Molti degli interventi nel corso dell’assemblea di viale del Caravaggio hanno ridimensionato l’importanza avuta dalla caduta del governo nell’esito dell’incontro, dando alla mobilitazione della cittadinanza e degli occupanti il merito di aver ottenuto il rinvio dello sgombero. «Il problema – ha sottolineato Giuseppe De Marzo della Rete dei numeri pari – è il sistema che tiene alto volutamente il prezzo delle case», impedendo l’accessibilità ad affitti che seguono la scia dell’aumento dei prezzi delle proprietà. Nella stessa giornata, il comune di Roma e la prefettura hanno diramato un comunicato congiunto in cui si parlava di ulteriori (e non meglio precisate) iniziative assistenziali per gli abitanti dell’occupazione, sotto l’egida di un indefinito “gruppo tecnico”. Nel comunicato si sosteneva comunque la necessità di un prossimo sgombero, in esecuzione della sentenza della giudice Papoff, sebbene questa non fosse definitiva. Il Ministero dell’interno, sempre secondo il comunicato, avrebbe già subito un pignoramento di ventitré milioni di euro, e iniziato a pagare l’indennizzo stabilito in favore della società proprietaria.
L’assenza di politiche abitative non sembra far presagire un miglioramento della situazione. In questo caso, in mezzo alla contesa tra Stato e privato, ci sono le persone che abitano in viale del Caravaggio, e che così come quelle delle altre occupazioni difendono la casa che hanno, senza molte prospettive di poterne ottenere una migliore. Nelle prime settimane di settembre, proprio a viale del Caravaggio e a Lucha y siesta si è tenuta l’assemblea nazionale “Energie in movimento”, negli stessi giorni in cui dalla prefettura e dal Comune si tornava a parlare di sgombero, immaginando una data per il prossimo mese di ottobre.
Quando il primo bengala era sul punto di spegnersi, un altro dello stesso colore è stato lanciato dal tetto. Di nuovo gli occhi si sono spostati verso l’alto, forse per timore che potesse cadere sulla folla. Dopo qualche secondo l’attenzione è tornata al livello della strada, ai militanti che si davano da fare per riportare all’interno le sedie servite per l’assemblea e a quelli che si dedicavano all’intrattenimento musicale. L’albergo bianco era sempre visibile in lontananza, incombente su un equilibrio sempre più fragile. (alessandro stoppoloni)
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