Sarà presentato domani, martedì 5 dicembre (ore 10,30), al CNR di Napoli (via Guglielmo Sanfelice, 8), il Rapporto sulle migrazioni interne 2017. Il volume, In cattedra con la valigia. Gli insegnanti tra stabilizzazione e mobilità, è edito da Donzelli ed è curato da Michele Colucci e Stefano Gallo.
Pubblichiamo dal libro un estratto dal saggio Pendolarità e precarietà lavorativa delle maestre fra la Campania e Roma.
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Chiamate a lavoro: si domanda disponibilità
Le maestre precarie della scuola pubblica italiana residenti nelle diverse province della regione Campania che quotidianamente si spostano per lavoro verso Roma a bordo di treni e pullman, rappresentano una piccola porzione di quel nuovo movimento migratorio interno dalle regioni dell’Italia meridionale affermatosi a partire dalla metà degli anni Novanta con precise caratteristiche in termini di geografia, composizione e comportamento migratorio (Bubbico, Morlicchioe Rebeggiani 2011). Le condizioni di lavoro di questo segmento di precariato della scuola pubblica mettono in luce come in uno di quei settori del mercato del lavoro tradizionalmente considerati come garantiti, quale appunto la pubblica istruzione, le diverse modalità di reclutamento del personale finiscano per produrre un dualismo che vede lavoratori ben remunerati e con contratti di lavoro stabili (insegnanti di ruolo) contrapporsi a lavoratori precari con bassi salari e privi di garanzie sociali e occupazionali (supplenti temporanei). Il regime di regolazione entro cui si collocano i rapporti di lavoro di questa piccola componente del movimento migratorio interno risulta infatti caratterizzato da una netta prevalenza di contratti a termine con tempi e durata variabili, spesso anche pochi giorni o settimane, e comunque mai superiori ai nove mesi. Il sistema di reclutamento di queste lavoratrici temporanee fondato sul meccanismo delle graduatorie ha finito per condizionare fortemente il loro comportamento migratorio. Dal punto di vista delle specificità del profilo di questo micro segmento migrante, è opportuno precisare che si tratta prevalentemente di donne, occupate nei primi gradi del sistema educativo pubblico, inserite nelle graduatorie d’istituto delle scuole della città metropolitana di Roma e con un percorso professionale segnato da precarietà lavorativa e insicurezza sociale ed economica. Carolina è una maestra di scuola primaria residente nella provincia di Caserta. Da più di dieci anni presta servizio in modo discontinuo nelle scuole della città di Roma:
«Sono una maestra delle scuole elementari e ho un diploma di scuola superiore magistrale conseguito nel lontano 1994. Io ho sempre lavorato a giorni. Cioè io parto di mattina senza la chiamata, arrivo a Termini e aspetto al bar della stazione. Ogni anno è così. Adesso sono stata fortunata perché prima di Pasqua ho preso una supplenza fino al mese di giugno. È un part time sul sostegno in una scuola elementare. Sono dodici ore settimanali e riesco anche a integrare con altre ore perché il venerdì e il sabato non lavoro e quindi, se mi chiama un’altra scuola per un giorno o due, riesco ad andare anche là».
Il Bar Momento della stazione Termini di Roma è uno di quei luoghi in cui ogni mattina si danno appuntamento alcune delle insegnanti a chiamata della scuola pubblica, il segmento più precario dei lavoratori della pubblica istruzione. Arrivano dalle province di Napoli, Caserta e Avellino. Sono insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria inserite nelle graduatorie d’istituto di seconda fascia della provincia di Roma. Incollate ai loro telefoni cellulari e senza alcuna certezza attendono la chiamata da una delle venti scuole della città selezionate per il triennio. Tutte hanno prestato per diversi anni il loro servizio attraverso il reclutamento dalle graduatorie d’istituto di terza fascia poiché prive di abilitazione all’insegnamento. Il valore abilitante del loro diploma di scuola superiore magistrale è stato riconosciuto solo nel 2014. Questo riconoscimento non ha consentito loro di emanciparsi da quella condizione di precarietà lavorativa in cui da anni risultano intrappolate:
«Ogni mattina ho il treno a Villa Literno alle cinque e cinquantadue e arrivo alle otto a Roma Termini, al Bar Momento, dove solitamente aspettano tutte le maestre. Se mi chiamano le scuole io sto qua. A volte capita anche che non chiamino e me ne devo tornare. Quante volte! Noi però scendiamo sempre perché comunque abbiamo l’abbonamento sia per il treno sia per i mezzi pubblici. Anche supplenze di un giorno facciamo. A volte, se si è fortunati, si riesce a prendere una supplenza anche per una settimana o un mese. Altre volte un giorno oppure niente. E quindi te ne torni a casa. Pensa che da ottobre a marzo, prima di prendere il part time, ho girato ventidue scuole: Trastevere, Colli portuensi, Cornelia, eccetera».
Le ragioni alla base della scelta di inserirsi nelle graduatorie di una provincia diversa da quella di origine (elementi che potremmo comunemente definire fattori di spinta) trascorrendo più di sei ore al giorno a bordo di autobus e treni per raggiungere il luogo di lavoro, sono dettate sia dall’incapacità del sistema scolastico pubblico campano di assorbire l’offerta di personale educativo presente nella regione (in particolare quello della scuola dell’infanzia e della scuola primaria), sia dalle cattive condizioni di lavoro del mercato privato educativo. Nell’anno 2014, infatti, se si considerano i soli dati relativi alle iscrizioni nelle graduatorie ad esaurimento (Gae) della provincia di Roma effettuate dal personale educativo precario precedentemente inserito nelle Gae di altre province italiane, si scopre che il 47% degli iscritti (di ogni ordine e grado) proveniva proprio dalla regione Campania, con una prevalenza della componente femminile dell’88%. Inoltre, più del 50% delle iscrizioni in Gae dalle province campane verso la provincia di Roma riguardava insegnanti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, con in testa le province di Napoli e Caserta.
Tina abita nella provincia di Avellino, la incontriamo a bordo di un pullman che ogni mattina asseconda il libero movimento migratorio degli insegnanti residenti nella bassa Irpinia e nella pianura Nolana:
«Dove abito è impossibile lavorare in una scuola pubblica se non hai tanti anni di servizio. Quella di spostare la domanda a Roma è stata però una decisione molto pesante perché io faccio la pendolare, non è che abito a Roma. Quando ho iniziato, i miei due bambini erano piccolissimi. Io lavoro sulle supplenze brevi e sono una maestra di scuola elementare. In un mese riesco a fare anche dieci-quindici giorni di lavoro se mi va bene. Alla fine per lavorare devi sperare che qualche collega stia male o si riposi un po’. Poi non hai ferie, non puoi prendere un giorno di malattia… Ormai sono quasi sei anni che lavoro con le supplenze brevi e spero di essere stabilizzata al più presto possibile».
A bordo del treno regionale Roma-Caserta di ritorno verso casa incontriamo Anna. È nata in un paese della provincia di Caserta nel 1977, dove vive tuttora con i suoi genitori:
«Mi sono diplomata nel 1999 all’Istituto Magistrale. Lavoro a Roma da sette anni perché a Caserta le graduatorie sono tutte bloccate e riesci a lavorare solo se sei di ruolo. Nelle graduatorie di seconda fascia della provincia di Roma è più facile lavorare. Sono anch’io pendolare e vado e vengo da Roma tutti i santi giorni. I primi anni ho avuto un contratto part-time. Quest’anno, invece, da settembre a gennaio ho lavorato con le supplenze brevi e a fine gennaio ho ottenuto una supplenza più lunga fino al mese di giugno. Ho scelto di fare l’insegnante perché mi piace molto stare a contatto con i bambini. L’unico problema però è che i contratti non sono mai stabili. Si cambia sempre scuola e non hai mai la certezza che lavori. Quando ho deciso di intraprendere questa strada ero a conoscenza del precariato nella scuola, però pensavo che fosse per meno anni. In questi anni è cambiato tutto, non so nemmeno se l’anno prossimo riuscirò a lavorare».
Le condizioni contrattuali di queste maestre rispondono a una instabilità della domanda di lavoro che trova nelle graduatorie di istituto e nell’utilizzo di contratti a breve termine i principali strumenti di reclutamento di lavoratori sotto-precari garantendo al sistema della pubblica istruzione la flessibilità numerica di cui necessita. Per molte di queste insegnanti, dopo aver sperimentato lunghi anni di insicurezza lavorativa ed economica, l’incertezza è ormai diventata la norma e rappresenta una condizione dalla quale sembra impossibile affrancarsi se non attraverso la sua accettazione come componente costitutiva della propria condizione umana e professionale. Un altro dato significativo che emerge dai racconti di queste maestre è rappresentato dalla rottura, anche nel settore del pubblico impiego, di quel rapporto lavoro-sicurezza che ha storicamente protetto i lavoratori dai principali rischi sociali, primo tra tutti il rischio di caduta in povertà. Il lavoro di queste donne, infatti, in una congiuntura economica sfavorevole caratterizzata da bassi salari, precarietà, debolezza del sistema di welfare e aumento del costo della vita, sembra non essere più sufficiente a garantire loro una vita dignitosa:
«La situazione economica in cui mi trovo condiziona tanto la mia vita. Pensa che io non so mai quanto guadagno e quindi se volessi fare una spesa dovrei pensarci mille volte. Per esempio, mi vorrei comprare una macchina ma non la posso comprare. Io a mille euro non arrivo, spendo più di duecento euro per gli abbonamenti, poi esce qualche altra cosa come adesso, perché sto pagando il dentista, e alla fine non mi resta niente. Poi dò anche una mano a casa per fare la spesa perché con i tempi che corrono qui non si può più vivere. Alla fine si lavora solo per il punteggio. Questo alla fine è il mio lavoro e io solo questo so fare. Vado anche con la febbre a scuola e sto attenta a non perdere nemmeno un giorno per avere tutto il punteggio. Io ci vado sempre a lavorare perché oggi la situazione è critica e anche a casa mia la vita comincia a essere dura. Io ho un fratello di ventuno anni e una sorella di trenta che stanno a casa senza lavorare. Ho solo mia mamma e ha una pensione di cinquecento euro al mese. Come si fa se non vado a lavorare?». (giuseppe d’onofrio e giustina orientale caputo)
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