Luca Cangianti, Alessandra Daniele, Sandro Moiso, Franco Pezzini, Gioacchino Toni, Immaginari alterati. Politico, fantastico e filosofia critica come territori dell’immaginario, Mimesis, 2018, pp. 160, € 16.
Le ragioni che stanno alla base di questo volume, ricco e agile, sono ben sintetizzate nella prefazione scritta da Valerio Evangelisti: “L’immaginario è certamente tra i terreni salienti di battaglia, per chi voglia sottrarsi alla dittatura più insinuante, senza scrupoli e invasiva che la storia ricordi”. Apparentemente inafferrabile, la categoria dell’immaginario comprende l’enorme invaso di schemi mentali, suggestioni, griglie valoriali, opinioni, stili di vita e modelli, nel quale siamo permanentemente immersi: in questo continente liquido si costituisce la nostra soggettività di individui, di creatori di valore, di consumatori, nonché di “cittadini”. Un continente saldamente colonizzato da chi comanda gli strumenti di costruzione dell’immaginario – dai media tradizionali all’infosfera – e chi si pone dalla parte della cultura critica, deve conoscere quanto più è possibile il territorio dove maturano questi rapporti di potere, per provare a decostruirne i linguaggi e i dispositivi nascosti. “Occorre liberare l’immaginario dal ruolo falsamente sovrastrutturale che gli viene affidato nella società dello spettacolo per affermarne la dialettica appartenenza alla struttura stessa delle società umane”.
Immaginari alterati nasce dalla convinzione che oggi si giochi attorno a questo tema una partita importante, anzitutto in riferimento al dibattito pubblico e all’agenda politica; e, prima ancora, su ciò che non arriva a costituire “dibattito” e resta invece pericolosamente presupposto sotto ogni soglia critica, incidendo comunque sulla vita collettiva e le esistenze personali.
È evidente a tutti quanto l’immaginario, tanto quello costruito direttamente dalle agenzie del potere, quanto quello apparentemente più neutro veicolato dal cinema, dalla televisione, dalla narrativa e dall’arte, finisca con l’incidere sulla percezione della realtà quotidiana. È la fucina che forgia le categorie attraverso cui pensiamo e “agiamo” il nostro ruolo nella società, la definizione di ciò che è “giusto”, “possibile” e “necessario” – tutti vincoli storicamente determinati e mutevoli, ma sempre presentati come eterni e naturali dai detentori del potere.
A differenza di quel che è accaduto in altri paesi, a lungo in Italia l’idea che l’immaginario popolare potesse risultare un ambito di interesse per provocazioni e riflessioni sociali e politiche è stata scarsamente presa in considerazione. Basti pensare all’impatto epocale delle tv commerciali berlusconiane fin dagli anni Ottanta e all’incapacità, nel campo opposto, di elaborare strumenti e linguaggi alternativi. Un’egemonia di destra che anche oggi, in epoca post-televisiva, perdura e si rafforza con una presenza capillare sui nuovi media, di segno ancora più radicale e pervasivo.
L’idea intorno a cui ruota il libro è che non si possa più affermare, come si è fatto nel corso del Novecento, che “l’immaginario è politico (che dipende soltanto dalle scelte che fa il singolo pensatore/autore oppure dal trend politico circostante), ma piuttosto che il politico è uno degli elementi, dei territori dell’immaginario. Così come lo sono la letteratura, l’arte, l’economia e la scienza stessa nelle sue congetture e formulazioni precedenti alla conferma sperimentale” (p. 10).
Letti a partire da tali premesse gli interventi di Immaginari alterati, si mostrano decisamente più coesi di quel che sembrerebbe scorrendo l’indice. E tale omogeneità, almeno in parte, deriva dalla comune provenienza degli autori dalle fila della rivista Carmilla, che sin dal sottotitolo si dice votata a indagare i rapporti che intercorrono tra “letteratura, immaginario e cultura di opposizione”. I diversi contributi, quindi, partendo da mondi diversi, convergono in una omogeneità dei fini e vibrano di una intensità intellettuale più “militante” che sociologica.
Sandro Moiso definisce la tensione a cambiare lo stato di cose presenti come inevitabilmente derivante dalla spinta del desiderio, dunque da una propensione al sogno. Senza immaginare un possibile altrove non è possibile cambiare il presente. “Ma quell’altrove cambia nel tempo, talvolta impercettibilmente e talaltra in maniera radicale. Sta pertanto all’immaginario ridefinirlo di volta in volta per contribuire a una ridefinizione del mondo reale” (pp. 10-11). Lo stesso autore “contesta l’idea che la forza del Mito americano possa dipendere dai prodotti hollywoodiani e dai suoi profeti a stelle e strisce, suggerendo al contrario che la sua forza di attrazione possa risiedere proprio nel fatto di condividere gli stessi valori dei suoi falsi critici” (p. 11). Moiso spazia con maestria da Stachanov a Trump, dalle distopie realsocialiste al mito del palazzinaro “self made man”, paradossalmente plebiscitato dalle masse operaie diseredate della Rust Belt americana (potenza dell’immaginario pienamente dispiegata nello scontro politico e sociale).
Franco Pezzini opera una puntuale riflessione sul “rapporto tra linguaggio del fantastico ed educazione alla critica nella proposta formativa, con alcuni esempi mirati su singoli autori […] e opere, e insieme un tentativo di esaminare alcuni punti delicati – diciamo pure dolenti – nella percezione diffusa di un discorso sul fantastico in Italia” (p. 11). Anche il riferimento alla poliedrica cultura letteraria del fantastico, può sembrare una concessione all’effimero, all’inessenziale; mentre “il fantastico puro, […] quello dell’incrinatura nella realtà e dell’incertezza/imbarazzo sulla natura delle cose” (p. 50) è un terreno fecondissimo di significati e ricadute nella psicologia collettiva, nel costume, nell’estetica di massa. Pezzini, da esperto frequentatore della materia ricorda en passant il volume crescente di produzioni editoriali, spesso carsiche, che attraverso l’ibridazione dei filoni e dei linguaggi sta producendo una sorta di nuovo “super-genere” tutto da inseguire e individuare.
Nel suo scritto Luca Cangianti evidenzia come “la ricorrenza di figure fantastiche quali spettri, vampiri, licantropi, specchi magici e creature frankensteiniane” (p. 11) nell’opera di Karl Marx non abbia tanto una valenza retorica, quanto piuttosto risulti direttamente costitutiva del suo impianto teorico. A partire da tali convinzioni l’autore giunge a leggere il Capitale quasi fosse un romanzo fantahorror. Il fantasma che si aggira per l’Europa, il feticismo della merce con il suo carattere fantasmatico e inafferrabile e l’uso abbondante delle categorie di “incantesimo”, “stregoneria”, “nebbia”, “geroglifico” e “arcano”, per illustrare la materialissima critica marxiana dell’economia politica, offrono, secondo Cangianti, ricchi motivi di riflessione sul nostro presente.
Nel suo saggio Gioacchino Toni passa in rassegna una lunga serie di studi recenti che hanno indagato il successo della figura dello zombie come metafora che permette di osservare l’essere umano contemporaneo. Lo zombie è figura così complessa – dalla sua origine magico/schiavistico/coloniale alla sua moderna evoluzione cinematografica e televisiva – da poter essere declinata su molti piani: il consumatore alienato che ha ceduto l’anima alla merce, il lavoratore spogliato della sua soggettività desiderante e autonoma, il misterioso “altro” che irrompe minaccioso nella nostra quotidianità per sovvertirla. Toni non trascura nessuno di questi piani, svelando un universo di significati e suggestioni del “prodotto-zombie”, tra fiction, fumetti e libri.
Alessandra Daniele propone invece una raccolta di racconti e corsivi sul potere della propaganda politica e commerciale sull’immaginario collettivo, scelti tra i tanti che, da anni, in apertura di settimana, pubblica su Carmilla. Blogger di solida esperienza, la Daniele si conferma una delle penne più caustiche in circolazione: l’ironia e la satira sono l’arma perfetta per demistificare le vuote costruzioni ideologiche del potere, fondate sul culto di personalità sempre meno credibili (da Renzi a Salvini) che affidano alle magie rutilanti del web e dei social, le loro speranze di sopravvivenza, rispetto alla inesorabile miseria della politica quotidiana.
Valerio Evangelisti, direttore e fondatore di Carmilla, nella prefazione al volume ricorda come sin dalla sua uscita nel 1995, allora in forma cartacea, la rivista sostenesse come “l’immaginario sarebbe stato uno dei campi di battaglia a venire, per la sinistra di classe e per le forze antagoniste” (p. 7) e come tale previsione si sia rivelata valida, basti vedere il peso assunto dall’immateriale, dal fantastico e dal sogno sullo scenario socio-economico e sulla quotidianità degli esseri umani. “Perché il capitalismo si regga bene in piedi, deve invadere anche le aree non sottoposte al suo dominio diretto, economico e politico” (p. 8). E l’importanza dei diversi contributi, mentre passano in rassegna alcune delle forme assunte dall’immaginario contemporaneo, sta proprio nello sforzo di leggerlo come luogo di conflitto. “Resistenza inutile? Resistere non è mai inutile, e di per sé contrasta il velo di anomia e di alienazione che sta calando su noi tutti” (p. 8), conclude Evangelisti.
Chiunque desideri abolire lo stato di cose presenti deve innanzitutto immaginare nuove forme di realtà, ma queste, tengono a sottolineare gli autori, potranno essere avvalorate soltanto dalla loro sperimentazione pratica. Dunque l’immaginario deve essere pensato più come il “luogo simbolico delle domande cui occorre dare risposta che non quello delle risposte” (p. 10). Non a caso il libro è dedicato a chi in Val di Susa testardamente sta da tempo praticando e trasmettendo immaginari altri rispetto a quelli del potere. (giovanni iozzoli)
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