Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana è un volume collettivo curato da Luca Rossomando e pubblicato dalle edizioni Monitor nell’aprile 2016. Il libro è scritto da sessantotto autori e conta ottantasei interventi tra articoli, saggi, grafici e tabelle. All’interno di ogni sezione ci sono anche interviste e storie di vita. Abbiamo deciso di pubblicarne una parte durante questo mese d’agosto.
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Una veronica alla Zidane
Se lo cercate su Google, il suo nome è associato esclusivamente alla Progreditur Marcianise. Su youtube ci sono alcune interviste dopo-partita, il suo linguaggio franco e la lieve balbuzie lo rendono difficilmente inquadrabile anche se ripete i soliti concetti. «Meritavamo di più, siamo stati condannati dagli episodi», «Non posso rimproverare nulla ai miei». Gennaro Caccavo ha allenato i gialloverdi di Marcianise, categoria juniores, nel 2013, portando la squadra alla conquista del titolo regionale. “Rispetto le decisioni della dirigenza, ma sottolineo la mancanza di professionalità da parte di chi non si è premurato di contattarmi. La cosa, va da sé, oltre a procurarmi un immaginabile danno professionale, mi ha scosso profondamente”. Così scriveva nella lettera diffusa da alcune testate d’informazione dopo l’inspiegabile allontanamento dalla panchina. Resta fermo per un anno, poi torna ad allenare la prima squadra del Marcianise da subentrato, nella primavera del 2015, ottenendo qualche vittoria importante e niente più. Nella stagione 2015-16 aspetta ancora una chiamata.
Caccavo Gennaro, quarantacinque anni circa, è figlio di Raffaele, ex calciatore ed ex dipendente della Manifattura Tabacchi di Gianturco. Viso tondo e capelli impomatati, sorriso sincero, spesso ha il sigaro spento tra le labbra. Su via Gianturco lo conoscono tutti perché è uno di quelli che ha raggiunto una certa notorietà. Ciononostante non vive in condizione agiate: abita – o meglio, abitava – nella decadente palazzina di custodia della Manifattura, fino allo sfratto avvenuto nei primi giorni del dicembre 2015. Il padre è stato il principale animatore del dopolavoro della fabbrica. Organizzava feste e banchetti, serate danzanti, e concedeva una grande sala a tutti i dipendenti desiderosi di organizzare una festa in proprio. Da custode fece costruire un campo di calcio con una “innovativa pancia a centrocampo”, che permetteva al rettangolo da gioco di non allagarsi in caso di pioggia. Sul campo fecero capolino molte squadre provenienti dal vesuviano. Si giocava il campionato di Promozione, arrivavano tifosi anche da fuori città, via Gianturco di domenica mattina era una strada vivace e affollata. «Inizialmente ci giocavano le squadre del dopolavoro delle fabbriche di Gianturco e del Rione Ascarelli. C’era la squadra della Mecfond, quella della Manifattura, la Cartografica. Poi iniziarono a venire squadre dilettantistiche: la prima fu la Rinascita Sangiovannese, poi nacque la Ferraris. L’Intergranili fece in quel campo la seconda e la terza categoria. Fondarono l’InterLuzzatti, che prima giocava nel campo del Macello, poi si spostò qui».
Genny ha appena preso in affitto uno studio nei pressi della fermata della Circumvesuviana. Ha impiegato tre settimane per arredarlo a modo suo, soprattutto per arricchirlo di cimeli, quelli che raccontano la sua storia. La maglia della Juventus, appartenuta a Cabrini, spicca nella cornice bianca, sospesa sulla scrivania mogano. Vicino all’ingresso, un pesante piumino, blu scambiato, con la scritta Ariston. Era il giubbotto d’allenamento della Vecchia Signora. Caccavo ha giocato, diciottenne, nella Juventus. Nella primavera dei bianconeri, per sei mesi. Dopo un promettente inizio fece un provino su raccomandazione di Boniperti, che – racconta – era amico del padre. Il provino andò bene, restò a Torino e cominciò ad allenarsi. Restano alcuni articoli di giornale a testimoniare la sua piccola impresa. Mostra con orgoglio una rivista, Il bianconero, che lo ritrae. Conserva nel borsello una medaglietta regalata a tutti i tesserati in occasione della vittoria di un importante trofeo. Campeggiano altre maglie nel suo studio. Ma il suo passato calcistico si condensa in quei pochi mesi in bianconero.
Gennaro torna a casa per prepararsi ad affrontare l’inverno torinese. A Gianturco ritrova i vecchi amici. “Prima di ripartire – gli dicono – devi aiutarci nel torneo, vieni a giocare una partita con noi”. Sul campo della Manifattura, dove erano sbocciate le sue ambizioni, Genny è un pesce fuor d’acqua. A un passo dalla gloria, ma vulnerabile come chi, in procinto di arrivare al traguardo, si volta e rallenta: rottura di tibia e perone in una banale partita tra amici, carriera spezzata. Diciottenne, torna al Pascone, come i più vecchi chiamano l’ex zona industriale. Si riprende dall’infortunio ma non è più lo stesso, nei piedi ancora l’estro degli esordi, ma le gambe cedono. Fugace apparizione nell’Avellino, poi il ritiro, il calcio resta uno svago tra amici e poco più. La passione torna a essere un mestiere solo quando comincia ad allenare. Prima i più piccoli, poi arrivano i risultati e si sale di categoria. Il trofeo con la juniores del Marcianise e la prima squadra, l’interregionale, quasi il professionismo. Caccavo ora è, si legge sul suo bigliettino da visita, “istruttore di giovani calciatori, allenatore di base, consulente calcistico, diploma B/Uefa”.
Gennaro Caccavo passa i suoi pomeriggi tra colloqui infruttuosi, assiste ad allenamenti e parla con gli addetti ai lavori, va a fumare il sigaro al bar del crocevia, chiama ex presidenti e vecchi amici, si trattiene con i compari della salumeria. Tira fuori una foto ingiallita e rotta dal suo borsello e inizia a raccontare. «Oggi ancora niente, domani arriverà la chiamata giusta. Dopo un anno da allenatore in interregionale non mi va di accettare una proposta qualunque». Il campo della Manifattura, chiuso da quindici anni, è ormai solo sterpaglia e immondizia. «Vedi, il calcio è un gioco semplice. Quando giocavo io contavano ancora i piedi più della corsa. Forse non tutti qui sanno che la gamba me la ruppi cercando di fare una veronica, hai presente? Quelle che faceva Zidane…».
Gli avventori di Ciro il salumiere, su via Gianturco, la storia la conoscono già. Sono i clienti abituali, che alle cinque e mezza tirano fuori qualche sedia di plastica e si siedono intorno a un tavolino, sull’ampio marciapiedi antistante il piccolo locale. La storia la conoscono già ma la riascoltano volentieri, perché Genny resta ancora il piccolo prodigio. «Eh, Genny, però secondo me tu il pallone lo metti ancora dove vuoi tu, adesso. Da fermo resti il numero uno del quartiere. Io mi ricordo…». (davide schiavon)
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