da: StoriaMestre
Il 25 giugno si sono tenute in sessantuno città italiane le manifestazioni per la scuola promosse dal Comitato Priorità alla Scuola, che già aveva lanciato una mobilitazione il 23 maggio scorso. Filippo Benfante è intervenuto a Firenze.
Questa è la bozza delle linee guida proposte dal governo per la riapertura delle scuole a settembre. Non servono a riaprire le scuole ma solo a confermare che tutti i nostri timori, tutta la nostra rabbia erano giustificati; che abbiamo fatto bene a lanciare e costruire tutti insieme questo movimento che siamo diventati: genitori, studenti, studentesse, insegnanti, tutti i lavoratori e le lavoratrici del mondo della scuola. La scuola non è la priorità di questo governo e il governo non ci pensa proprio a farla diventare priorità, anzi usa l’emergenza sanitaria per darle l’ultimo colpo. La nostra prima risposta deve essere quella di far diventare carta straccia queste linee guida. Lo stiamo dicendo in oltre sessanta piazze in tutta Italia e continueremo a dirlo: siamo già mobilitati da due mesi e da oggi comincia una mobilitazione permanente nazionale sulla scuola.
Non ci prenderanno per stanchezza, anche se sappiamo bene quale fatica tutto questo ci sta costando. Ma sappiamo che è ora o mai più. Tutti insieme dobbiamo continuare a mobilitarci per una scuola pubblica riaperta, che resta aperta e diventa più inclusiva e migliore di prima.
L’anno scolastico 19/20 ha potuto chiudersi con una parvenza di regolarità grazie allo sforzo di insegnanti coscienziosi e di segreterie scolastiche che hanno fatto fronte a bisogni e burocrazia inediti; lo sforzo di bambine e bambini, ragazze e ragazzi che si sono messi davanti a uno schermo; lo sforzo di genitori che si sono prodigati per sostenere figli e insegnanti, ciascuno secondo i propri mezzi e ben pochi secondo i propri bisogni.
È stato uno sforzo collettivo, logorante, sul piano materiale e sul piano psicologico, possibile solo per far fronte a una emergenza. E ora, mentre tutta la comunità scolastica ha bisogno di ripartire in presenza a settembre, siamo qui a subire altri logorii: quello dell’incertezza, quello della preoccupazione, quello della rabbia.
Perché queste linee guida non permettono un’apertura in presenza, in continuità e in sicurezza, senza riduzione di orario, a settembre di tutte le scuole, da nord a sud, da est a ovest. Queste linee guida confermano solo la (non) scuola già annunciata e alla quale abbiamo già detto no: quella dei turni, della riduzione degli orari, della didattica a distanza. È la scuola della disuguaglianza e dell’ignoranza. Questa è la scuola pubblica a pagamento o che indirizza a servizi a pagamento, che certifica la sostituzione dei diritti con i privilegi. Senza personale scolastico, senza spazi, il completamento del tempo scuola sarà a carico delle famiglie, di quelle che possono, e la scelta tra lavoro e figli sarà sempre più costosa su ogni piano. La dad ha già scaricato costi strutturali sulle famiglie. Il lavoro precarizzato come al solito sarà sbandierato come un risparmio e un’opportunità per tutti.
Il ministero utilizza parole che quarant’anni fa potevano significare una scuola più democratica e aperta al territorio; ma oggi quelle parole hanno un significato contrario: la scuola italiana è già di classe e lo sarà ancora di più. L’innovazione che ha in mente il ministero è una scuola esternalizzata, voglio dire totalmente esternalizzata, perché già ora lo è per dei bei pezzi, con i risultati che chi ha figli a scuola o che a scuola ci lavora conosce bene.
Il governo con questo documento viene meno al contratto sociale, dismette il suo dovere di garantire i diritti costituzionali in tutta Italia: il diritto all’istruzione e anche il diritto alla sanità. A sessantasette giorni dal 1 settembre non è nemmeno fissato il giorno di riapertura delle scuole.
L’anno scolastico 19/20 si è chiuso come sappiamo, con un balletto sull’ultimo giorno di scuola simbolico, balletto che qui a Firenze si è trasformato in una parata con sindaco e viceministra nella scuola prescelta, proclamata sul campo centro d’eccellenza, mentre tutte le altre scuole della città erano chiuse, e caso mai erano insegnanti, maestre, genitori, ragazzi a organizzare incontri autogestiti. Ci sono video istruttivi su come sono andate le cose quel giorno, e il tipo di discorsi pronunciati. Diventeranno documenti buoni per gli storici del futuro, ma ora dobbiamo vedere e capire cosa ci annunciano, al presente, per le vite dei nostri figli e nostre.
Ecco, non vorrei che l’anno scolastico 20/21 diventasse quello del primo giorno simbolico e poi tutti a casa in DAD, o con gli orari dimezzati e i turni. La scuola pubblica la stanno facendo diventare una ricorrenza, una festa da tenersi una volta l’anno. E invece la scuola pubblica non è una ricorrenza: ora e sempre resistenza.
Nota. Due giorni prima dello svolgimento delle manifestazioni promosse dal Comitato Priorità alla Scuola e organizzate dai comitati che si sono formati a livello locale, era trapelata la prima bozza del “Piano scuola 2020-21” per “la pianificazione delle attività scolastiche, educative e formative in tutte le Istituzioni del Sistema nazionale di Istruzione”. La mobilitazione, già programmata per sostenere le richieste che Priorità alla Scuola formula da aprile, ha dovuto quindi anche prendere subito posizione contro un documento che formulava prospettive inaccettabili.
Il pomeriggio di venerdì 27 giugno il presidente del Consiglio dei ministri Conte e la ministra dell’Istruzione pubblica Azzolina hanno presentato in conferenza il testo definitivo del “Piano scuola”, che diventa subito operativo in seguito all’accordo con le regioni. I toni sono stati più che rassicuranti, persino entusiastici, sul futuro della scuola in Italia. Le intenzioni dichiarate dal governo andranno messe a confronto prima con quanto effettivamente scritto sulle linee guida, e poi con le effettive pratiche. Pare che la correzione di bozze collettiva – condotta sotto forma di proteste e manifestazioni – abbia dato qualche risultato, ma bisognerà continuare a verificare in quale sostanza si tradurranno le riformulazioni del testo che resta aperto a esiti molto meno rassicuranti delle parole della conferenza stampa. Quel che si può dire subito è che la svolta fondamentale è stata nel calcolo del distanziamento fisico, che fa passare la quota di studenti che non possono entrare a scuola da una quota stimata al 40% a una percentuale intorno al 15%, il che è comunque enorme. Impagabile, comunque, il buon umore che ci regala l’ingresso delle “rime buccali” nel rimario della scuola.
Dal canto suo il Comitato Priorità alla Scuola rivendica che i pochi miglioramenti sono il frutto delle proteste: il governo è stato costretto a fare parziale marcia indietro sui punti impresentabili (ora appunto attenuati oppure sciorinati come applicabili solo in caso di emergenza), a scrivere e dichiarare se non altro che svolgerà il suo ruolo di garante di diritti omogenei in tutta Italia e ad aggiungere risorse. Non sembrano ancora sufficienti: i soldi stanziati non arrivano ancora a coprire i tagli degli ultimi 10-15 anni, le assunzioni annunciate significano al momento cinquantamila precari in più. La strada è ancora lunga e perciò la mobilitazione non va in vacanza.
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