“Abbiamo il diritto di giocare e farci male”, c’è scritto sul primo striscione del corteo, sorretto da dieci bambini. Dietro ci sono quattromila persone: ogni capofamiglia regge una fiaccola. Il diritto di giocare a Procida è tutelato ancora dal buon senso, quello a farsi male è inalienabile. Mancherà presto il diritto a un soccorso medico adeguato: il nuovo piano ospedaliero varato dalla giunta De Luca il 17 maggio scorso prevede infatti l’abolizione del pronto soccorso del plesso “Gaetanina Scotto”. La sede comunale è bardata a lutto, gli abitanti protestano esponendo lenzuola bianche alle finestre. La fiaccolata parte nella serata di lunedì dal porto e arriva fino all’ospedale, per la veglia.
Il “Gaetanina Scotto” si trova a Centane, nella zona più a sud dell’isola. «Quando ero piccolo si diceva sempre che se Ischia e Procida avessero avuto posizioni invertite nel golfo, di Procida se ne sarebbero completamente dimenticati». La voce rabbiosa è di Padre Lello, curato di una delle tre chiese dell’isola. Celebra messa nel fine settimana, di volta in volta cambia parrocchia. «Ischia è Ischia, a Capri ci sono i milionari. Ora che il carcere è chiuso da anni, l’isola di Procida è considerata una periferia dove occasionalmente si recano i turisti». L’ospedale di Ischia esce bene dal piano ospedaliero 2016: nel complesso la Asl Napoli2Nord, cui Procida fa capo, incrementa la propria capacità di duecentoquindici posti letto. Procida, invece, da nove passa a quattro e perde la funzione di primo soccorso.
In sostanza le quattro figure di primo intervento (il chirurgo, l’anestesista, l’internista e il ginecologo) non saranno sempre disponibili sull’isola. Per tentare di salvare la vita a un paziente in pericolo bisognerà mettersi in rete, sperare in buone condizioni meteorologiche, trovare immediata disponibilità nelle strutture sulla terraferma o a Ischia. La luna rischiara la sfilata dei procidani, l’unica telecamera a documentare la protesta è quella messa a disposizione dal Comune. Le venti miglia che separano l’isola da Napoli si sentono in ogni passo, in ogni sguardo. Un incubo: vedere diritti strappati da funzionari che, probabilmente, a Procida non hanno mai messo piede. Calcolatrice alla mano, un notabile ha deciso così. L’austerity, i tagli alla spesa, la sanità scheletrica.
Si legge nel piano: “Sono previsti alcuni ospedali in zone particolarmente disagiate. […] In tale sede viene garantita un’attività di pronto soccorso, con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto: l’accesso in urgenza/emergenza, l’osservazione, la stabilizzazione, la cura ove compatibile, o il trasferimento secondario ove necessario”. Rientrano tra le “zone disagiate” Capri, Roccadaspide, Agropoli e Castiglione di Ravello: per queste località poste in cima a una montagna o su un’isola la regione Campania prevede ospedali con venti posti letto e pronto soccorso. Una sola eccezione. “Per l’isola di Procida il piano prevede un punto di primo intervento più un ospedale di comunità. L’Azienda potrà individuare idonei modelli organizzativi per garantire specifiche criticità per l’erogazione dei LEA”.
I procidani hanno capito. Vivere sull’isola è una forma d’allenamento fisico e mentale. Sono piccoli artigiani nella cura dei loro strumenti quotidiani. La società ha indicato la via del progresso, ha installato la corrente elettrica, ora c’è il wi-fi in ogni bar o quasi. Un isolano impara a convivere con la privazione e il calendario è scandito da piccole grandi mancanze: in quel giorno non arrivarono i giornali, lunedì non partiranno i traghetti, non c’è acqua corrente. Soccorrere un uomo su un’isola ha imposto gesti di eroismo. Si rischia, per esempio, di fare la triste fine di Gaetanina Scotto e di Antonio Rimondo, un’infermiera (al quale è intitolato l’ospedale) e un ispettore di polizia che, nel tentativo di issare una barella per trasportare un paziente a Napoli, morirono colpiti dalle pale dell’aeromobile. Era l’aprile del 1995. Dodici anni prima era morta la diciottenne Anna Grazia Esposito, vittima dei ritardi nei soccorsi (via terra, via cielo e via mare). Nel 1983 un’assemblea di procidani (Comitato agitazione permanente) bloccò il porto giorno e notte per ottenere condizioni di assistenza sanitaria dignitose. Pochi mesi fa un carabiniere, cadendo in casa, subì la rottura della milza e una profonda emorragia. Alle quattro del mattino fu operato al pronto soccorso procidano. I medici in servizio gli salvarono la vita.
«Questo piano ospedaliero ci riporta vent’anni indietro, a quando fui eletto», spiega l’ex sindaco Luigi Muro. «In realtà torniamo indietro di trenta», gli fa eco l’attuale primo cittadino, Ambrosino. In una nota il sindaco del Partito democratico si dice sorpreso dall’approvazione del piano e chiede le dimissioni del consigliere Coscioni, fido stratega del presidente De Luca. «Coscioni deve dimettersi. Non ha saputo interpretare la disponibilità verso l’isola di Procida di Vincenzo De Luca». Il cardinale Sepe ha inviato una lettera di solidarietà, De Luca in tv ha rassicurato gli abitanti. Intanto il piano è stato approvato in silenzio, e ora si spera nell’apertura di un tavolo inter-istituzionale.
Il corteo svolta a sinistra per via Libertà, percorre via Vittorio Emanuele e arriva all’ospedale. La veglia fino al mattino, poi la catena umana al porto, il sostegno dei marinai e dei turisti: la sirena del traghetto amplifica la portata di una protesta quieta, anche durante la sfilata. In prima fila ci sono i bambini, che ricordano a tutti il valore dell’articolo 32 della Costituzione. Seguono striscioni spregiativi indirizzati al commissario della Sanità campana, Joseph Polimeni. Non ha nessun rapporto con la regione, si diceva con accezione positiva al momento della sua nomina. (davide schiavon)
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