Appena arrivata a scuola per la firma del contratto, mi sono fermata a guardare i cavalli oltre la rete. Riuscire a sentirli brucare, circondati da un’aria salina e umida, è cosa rara e difficile in condizioni “normali” nella seconda metà di settembre, alle otto di mattina, quando la strada e il piazzale si fanno parte di un imbuto di automobili, mamme trafelate e bambini con zaini troppo pesanti sulle spalle, il cui sfogo terminale confluisce nella porta vetrata dell’ingresso. Ma stamattina a Torretta Scalzapecora, frazione del comune di Villaricca, periferia nord di Napoli, i cancelli d’ingresso della scuola restano aperti solo per il passaggio pedonale e il cortile vuoto si riempie dell’eco di voci adulte: personale scolastico.
È il 23 settembre. La scuola sarebbe dovuta cominciare l’indomani. Alle otto di sera è rimbalzata tra i docenti la notizia di una nuova ordinanza della sindaca, in cui si dichiarava che le operazioni di pulizia dei seggi elettorali non erano concluse e l’apertura della scuola veniva ancora rimandata. Così, all’appuntamento del primo giorno, la scuola non si è fatta trovare.
I soli a poter tornare in classe sono stati i diciannove ragazzi della sede succursale, stupiti che alla felicità inattesa e del tutto eccezionale di trovare la docente precaria di nuovo in cattedra si aggiungesse quella di essere tornati a scuola; quasi scusandosi con loro stessi, sorpresi di dover ammettere che, sì, la scuola gli era mancata, certo non per i compiti, ma per i compagni.
Compagni per la verità riscoperti amici nel periodo senza scuola. “Abbiamo cominciato ad andare in bicicletta, abbiamo formato la banda della bandana!”. Scrivono per rispondere alla richiesta di sapere almeno una cosa positiva accaduta in questi mesi. La novità post-quarantena è stata la presenza di questi ragazzi sul territorio. Si sono riappropriati di ogni vicolo, dal 4 maggio hanno cominciato a uscire, non più schiacciati tra i noiosi impegni scolastici, i gravosi allenamenti sportivi, gli inutili doposcuola tenuti da qualche mamma che, forte di una scolarizzazione di poco superiore alla media o semplicemente con un piglio dettato dall’avere altri figli al liceo, ha deciso di proporsi per “far vedere i compiti” ai figli delle altre.
L’ultima interrogazione di geografia che avevano sostenuto consisteva nella consegna di un breve filmato da condividere in piattaforma online in cui descrivevano il loro territorio. Alcune ragazze, pedali ai piedi, avevano condotto virtualmente la classe per diversi chilometri mostrandoci la villa comunale, analizzando le ordinanze regionali ed evidenziando – una volta di più – che nell’intero perimetro da loro percorso l’unico elemento estraneo alla familiarità dei palazzi in cui abitano, alla salumeria/cartoleria e al ristorante, resta la scuola.
Riprendersi il territorio per gli studenti ha significato anche averne una nuova coscienza: non potendo allontanarsi troppo per raggiungere la destinazione delle vacanze, qualcuno ha raccontato di aver scoperto il mare di prossimità: «A chi possiamo dirlo che il mare di Licola andrebbe pulito?», mi hanno chiesto immaginando con entusiasmo di poter rivendicare giustizia ambientale e sanitaria.
La vita lontano dalla scuola si è organizzata percorrendo due strade parallele. Nella prima, i ragazzi hanno ritrovato loro stessi sperimentando la gioia selvaggia della scoperta. Lontani da un mondo mediato dagli adulti, sono usciti a esplorare le campagne aggrappate ai bordi delle periferie cariche di immondizia. Nel territorio di Torretta Scalzapecora è situata Cava Alma, discarica abusiva utilizzata per lo smaltimento di rifiuti illegali lungo tutto il corso degli anni Novanta e dentro cui a luglio dell’anno scorso era divampato un incendio che aveva lasciato l’aria irrespirabile e combustioni in corso fino a ottobre. Ma ci sono anche diverse casematte disseminate lungo la strada che conduce a Quarto. Coloro che sono riusciti a intraprendere questa via partivano già da un duplice vantaggio: familiare e socio-culturale. Uno dei ragazzi ha raccontato di aver fatto la sua prima esperienza lavorativa in un percorso di apprendistato di stampo familiare.
Ascoltandoli riflettevo sulla possibilità che questa situazione ci ha offerto e su quello che si sarebbe potuto realizzare: l’opportunità eccezionale per ripensare la scuola. L’idea di poterli finalmente liberare dell’aula, di tirarli fuori dallo spazio chiuso per riportarli nel mondo, e al contempo includere i luoghi esterni e quelli pubblici nel percorso formativo, esplorando il territorio e rendendolo parte della loro formazione.
I comitati di genitori, educatori, docenti e “simpatizzanti” a vario titolo del destino scolastico del paese – che, per inciso, dovrebbe essere una preoccupazione di tutti –, riuniti intorno al nucleo di Priorità alla scuola, negli scorsi mesi avevano chiesto di individuare e censire spazi pubblici, giardini, ville comunali entro cui organizzare la scuola per scongiurare il ritorno alla didattica a distanza. Questa prima occasione è andata sprecata.
Ma se la prima via lascia l’amaro per ciò che non è stato fatto, cioè imparare dalla libertà degli studenti per non ritornare mai più a una scuola recinto, la seconda via è drammatica: molti studenti li abbiamo persi. L’emergenza dei mesi scorsi ha rappresentato una maglia troppo larga e i ragazzi più fragili sono sgusciati fuori dalla rete scolastica anche quando il singolo istituto si è adoperato con tutte le proprie forze distribuendo fin da subito computer in comodato d’uso ed elargendo schede con pacchetti dati. Come mai? Per una semplice motivazione: un monitor non è una scuola, un computer non è una classe.
L’insuccesso della didattica a distanza ha sancito l’abbandono scolastico operato non dagli studenti ma dalla scuola nei confronti dei ragazzi che hanno sperimentato disparità e classismo, magari in situazioni in cui percorsi di devianza erano già iscritti nel curriculum familiare. Che fine hanno fatto non lo sappiamo e non lo sapremo finché non li ritroveremo tra i banchi, sperando che i contesti foschi da cui alcuni provengono non li abbiano definitivamente inghiottiti. Le scelte politiche operate in questi mesi li hanno lasciati indietro e continuano a farlo ogni volta che li lasciano senza docenti. Infatti, non solo l’assunzione necessaria di nuovo organico non è avvenuta, consentendo a personale già impiegato nel servizio pubblico anche da oltre trentasei mesi di stabilizzarsi, ma il nuovo sistema di reclutamento mediante graduatorie provinciali si è dimostrato farraginoso e fallace facendo venire meno anche l’ennesimo proclama sulla riduzione delle classi pollaio e sulla presenza dei docenti in cattedra fin dal primo giorno di scuola.
Nella sola provincia di Napoli le graduatorie per le classi di concorso di matematica e lettere per la scuola secondaria di secondo grado sono state pubblicate di notte, a poche ore dalla eventuale accettazione della nomina, generando il panico, salvo poi essere ritirate poche ore dopo per evidenti errori nell’assegnazione del punteggio e di conseguenza nell’assegnazione delle cattedre, facendo seguire all’agitazione iniziale lo sconforto. In alcune segreterie scolastiche, i docenti hanno firmato la presa di servizio per essere tutelati e dimostrare la loro disponibilità a coprire la cattedra ma non il contratto, rendendo di fatto impossibile entrare in classe a ricoprire l’incarico accettato su carta.
A completare un quadro già disastroso, fatto di ritardi e imposizioni dall’alto, ciascun istituto ha organizzato la didattica in maniera autonoma, prevedendo rotazioni, entrate scaglionate, diminuzione delle effettive ore di didattica, presenze alternate in aula e in modalità telematica. Le eccezioni si sono moltiplicate formando arcipelaghi peggiorativi.
I singoli comuni come misura di prevenzione stanno continuando a posticipare la data di avvio delle lezioni. Melito detiene il triste primato, almeno finora, dell’apertura posticipata al 5 ottobre, cioè esattamente tre settimane dopo l’avvio delle lezioni nel resto del paese. Il rischio è che anche laddove si siano rispettate le distanze tra i banchi e vengano distribuiti i dispositivi sanitari richiesti vi sia la tendenza a sacrificare la scuola imponendo che sia l’unico presidio di contenimento del contagio. Il divario tra Nord e Sud non è mai stato così evidente e tacitamente ratificato dalla prassi politica, nel silenzio dei sindacati della scuola per quanto concerne la metodologia di reclutamento dei docenti. La necessaria ripresa della scuola al Sud, nell’area geografica in cui l’abbandono scolastico è al di sopra della media italiana, è l’unico vaccino alla dilagante epidemia di incuria che viviamo nei nostri territori. In definitiva occorre restituire la scuola ai ragazzi, e per molti potrebbe comunque essere tardi. (marilisa moccia)
Leave a Reply