Mario Ciancio, padrone de La Sicilia, ci ha sottratto centocinquanta milioni di euro, e chissà quanto altro. Ha preso i soldi e li ha portati in Svizzera e in Lussemburgo. Era amico dei mafiosi, come i cavalieri, e gli faceva propaganda e ci faceva affari. Per questo gli è stato confiscato il giornale ed è stato giudicato socialmente pericoloso. Oggi lo dicono i giudici, per anni lo abbiamo detto noi.
I boss dettano legge nei quartieri, inondano la città di cocaina e eroina, mettono armi in mano ai ragazzini e stecche d’erba in mano agli sbandati: carne da macello da fare arrestare o uccidere fra di loro. In questa città “fallita”, da cui in tanti scappano, noi ricostruiremo la speranza, la dignità e il sorriso. Con Giuseppe Fava, ucciso il 5 gennaio 1984 perché difendeva Catania dai potenti e dai mafiosi.
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Il cinque gennaio non c’è posto per assessori e politici, di oggi o di ieri, né per i collaboratori di Ciancio, che ancora osano prendere le sue difese: ma solo per i catanesi onesti, per i cittadini liberi, per i giovani coraggiosi. A loro e soltanto a loro ci rivolgiamo: avanti uniti, senza paura, sulla strada dei Siciliani e di Giuseppe Fava.
“Fra l’anima disperata e criminale che popola il sud di Catania, dal quartiere della Marina, fino alle colline di corso Indipendenza e Monte Po, e l’altra anima potente e tremebonda che ha trasformato la zona pedemontana in una immensa città giardino, vive ancora, per fortuna, la terza anima di Catania, la più vera ed autentica, quella che lavora per tutti. Gli artigiani, i piccoli negozianti, i contadini, gli operai, i piccoli impiegati, la moltitudine di merciai, commercianti, bottegai. L’antica anima ridente e sfottente di Catania, che paga per tutti, che lavora, soffre, e riesce ancora a ridere per tutti. E a tutti contagia questo riso, allo speculatore edile e allo scippatore, al primario ed al rapinatore, al presidente dell’ente pubblico e al disoccupato”. (giuseppe fava)
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