Quello che segue è il terzo di una serie di reportage dall’Amazzonia a cura di Francesco Torri. Cliccando su questi link potete leggere il primo (Una macchia di petrolio che non va via. Reportage dall’Amazzonia ecuadoriana) e il secondo (L’estrazione illegale dell’oro sta distruggendo la riserva naturale più biodiversa del mondo. Reportage dalla Bolivia).
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«In passato qui non c’erano queste malattie, non ci si ammalava di cancro… ora ci sono diversi casi nel nostro territorio, soprattutto casi di cancro al seno e all’utero tra le donne, mentre tra gli uomini di cancro alla prostata. Prima non soffrivamo di diarrea o asma, i bambini non avevano disturbi dell’attenzione… ma ora ci sono molti casi, siamo preoccupati», dice M., un’infermiera indigena del villaggio di Yalawapiti, nell’Alto Xingu, in Brasile.
Oggi questo che è noto come Territorio Indigeno Xingu (TIX), è seriamente minacciato dall’industria agroalimentare. La sua ricchezza culturale e il suo ecosistema unico stanno scomparendo a causa della cattiva condotta delle imprese. Le lunghe strade sterrate che portano al TIX attraversano un oceano di campi di soia prima di raggiungere la fitta foresta del territorio indigeno. È angosciante vedere distese di campi di soia e silos per più di sette ore di viaggio. Centinaia di camion vanno e vengono dai magazzini dove viene stoccato il raccolto, sollevando enormi nuvole di polvere. Su cartelli malconci si leggono i nomi di grandi multinazionali come Cargill, Bunge o Amaggi. Quasi tutte le più grandi fazendas (aziende agricole) di soia vendono il loro raccolto a questi giganti dell’agroalimentare che poi lo distribuiscono in tutto il mondo.
Il Brasile dedica il quarantatré per cento delle sue terre coltivabili alla soia e rappresenta il cinquanta per cento delle esportazioni globali di soia, diventando così il maggior produttore ed esportatore mondiale (tredici milioni di tonnellate esportate nel marzo 2023). Nella regione del Mato Grosso, dove si trova il TIX, vengono prodotte annualmente circa diciotto milioni di tonnellate di soia. La regione del TIX rappresenta da sola il dieci per cento delle esportazioni totali di soia del Brasile.
L’ABUSO DI PESTICIDI
«Dovresti vedere, durante la stagione delle piogge, gli aerei che passano per spargere i pesticidi – mi dice Tumin, un capo villaggio di Yawalapiti –. Sembra pioggia polverizzata e ha un forte odore. Negli ultimi quattro anni lo hanno fatto con sempre maggiore frequenza e sempre più vicino al nostro territorio».
In Brasile, l’uso dei pesticidi è regolato dalla legge 7802/1989, che impone controlli e limitazioni piuttosto restrittive sull’uso di qualsiasi sostanza potenzialmente cancerogena. Ciononostante, il Brasile è il maggior consumatore di pesticidi a livello mondiale. Circa il venti per cento della produzione mondiale di pesticidi viene acquistata dal Brasile. Ciò è dovuto all’assenza di efficaci meccanismi di controllo da parte degli enti pubblici, oltre a una domanda estremamente elevata.
Uno studio del Centro di Salute Pubblica mostra che in Brasile sono consentite quattrocentocinquanta sostanze chimiche per uso agricolo, comprese quelle presenti nei pesticidi e nei fertilizzanti. Considerando i soli pesticidi, lo stesso studio rivela che il sessantasette per cento è associato a danni cronici alla salute. Inoltre, il quarantacinque per cento delle sostanze chimiche utilizzate in Brasile sono vietate nell’Unione Europea. Un esempio è l’atrazina, un erbicida altamente dannoso sia per l’uomo che per l’ambiente, spesso collegato a casi di squilibrio ormonale, che è stato vietato nell’UE dal 2004. In Brasile, tuttavia, è il quarto pesticida più utilizzato, con 287 mila tonnellate acquistate solo nel 2018.
Considerando che le popolazioni indigene dell’Alto Xingu hanno una dieta basata principalmente su pesce e farina, non è un caso che i tipi di cancro riscontrati dall’infermiera Yawalapiti nel territorio indigeno siano proprio gli stessi che diverse ricerche mediche collegano all’esposizione ai pesticidi.
Un recentissimo studio dell’Università federale del Mato Grosso conferma che nelle regioni in cui l’uso di pesticidi è più frequente, il tasso di mortalità e morbilità per cancro è più alto tra i bambini e gli adolescenti di età compresa tra zero e diciannove anni. La metà di questi casi si è rivelata una leucemia.
Il racconto di Tumin illustra un’altra importante dimensione dell’uso dei pesticidi in Brasile: la politica. Come suggerisce il leader indigeno, negli ultimi quattro anni di governo di Bolsonaro, l’uso di pesticidi è infatti aumentato drasticamente. Nei primi cento giorni del suo governo, sono stati approvati centocinquanta nuovi pesticidi. Un grafico del ministero dell’agricoltura mostra che dal 2010 al 2018 il numero di pesticidi registrati annualmente nel paese è quasi quintuplicato, passando da 104 a 450. A oggi, sono più di mille i pesticidi registrati. Nonostante ciò, da quasi vent’anni la lobby dell’agribusiness punta a deregolamentare l’uso dei pesticidi attraverso l’approvazione del cosiddetto “pacchetto veleni”, una riforma del quadro normativo che faciliterebbe l’accesso ai pesticidi altamente tossici sul mercato brasiliano, esponendo migliaia di persone, indigene e non, al rischio di avvelenamento. Questa legge, approvata il 9 febbraio 2022 dalla Camera, è ora in attesa del voto del Senato. Il ritorno al potere di Lula, tuttavia, ha riacceso la speranza tra gli oppositori di questa proposta legislativa. Infatti, le promesse del nuovo presidente di sviluppare politiche per la protezione dei gruppi indigeni perderebbero credibilità se non si affrontasse di petto il problema dell’abuso di pesticidi.
A oggi, tuttavia, le decisioni prese dal ministero dell’agricoltura non sono affatto rassicuranti. Recentemente è stata approvata la controversa legge 16 del 6 aprile 2023, che consente l’introduzione nel mercato brasiliano di quarantaquattro nuovi pesticidi pericolosi, tra cui l’insetticida Acephate, noto per sterminare enormi quantità di api, e l’erbicida S-Metholachlor, altamente cancerogeno. Molti sospettano che dietro questa decisione ci siano le pressioni dell’UE.
LA DOPPIA COMPLICITÀ DELL’UNIONE EUROPEA
«La prima volta che ho visto spargere pesticidi da un aereo non sapevo cosa fossero. Così un giorno ho chiesto a un fazendero, che mi ha detto che erano veleni. Poi gli chiesi perché avvelenassero i prodotti che consumavano. Mi rispose che non li consumavano, ma che spedivano tutto in Cina e in Europa», racconta Tumin. Circa il settanta per cento della soia prodotta in Brasile viene esportata. La Cina, in cima alla lista dei paesi importatori di soia brasiliana, importa il quaranta per cento delle esportazioni totali del Brasile. L’Europa, al secondo posto, ne ha importato per quattordici miliardi di dollari nel 2021, con 6,7 milioni di tonnellate che sono entrate nel solo porto di Rotterdam. I Paesi Bassi sono i maggiori importatori di soia in Europa, seguiti da Spagna, Germania e Italia. Da questi porti, la soia viene poi distribuita agli altri stati membri dell’UE.
Gli studi dimostrano che l’ottantacinque per cento di questa soia viene utilizzata per rifornire gli allevamenti intensivi di bovini, suini e pesci. Ciò significa che la produzione di carne e pesce per il consumo umano nell’Unione viene alimentata con sottoprodotti coltivati con enormi quantità di pesticidi altamente tossici. Inoltre, la maggior parte dei pesticidi importati in Brasile sono prodotti da aziende con sede in Europa. Non ci sorprende camminare per le strade di Querencia, al confine con il TIX, e incontrare gli uffici della Bayer (gigante farmaceutico tedesco) e della Basf (azienda chimica tedesca). Insieme alla svizzera Syngenta, queste aziende controllano il cinquantaquattro per cento del mercato mondiale dei pesticidi. Un recente rapporto pubblicato da Greenpeace mostra che sono settantuno le sostanze considerate estremamente pericolose nell’UE, e quindi vietate, che la Bayer vende in Brasile. La FAO ha stimato che un totale di 380 mila tonnellate di queste sostanze vietate sono state utilizzate sulle colture brasiliane.
UN BARLUME DI SPERANZA
Il 23 febbraio 2022, la Commissione Europea ha presentato una proposta legislativa per garantire la responsabilità sociale e ambientale delle aziende lungo tutta la loro catena di approvvigionamento. Questa direttiva, nota come CSDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive), sarebbe la prima a imporre alle aziende europee standard di due diligence di sostenibilità e a prevenire le violazioni dei diritti umani e ambientali lungo la catena di approvvigionamento.
Approvata il 2 giugno 2022 dal Parlamento con 366 voti a favore e 225 contrari, la legge è ora in attesa dei negoziati tra il Parlamento e il Consiglio dei ministri. Se sarà approvata, la legge avrà due anni di tempo per essere integrata negli ordinamenti giuridici nazionali degli stati membri.
La direttiva è destinata ad applicarsi a tutte le aziende che operano nell’UE con più di duecentocinquanta dipendenti e un fatturato annuo di almeno quaranta milioni. Inoltre, saranno incluse anche le aziende che operano al di fuori dell’UE con più di duecentocinquanta dipendenti e un fatturato annuo di almeno centocinquanta milioni. Queste aziende saranno quindi obbligate non solo a identificare le potenziali violazioni lungo la catena di approvvigionamento, ma anche a prevenirle, attenuarle e porvi rimedio. Il tutto dovrà avvenire secondo standard di trasparenza che richiedono relazioni annuali che dimostrino l’assenza di violazioni lungo la catena del valore, dai fornitori diretti e indiretti all’utilizzo dei beni.
Questa legge innovativa potrebbe certamente avere conseguenze di vasta portata sul mercato brasiliano della soia. Nessuna azienda che non rispetti i parametri stabiliti dalla Commissione potrebbe più acquistare soia prodotta in Brasile, viste le drastiche conseguenze sulla salute umana e la natura dei metodi di produzione adottati. Tuttavia, per realizzare il sogno di Tumin, ovvero che i suoi figli possano mangiare pesce senza rischiare di ammalarsi, è necessaria un’azione urgente da parte del governo locale e delle organizzazioni internazionali. Nessun essere umano dovrebbe essere esposto a pesticidi altamente tossici. Nessun ecosistema dovrebbe morire sotto gli abusi delle compagnie transnazionali. (francesco torri)
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